Rieccolo torna il mito dei tecnici falsa cintura di castità dei politici

E Rieccolo, torna il mito dei tecnici falsa cintura di castità dei politici COMODO ALIBI PER I PARTITI E ROMA CCOLI, era da un po' che se ne sentiva la mancanza. I «tecnici», ad uso e consumo della stagione politica sempre più sfilacciata. Già accesa, comunque, I- quotidiana girandola di nomi: Prodi, Monti e Tramonti, che fa pure rima. Poi Uckmar che aveva già volteggiato, inconsapevole, sopra all'ultima crisi di governo da cui si erano materializzati, invece, i «tecnici» Bompiani, Reviglio, Ronchey, Barucci e Guarino. Con il passare dei mesi si è capito che gli ultimi due, pur essendo «tecnici», non è che andassero molto d'accordo. Non di meno la favola continua. La frottola dei «tecnici», tra virgolette: mai parola più volutamente e produttivamente generica. Con l'entusiasmo dei neofiti, e sulla scia di Ronchey, l'altro giorno i leghisti hanno indicato come ministro anche Giorgio Bocca. Ma la caduta dei confini che fino all'altro ieri avevano tenuto fuori dal giro la classe giornalistica, di per sé poco «tecnica», amplia fino a un certo punto gli orizzonti di questa furba risorsa. Nella primavera del 1987, in quel governo Fanfani conosciuto anche come «il governo dell'entomologo» per via dell'illustre professor Pavan che studiava appunto gli insetti e che per qualche misteriosa ragione venne nominato ministro dell'Ambiente, ecco, in quella stagione assai creativa oltre all'entomologo quel gabinetto ospitava il professor Di Lazzaro e altri quattro esimi «tecnici» come Gifuni, Sarchielli, Gorrieri e Paladin - sfiorò un ministero l'attrice Giulietta Masina. Oltre all'ex direttore del Corriere della Sera Piero Ottone, ricercato mentre era in barca, al banchiere Cingano, al manager Nordio, al giurista Manzella e allo scrittore Arpino. Che comunque, dopo aver rifiutato, scrisse dignitosamente che no, lui non ci sarebbe stato a farsi «pescare come un ilare branzino nel pelago». Del resto, a proposito di questi benedetti «tecnici», fantomatici «esperti d'area» o «portatori di competenze», come si diceva in sinistrese, l'allora craxianissimo Rino Formica aveva già cominciato ad esercitare il proprio altero sarcasmo: «Passanti ignari» li definiva. Ma c'era poco da far gli spiritosi. Qualche anno prima di quel felice governo che di «tecnici» ne aveva sfoderati ben sei (e tutti, piazzati in amministrazioni rigorosamente di serie B) Bruno Visentini aveva a sorpresa lanciato l'idea di un esecutivo che andasse oltre alle logiche partitiche. Un governo dei tecnici, appunto. «Degli onesti e dei capaci» chiosò Berlinguer che vi aveva scorto un'occasione per inserirsi. Bene, nel 1981 fu proprio Craxi a bollare l'idea di Visentini come pericolosissima tecnocrazia in agguato. «Nuova Destra» disse dei «tecnici» degli altri. Quelli suoi, sei anni dopo (governo Goria) e cioè Vassalli, Ruggiero, Carraro, Ruberti e l'mdimenticabile La Pergola, figura di giurista indipendente originariamente socialdemocratico con progressive simpatie socialiste, insomma tutti quei «tecnici» spediti al posto dei «politici» fu più che altro un mòdo per dimostrare alla de che il psi si riteneva poco entusiasta di quel «governicchio». Anche per questo, adesso, colpisce che sia proprio la Lega a volersi far raccontare la fiaba dei «tecnici», quella stessa che al contrario sembra proprio un'astuta invenzione partito- eretica. Mito salvifico, scorciatoia, bluff, pretesto e in qualche modo anche illusione ottica da usarsi in caso di vuoto politico, oppure miraggio evocato per far credere che il potere si è imposto una specie di voto di castità. Naturalmente non c'è alcun voto, e anzi molto spesso, come per un crudele contrappasso, i partiti si salvano e a rimetterci rimangono loro, gli incauti «tecnici». Vedi il povero Bonifacio che appena fatto ministro della Giustizia si vide addebitare centinaia di fughe di detenuti. Vedi il professor Lombardini, impelagato suo malgrado in quel po' po' di scandalo che fu l'Eni Petromin. Vedi il «super tecnico» Stammati che girovagava per le Finanze, il Tesoro, il Commercio Estero e finì degradando ai Lavori Pubblici: se fosse rimasto in banca avrebbe fatto meno effetto la storia della P2. Così co¬ me, a conti fatti, chissà se il civil servent Guido Carli avrebbe evitato di figurare, sui libri di sto: ria dei prossimi anni, come il responsabile della Caporetto economica dei governi del «tirare a campare». Sono pochi in definitiva i «tecnici» scampati a insuccessi e malanimo. I primissimi, forse: l'ammiraglio De Courten, il conte Sforza e Merzagora nei governi De Gasperi. Più o meno quando il leader qualunquista Guglielmo Giannini sognava un simbolico e tecnicissimo «ragioniere» a capo dello Stato. Per il resto, più che di possibile «tecnocrazia» - e non è un caso che lo stesso termine suòni qui come una sorta di misteriosa entità fantascientifica tipo la «Spectre» - è opportuno semmai parlare di uso dei «tecnici» da parte degli apparati partitici. Uso mistificante, oltretutto, op¬ pure furbetto o addirittura deterrente. Per esempio: «Un generale al Viminale» si sentiva gridare in modo non proprio rassicurante ai tempi del terrorismo. Che poi erano gli stessi in cui si parlava di far entrare alcuni «tecnici» di area comunista (Spaventa, Visco, Ossicini) come una forma mascherata di apertura al pei. E la de, tra parentesi, non volle neanche quella soluzione. Invece, all'ultima crisi, ha assecondato l'afflusso tecnico che risolveva sul piano anche spettacolare la battaglia forlaniana sulle incompatibilità. A occhio e croce se ne deduce che il «tecnico» degli Anni Novanta è selezionato, magari anche corteggiato e quindi imposto come ministro in quanto messaggio vivente, segnale in carne ed ossa. Ma sta lì in condizione di assoluta minorità e, fino a prova contraria, di totale subalternità ai quasi colleghi «politici» che sotto sotto lo invidiano perché a differenza di loro non ha dovuto sporcarsi le mani. E non è finita perché, come in un brutto film di vampiri, come è accaduto del resto a Reviglio, Guarino, Ruberti, Carraro, Maccanico, Ferri e chissà a quanti altri ancora accadrà, il «tecnico» vuol diventare «politico». E ci riesce pure. FilippoXec carelli Dall'entomologo di Fanfani al giornalista Ronchey metamorfosi degli «esperti» lla Sopra, Mario Di Lazzaro A destra il giurista Antonio La Pergola Giulietta Masina (foto in basso) A destra Guido Carli e Antonio Maccanico Da sinistra Alberto Ronchey e il ministro «entomologo» Mario Pavan

Luoghi citati: Caporetto, Roma