Scaviamo al museo di Sabatino Moscati

Il tempio di Iside riscoperto Il tempio di Iside riscoperto Scaviamo al museo E' NAPOLI DIFFICILE evitare che divampi nuovamente la polemica se scavare o non scavare in Italia, dopo la vera e propria «riscoperta in museo», a Napoli, dello straordinario tempio di Iside pompeiano: un tempio di cui si era parlato tanto ma si conosceva ben poco, vista la dispersione o la perdita dei materiali riportati alla luce più di duecento anni or sono. L'aveva previsto già a quel tempo, del resto, il celebre abate di Saint-Non nel suo non meno celebre «Viaggio pittoresco o Descrizione del regno di Napoli e della Sicilia», che a ragione il soprintendente Stefano De Caro, protagonista dell'impresa attuale, richiama alla memoria. Scriveva l'abate, a proposito delle scoperte: «Sarebbe augurabile che si conservassero sempre a parte, per non confonderle con ajtri monumenti antichi». Ma all'abate non si era dato rètta. E i reperti del santuario, comprese le pitture staccate Lille pareti, [rano stati dipersi in varie lollezioni, ordinate per categorie di materiali, nonché nei depositi del Museo Reale di Portici, poi Museo Nazionale di Napoli.-, Ora il soprintendente è riuscito a esaudire l'antico voto di Saint-Non, ritrovando i materiali dispersi, restaurandoli con le tecniche più moderne che spesso li riportano al perduto splendore, esponendoli in cinque sale del Museo ad essi appositamente dedicate. Esponendoli durevolmente, si badi. E dunque non siamo di fronte alla solita mostra effimera, bensì a un'acquisizione duratura. Che poi, nel corso di duecento e più anni, alcuni reperti si siano confusi con altri di diversa provenienza e non siano più identificabili è un fatto certo; ma esso aumenta, e non diminuisce, l'importanza dell'iniziativa che almeno, per così dire, ha salvato il salvabile. Il maggior pregio del santuario è senza dubbio costituito dalle pitture. E qui giova ricordare che l'edificio, fortemente danneggiato dal primo terremoto di Pompei nel 62 d. C, era stato subito dopo restaurato grazie alla munificenza di un certo Numerio Popidio Celsino, che ce ne ha lasciato il ricordo in una lapide: tutti gli ambienti erano stati allora decorati con stucchi e pitture, sicché proprio queste, sepolte dall'eruzione del Vesuvio nel 79 d. C, tornarono alla luce. Erano scorci architettonici, paesaggi, scene di battaglie navali, nature morte, animali, immagini di sacerdoti e finalmente figure divine: tra esse un Osiride in trono, un Arpocrate, un Bes non lasciavano dubbi sul carattere egiziano del santuario. Quanto a Iside, titolare del luogo sacro, essa compariva nella celebre scena della processione di barche sul Nilo, a poppa con un fiore di loto sul capo. D'altronde, la stessa Iside La Iside pompeia na era presente nelle sculture rinvenute sul luogo, insieme a varie statue di ambiente egiziano ma anche romano, perché l'assimilazione del suo culto costituiva ormai un fatto avvenuto in Italia. E deve considerarsi un evento di grande significato, se si pensa che Iside era venerata nella stessa Roma, il che dimostra quanta diffusione avevano i culti orientali all'apice dell'impero. Ora possiamo tornare alla polemica evocata in inizio, quella se convenga scavare o non scavare in Italia. La connessione con il tempio riscoperto di Iside a Pompei è evidente: se i nostri musei contengono tanti e tali patrimoni archeologici, ignorati o abbandonati o dispersi, non conviene forse concentrare le poche forze disponibili nel loro recupero piuttosto che disperderle in nuove imprese di scavo, per le quali poi non si è spesso in grado di assicurare un'adeguata conservazione? E, visto che ci siamo, non conviene estendere il discorso alle nostre missioni all'estero, scoraggiandole affinché le suddette poche forze si concentrino sul tanto che c'è da fare in Italia? Anche questo, come il precedente, è il tema di un ri corrente dibattito tra i protagonisti degli scavi e tra colo ro che ne assi curano i finan ziamenti. Al limite, secondo il parere di stu diosi autorevo li, si dovrebbe cessare di scavare in Italia; e ancor più fuori d'Italia. Che i sostenitori della tesi ora esposta abbiano le loro ragioni, si è visto. Ma la tesi stessa, nel suo insieme, è a nostro avviso astratta e sostanziai mente impraticabile. Se avvie ne una scoperta improvvisa e casuale, ad esempio, come quella che consegue alla fon dazione di un edificio o all'a pertura di una strada, sarebbe mai possibile non intervenire con uno scavo organico? E in Italia, si noti, molti scavi cominciano così. Quanto alle missioni all'è stero, a parte la dignità della nostra presenza nella cultura internazionale che si realizza, sarebbe mai capace un egitto logo, o un orientalista o un americanista, di fare scavi in Italia? No, perché il suo è un mestiere diverso; e impedirglielo non sarebbe di alcun vantaggio per il migliore andamento delle cose nel nostro Paese. Ma non far scavare chiun que e comunque, questa sì è una norma sacrosanta. Dare concessioni per lo scavo solo a chi abbia tutte le carte in rego la e quando se ne dimostri l'effettiva necessità; imporre sullo scavo un continuo controllo scientifico e pretendere la pubblicazione sollecita, il restauro, la sistemazione museale: tutto ciò si può e si deve chiedere, altrimenti è davvero meglio non scavare; e cercare nei musei le infinite sorprese del già scavato, che non mancheranno. Sabatino Moscati La Iside pompeiana

Persone citate: Iside, Osiride, Stefano De Caro