«Docenti liberi dai programmi» di Raffaello Masci

«Piuttosto che parlare solo dei Persiani spieghiamo cos'è il razzismo» «Piuttosto che parlare solo dei Persiani spieghiamo cos'è il razzismo» «Docenti liberi dai programmi» Amato: meglio raccontare il nostro tempo ROMA. Parla Giuliano Amato: «Il ministero della Pubblica Istruzione deve liberare gli insegnanti dai programmi. Non si può continuare a dire "io ho un programma da seguire". Ogni insegnante deve essere libero di insegnare quello che vuole, altrimenti può succedere che un professore debba spiegare quattro volte i Persiani e mai il nostro tempo». La frase è stata pronunciata nel corso di una conferenza stampa a palazzo Chigi per illustrare le iniziative di governo e sindacati della scuola contro razzismo e antisemitismo. Diciamo subito che Amato parlava «a braccio» e che le circostanze consentono di interpretare la cosa come un invito a non trascurare la storia contemporanea, e a trarne insegnamenti in materia di antirazzismo. Ciò non toghe che le parole, specie se procedono da cotanta cattedra, hanno un peso. Il risultato è che qualche salto sulla sedia lo hanno fatto fare, specie a pedagogisti ed educatori. I critici. «La proposta mi sembra francamente inaccettabile afferma Piero Bertolini, che insegna pedagogia nell'Università di Bologna -. Io vedo due rischi nell'insegnamento svincolato dai programmi. Il primo è che ogni insegnante possa fare scuola secondo i suoi interessi e le sue inclinazioni. Il secondo, che le caratteristiche dell'istruzione possano essere diverse da un po- sto all'altro. I programmi garantiscono infatti un minimum che dà unitarietà alla scuola. E a proposito del riferimento ai Persiani, come ad un argomento peregrino, io credo che anche partendo dai Persiani si possa insegnare la pluralità e la validità di tutte le culture, formando così al rispetto di ogni popolo». Un altro rimbrotto ad Amato arriva da Luigi Calonghi, ordinario di didattica alla Sapienza di Roma: «Il presidente del Consiglio misura poco il pericolo che corre, parlando in questo modo. I programmi non sono una gabbia: per le elementari hanno carattere prescrittivo, ma per le medie sono semplicemente "orientativi". Ma c'è di più: il decreto delegato 416 stabilisce che i consigli di classe e i collegi docenti sono autorizzati ad adattare i programmi alla situazione di ogni singola scuola. I libri di testo in questo non aiutano? Può darsi. Gli insegnanti non sono motivati a farlo? Può darsi anche questo, ma allora che c'entrano i programmi?». I paladini. Giovanni Vinciguerra, direttore di Tuttoscuola, non appare per nulla scandalizzato: «Molti programmi sono stati cambiati negli ultimi anni, ma alcuni risalgono al '17. Ed e inutile che stia a sottolineare quanto siano cambiati il mondo e la realtà giovanile in particolare: la scuola si adegua invece con l'agilità di un pachiderma. Mi sembra giusto allora che gli insegnanti abbiano un margine di autonomia, anche nell'impostazione dei programmi». I possibilisti. «Io prenderei la frase di Amato per quello che è: una battuta lasciata cadere lì», dice il prof. Mauro Laeng che insegna Pedagogia alla Sapienza. «Però debbo dire che, nonostante io la pensi in modo radicalmente diverso, provo simpatia per l'idea che ci sia una didattica non fondata su un programma imposto ma sul ruolo del pedagogo. Questa tesi è sostenuta da una solida scuola di pensiero pedagogico con tanto di nomi illustri a iniziare da Rousseau. Però una didattica che si fondi sul pedagogo deve garantire la qualità degli insegnanti: Tolstoj fondò una scuola per il popolo, non aveva programmi, ma aveva lui per maestro. Un esempio del genere, con i nostri docenti non si sa quanto selezionati e preparati, forse sarebbe un minimo azzardato, o no?». Testimonianza dal fronte. «I nostri programmi sono meno rigidi di quanto si possa immaginare - dice Eleonora Toledo, vicepreside del liceo D'Azeglio di Torino -. In sede di consiglio di classe e di collegio dei docenti si decide un piano didattico che, pur restando fedele alle indicazioni ministeriali, consente ampi spazi di libertà. Il discorso è diverso per quanto riguarda la storia, per la quale vige una scansione ben precisa (storia antica, storia medievale, ecc.). Però chi insegna storia insegna anche educazione civica e può stabilire paralleli interdisciplinari, per esempio, tra mondo antico e valori civili. E' vero, l'educazione civica molti non la fanno. Ma la colpa è loro e non certo dei programmi». Interpretazione definitiva. «L'affermazione del presidente del Consiglio è stata enfatizzata dalle agenzie di stampa. Figuriamoci se Amato potrebbe proporre un'anarchia didattica. E comunque il disegno di legge di riforma della superiore fornirà una larga autonomia alle singole scuole e agli insegnanti». Così ha sentenziato il ministro Russo Jervolino: la disputa è chiusa. Raffaello Masci

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