Jazz niente mattatori fioriscono gli storici

Tg2: linea aperta alle critiche dei telespettatori r— Jazz, niente mattatori fioriscono gli storici OTTO l'insegna del jazz convivono in molti, con idee diverse. I confini di questa musica si sono allargati, inseguendo e ricercando nuove idee, nuovi suoni, nuovi stimoli. Manca però un centro, uno stile dominante, caratterizzante questa stagione senza stelle di prima grandezza. Anzi scompaiono i vecchi eroi, i Miles Davis e i Dizzy Gillespie, che svolgevano la funzione di legame con il passato e quella di innovatori. E' un bene o è un segno di crisi? Di sicuro è una situazione simile a quella di molti altri settori della vita culturale. In assenza di un mattatore, per il musicofilo può essere ancora più piacevole gettarsi nell' aumentata produzione discografica e andare a caccia di piacevoli sorprese tra preziose ristampe, testimonianze di stili storici, e nuove proposte, sempre più immerse tra tecnica musicale e tecnologia strumentale. Per la prima sezione, arriva dal catalogo storico della Rea: «The Golden Gate Quartet» (Bluebird, 1 ed), 24 gustosissime performance a cappella, rimasterizzate, di uno dei più famosi gruppi golspel a livello internazionale. E' trascorso oltre mezzo secolo da quando questo quartetto della Virginia ha cominciato a mettere in scena canti religiosi e drammi biblici, riprendendo una delle più classiche tradizioni neroamericane. Con la loro vivacità ritmica, più vicina alla musica profana, i Golden Gate hanno realizzato uno stile vocale molto popolare, gustoso. Eredi dei Mills Brothers, i primi a portare gli spirituals al cabaret, il quartetto riesce in modo straordinario a ricreare con le voci anche i suoni degli strumenti. Questo ed offre le registrazioni che, alla fine degli Anni 30, fecero da base alla loro brillante carriera. Il secondo «ritorno» discografico è quello di Buddy Rich, batterista newyorkese che Gene Krupa definì «senza dubbio il più grande di tutti i tempi». Rich fu uno dei punti di forza dei grandi complessi di Artie Shaw, Tommy Dorsey, Benny Carter, Norman Granz. Nel recente «No jive» (Novus, 1 ed) vengono raccolti otto suoi grandi brani registrati negli Anni 70, un'antologia tratta da album del 1971, '76, '77 che mette in luce tre gruppi in cui ha militato in qugli anni e che si caratterizzano per uno stile molto energico da big band. Suonano con lui ì saxofonisti Bob Mintzer e Steve Marcus, il trombettista John Faddis, il tastierista Kenny Barron. E Rich domina con quella sua classe, la sua I scioltezza e ricchezza di teI mi. Nettamente si avverte la sua dimensione di leader, di trascinatore. Un salto da funamboli circensi e atterriamo in un nuovo territorio jazz, quello che dialoga con l'House music, l'Ambient music, tutte targhe per una musica in cerca di soluzioni estetiche, con ideali ecologisti. Un ottimo e piacevole esempio è la raccolta «The Impressionist» (Windham Hill, 1 ed). Intorno a questa etichetta (che si distingue per il marchio con una grossa luna in mezzo agli alberi) si è raccolta una schiera di musicisti-pittori, che amano più le delicatezze degli acquerelli per descrivere un mondo che si va distruggendo. In questo disco, 12 tra i rappresentanti migliori della pattuglia (Alex De Grassi, Nightnoise, Tim Story, Paul McCandless, Turtle Island String Quartet, Modera Mandolin Quartet, John Beasley tra gli altri) eseguono altrettante composizioni di autori francesi di musica colta: Paure, Debussy, Ravel, Satie. Una sorta di unione tra ideali di formalismo e forti impronte sentimentali ed emozionali. Uno strano fascino ci giunge da queste registrazioni, da ascoltare con il giusto spirito curioso. Brìo e ritmo moderai si possono riprendere con altre due nuove, proposte discografiche. Dopo dieci anni Randy e Michael Brecker si ripresentano con un album che può accomunare ascoltatori dal gusto Bop con i frequentatori di dance club più d'avanguardia. «Return of The Brecker Bros» (Grp, 1 ed) è il titolo dell'album. Jazz e House music di buona qualità condotti dal sax e dalla tromba dei due fratelli d'America. Infine un omaggio a Dizzy Gillespie, appena scomparso. Mentre il grande maestro era già condannato dalla malattia, il saxofonista Antonio Hart gli ha dedicato le sette composizioni del suo secondo album, «Don't you know i care» (Novus, 1 ed). Prodotto dal grande saxofonista Jimmy Heat, il disco riconcilia con un vecchio stile jazz, dove arrangiamento e improvvisazione sono dosati per regalare emozioni e non solo fredde bellezze. Due altre composizioni, una di Duke Ellington e l'altra di Quincy Jones, indicano in quale lago Antonio Hart ama pescare. Alessandro Rosa ►sa^J

Luoghi citati: America, Virginia