«I miei ragazzi granata col rosario in tasca»

r- r- LETTERA «Imiei ragazzi granata col rosario in tasca» VCaro direttore, ORREI fare un paio di considerazioni in merito agli articoli apparsi su La Stampa riguardanti lo sport e più precisamente il calcio e la Chiesa. In un mondo povero di modelli e di esempi, sapere che il et Sacchi non perde messa alla domenica è certamente testimonianza di cui oggi hanno bisogno i giovani ed è assai più trainante di molte omelie. Alla luce di quanto è stato detto, vorrei tuttavia evitare di passare sotto silenzio alcune riflessioni che ho maturato in tanti anni, da quando cioè seguo quale «amico» il Torino Calcio e che mi sembra opportuno sottolineare, fosse anche solo per evidenziare come, ancora una volta, la Torino calcistica sia stata antesignana e innovatrice nel tentativo di dare contenuti più umani e morali al mondo pallonaro. Da almeno trent'anni al Toro è sempre presente un sacerdote che segue la famiglia granata. Prima di me, un bene immenso è stato svolto dall'amico don Francesco Ferraudo. Al mio fianco, oggi, a seguire le vicende delle squadre giovanili, è presente un altro sacerdote, don Fausto. Per sei anni ininterrottamente ho celebrato l'Eucarestia nel ritiro di Asti, ogni sabato; presente la squadra, dirigenti, tecnici e addetti ai lavori. Ho sempre avuto la massima e libera partecipazione di tutti, in una liturgia familiare non perché strana, ma perché sentita e ricercata, dove i lettori ufficiali erano Junior e Zaccarelli, e i chierichetti Copparoni, Cravero e Benedetti, ma dove soprattutto era forte il bisogno da parte di tutti di vivere, sentire e meditare su qualcosa che fosse al di fuori dei quotidiani discorsi calcistici. Hanno tutti un rosario in tasca, i giocatori del Toro di qualche anno fa; molti di quelli attuali il sabato sera espongono il Cristo e la Madonna delle icone bizantine Graverò «chierichetto» I espc I doni sul comodino, quasi a cercare sicurezza, compagnia, conforto e protezione. Devo dire che non ho trovato gesti o atteggiamenti di superstizione in loro; li ho sentiti invece molto vicini e attenti alle situazioni di fame e di. miseria, di malattia e di sofferenza su cui spesso ci siamo fermati a parlare e a riflettere. Devo anche aggiungere che qualcuno di loro mi ha manifestato più volte l'intenzione di andare a fare qualcosa nel lebbrosario di Campogrande, in Brasile, di cui mi occupo da più di venti anni. Ancora oggi molti destinano parte dei loro premi di partita per aiutare chi soffre. Lo fanno nel silenzio, senza clamore o pubblicità, e lo fanno da anni. Li trovo ragazzi normali; non mi risulta portino il «santino» nei calzini per garantirsi la vittoria alla domenica; non credo neppure che ci sarà qualcuno tra loro che riceverà il premio come «cristiano dell'anno». Penso che importi molto poco tutto ciò, anche perché a loro ho sempre insegnato due cose: primo, che chi riceve di più dalla vita deve in coscienza dare di più, o per lo meno restituire, e possibilmente mai dimenticare le proprie radici popolari, com'è per la maggior parte di loro; secondo, che all'«essere cristiani» non è il caso di dedicare un premio; è semplicemente un dovere legato ad una scelta di vita e comunque «cristiani» è importante esserlo non «dell'anno», ma tutti i giorni. In vent'anni passati al Toro ho trovato molti bravi ragazzi che sanno vivere ancora di sacramenti e di valori legati al Vangelo; assicuro che non sono per nulla naif, ruspanti o oggetti strani; semplicemente ragazzi che guardano un po' più in là del pallone e cercano ancora qualcosa e qualcuno oltre i miliardi che guadagnano. don Aldo Rabino prete del Torino Calcio ino I Icio |

Persone citate: Benedetti, Campogrande, Copparoni, Cravero, Francesco Ferraudo, Sacchi, Zaccarelli

Luoghi citati: Asti, Brasile