«Di Pietro? in tv Sapore contadino»
«Pi Pietro in tv? Sapore contadino» «Pi Pietro in tv? Sapore contadino» Ma il giornale cattolico accusa: pericolo di demagogia MILANO. «Sì è proprio un bel poliziottone» (Roberto Mongini, inquisito). «Forte timido, violento, appassionato con quel suo italiano ancor pieno di sapori contadini. Trovare ancora uomini così è una fortuna che ci riconcilia con questo Paese» (Giorgio Bocca, giornalista). «Antonio di Pietro sbaraglia anche in tv» (L'Unità»). «In tv ha dimostrato umanità, autorevolezza, semplicità» (Angelo Guglielmi, direttore di Raitre). «E' un perfetto Perry Mason» (Dario Fo, attore). «Non è un grande oratore? E chi se ne frega. Proprio questo è il bello» (Enrico Montesano, attore). Applausi, applausi per il Di Pietro in tv, eroe degli onesti e degli ascolti. Ieri la seconda puntata del fogliettone «Un giorno in pretura» si è mangiato più di 6 milioni di telespettori. Tutti lì, ipnotizzati dagli occhi del magistrato contadino e dai suoi «possenti muscoli» (Bocca). Sei milioni: roba da telegatto. Si fatica a trovare, in tanto tripudio, chi neghi lo zucchero delle lodi. Amaro è «Il Giorno» di Paolo Liguori. Amarissimo il cattolico «Avvenire», quotidiano dei vescovi. Due rarità che valgono la segnalazione. Il giornale dell'Eni mette in pagina un commento di Carla Mosca che se la prende con l'immaginario degli italiani conquistati dalla «magistratura che deflagra in tv e definitivamente qui si consacra». Peccato che nella stessa pagina compaia lo sfogo di un campione di questo immaginario, Pasquale Squitieri, il regista che (apprendiamo) è cresciuto «nel mito dei maestri del Foro come Porzio, De Nicola, De Marsico». E pure «all'ombra dei grandi magistrati come De Gaetano, Falcone e Sica». Il regista-giurista, dunque, assolve Di Pietro, ma se la prende con «l'uso scorretto dei mezzi di ripresa» e del montaggio da telefilm che «ostentatamente sembrano voler mettere in difficoltà il magistrato più esposto, più coraggioso e preparato che vanti il nostro Paese, riprendendolo (tra l'altro) di spalle in gesti polizieschi che poco hanno a che spartire con la solennità di quel rito irripetibile e tremendo che è un giudizio in Corte d'Assise». Più inatteso (e radicale) l'attacco di ((Avvenire». L'altro giorno un commento in prima pagina: «Trappola a 24 pollici per l'eroe di Tangentopoli». Ieri la bordata doppia. Interviene don Claudio Sorgi, il critico televisivo, che avverte: «Pericolo di demagogia». Spiega: «Non c'è dubbio che Di Pietro in questo momento è un personaggio popolarissimo. Se si mettesse a capo di un partito, diventerebbe il padrone assoluto della situazione e farebbe svanire nel nulla la marcia del Carroccio. Ma che stia per diventare anche un divo della tivù, un eroe dell'Auditel, questo fatto dovrebbe preoccupare più lui che noi». Di Pietro «nonostante i limiti lessicali», «comunica egregiamente». «Un uomo così, se è onesto, se ama il proprio Paese e il proprio ruolo deve nascondersi nella più severa riservatezza. C'è la possibilità che così diventi ancor più mito: ma almeno non coltiverà tentazioni messianiche, né per se stesso, né per la classe a cui appartiene, la magistratura». [r. m.] Dario Fo
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