Un santino nei calzini e il successo è garantito

Il primo marzo riceverà una coppa e parlerà dal pulpito della cattedrale di Vibo Valentia Un santino nei e il successo è garantito SPORT TRA FEDE E SUPERSTIZIONE LA religiosità di Arrigo Sacchi, ormai presentata e sviscerata ufficialmente, ha come contraltare (o come complemento, se si pensa al modo che taluni hanno di intendere la religiosità) la superstizione di altri, stando almeno al mondo dello sport? Il suo andare a messa è psicologicamente o addirittura spiritualmente simmetrico al mettersi un santino in un calzino, come pensiamo facciano almeno due uomini della sua Nazionale? Rispondiamo subito di sì, anche se dimensioni e confini del fenomeno non sono chiari, per la riservatezza, la timidezza, il pudore che lo accompagnano. Lo sport è senz'altro posto di grande fede e di grande superstizione. L'immanenza dell'incidente, della casualità, il forte senso lotteristico di troppe vicende, anche e specialmente quando vengono sottoposte al giudizio di un uomo e non di un cronometro, fanno sì che lo sportivo senta il costante bisogno di alleanze, e che le vada a cercare in alto come in basso, a destra come a sinistra. Sbandierandole in certe circostanze, gelosamente negandole ad ogni indagine in altre: a seconda se ci si ritiene abbastanza forti da spartire un dio o un amuleto valido con tanti, o se si pensa che eslusivizzandosi il dio o l'amuleto si possa fare più intenso uso di esso. Qualche nome, qualche superstizione. Il ciclista Felice Gimondi cominciava la stagione agonistica con una cordicella benedetta intorno alla caviglia: pedalatore da quaranta mila chilometri l'anno, ad un certo punto perdeva per consunzione l'amuleto - la cordicella proveniva da un fraticello di un remoto santuario di una valle bergamasca -, ma fortunatamente teneva sempre metri e metri di quella canapa speciale. Un calciatore celebre ai primi tempi di Boniperti, Francesco Rosetta, imponeva ai compagni della Fiorentina e della Nazionale di fare con lui una sorta di comunione nello spogliatoio, prima della partita: una costata al sangue divisa in tante piccole parti, guai a chi non ci stava, avrebbe avuto la responsabilità della partita sicuramente perduta. D'altronde anche adesso arrivano fra di noi calciatori brasiliani che non sanno sottrarsi al rituale della macumba canonica del loro Paese, per il brocco come per Pelè: e uccidono un animale nero - può anche essere un pollo di piumaggio scuro - la mattina delle partite importanti, magari facendosi addosso qualche segno con il suo sangue. D'altronde in piena Coppa del Mondo 1990 quelli del Camerun, squadra rivelazione, erano soliti passare la notte della vigilia del match salmodiando, con i piedi, strumenti del mestiere, immersi nell'acqua benedetta da qualche sciamano. Sicuramente pii sono Bergomi (Inter), Donadoni (Milan), De Napoli (Milan), per stare ad un censimento che facemmo personalmente fra gli azzurri. Credono, pregano. Onestamente, nessuno dei tre si è mai proclamato estraneo a pratiche parallele di blanda superstizione, che definiremmo «integrativa»: la preghiera intensa, ma anche la toccatina al corallo magico. Poi ci sono superstizioni vistose, smaccate, di quantità e non di qualità: come nel tennis il far battere a terra tredici (o diciassette, dipende) volte la pallina prima del servizio: dove però c'è il sospetto che si cerchi sì la concentrazione e la miglior balistica, ma che si cerchi anche di far andare in bestia l'avversario. Ci sono superstizioni segretissime: tanti piloti di Formula 1 ammettono di cercare alleanze pregando divinità anche stra¬ ne, ci mancherebbe altro, ma non rivelano i passaggi della loro liturgia. Arrigo Sacchi che prega, va a messa, parla di Dio e basta rischia di passare per un naif, un ruspante. Come era Gino Bartali. Non cerca neanche di piazzare bibbie o altri libri, come alcuni calciatori brasiliani, tipo Amarildo del Cesena, uomo-sandwich alcuni anni fa di una campagna rimasta misteriosetta. Non pone problemi come quello di Silas: il Torino lo aveva preso come spalla ideale di Muller, ma si pensò che due supestiziosi, o comunque due religiosi intensamente praticanti, erano troppi in una squadra, a Silas fu preferito il disastroso Edu, due anni dopo Silas arrivò in Italia al Cesena e si vendicò segnando all'esordio stagionale un gol proprio al Torino. Gian Paolo Ormezzano I brasiliani prima del match danzano una macumba E la squadra del Camerun si bagna in acqua benedetta Roberto Donadoni, il centrocampista del Milan, uno dei più religiosi tra i giocatori in attività Un altro considerato «pio» è Giuseppe Bergomi, capitano dell'Inter A fianco Gino Bartali, famoso per la sua devozione. A destra, l'ex campione di ciclismo Felice Gimondi, che correva con una cordicella benedetta attorno a una caviglia

Luoghi citati: Camerun, Italia