I pentiti disegnano la nuova Piovra di Giovanni Bianconi

* I rapporti tra clan, politica e servizi segreti nelle confessioni degli ex «uomini d'onore» * I rapporti tra clan, politica e servizi segreti nelle confessioni degli ex «uomini d'onore» I pentiti disegnano la nuova Piovra Mutolo: regali agli «007» per proteggere i latitanti ROMA. Sfilano nei processi pubblici i nuovi pentiti di mafia. Parlano e accusano senza interrompersi, senza mostrare incertezze o cedimenti. Leonardo Messina, Gaspare Mutolo e Giuseppe Marchese depongono uno dopo l'altro davanti a due diversi tribunali. Cambiano i giudici che li ascoltano, loro no: ripetono come sono entrati in Cosa nostra, come e perché ne sono usciti. Poi scendono nel merito dei diversi processi, accusando questo e quel mafioso con nomi, cognomi e soprannomi. Nell'aula-bunker di Rebibbia, grande e gelida, i magistrati di Palermo sono venuti per ascoltare questi collaboratori di giustizia, protetti dopo un regolare contratto stipulato con le autorità italiane. Nelle gabbie, imputati del calibro di Stefano Fontana, Nino e Aldo Madonia, Raffele e Vincenzo Galatolo, ascoltano in silenzio, ogni tanto un sorriso di scherno. 1 Ecco Gaspare Mutolo, 53 anni, «uomo d'onore» dal 1973 e collaboratore della giustizia dal 1991 : «Nel dicembre di quell'anno ho parlato col dottore Falcone, ci dissi che ero stufo della parola mafia e degli uomini d'onore». Mutolo è stato esponente di primo piano della famiglia mafiosa di Partanna Mondello, uomo di fiducia di Rosario Riccobono. E' un ometto piccolino, chiuso nel suo giaccone beige, con i capelli imbiancati e un paio di baffoni neri. Entra in aula scortato da quattro agenti in borghese, si siede davanti ai giudici, due poliziotti gli si piantano dietro le spalle. Su di lui c'è il divieto di puntare le telecamere «Sono stato affiliato - dice - a Marano, in provincia di Napoli, in una casa di Lorenzo Nuvoletta. Ho deciso di collaborare perché sono cambiate le abitudini della mafia rispetto a quando ero entrato, e poi perché dopo l'arresto ero convinto che mi avrebbero ucciso. Finché ero fuori potevo badare a me stesso, ma dentro no». Con la sua collaborazione, Mutolo ha confessato anche parecchi omicidi dei quali non era nemmeno sospet- tato. «Sarei potuto uscire dal carcere nel giro di due o tre anni - spiega -, ora la mia posizione si è aggravata». E' come un timbro di affidabilità sulle sue dichiarazioni. Saltando da un episodio all'altro, Mutolo affronta vari argomenti e le posizioni di diversi mafiosi. Parla anche di uno dei temi più attuali e scottanti delle ultime settimane, il rapporto tra mafia e servizi segreti. «Con i servizi - racconta - ho speso molti soldi. Era il 1982. Avvicinavo uomini del Sisde e gli facevo anche, dei regali, cassate, cannoli, pesce, perché si trattava di persone che avevano buone amicizie a Roma. Lo facevo per salvaguardare i miei amici latitanti». Dopo Mutolo ecco Giuseppe Marchese, che potrebbe essere suo figlio. Ha trent'anni, è snello e più elegante, entra in aula con gli occhiali da sole. E' diventato «uomo d'onore» all'età di 17 anni, nella «famiglia» di coreo dei Mille. «Sono stato nel cuore di Totò Riina», ripete più volte. Ai magistrati racconta come è cambiato il suo giudizio sul capo della mafia: «Io avevo fiducia in Riina, e lui e i suoi amici avevano fiducia in me. Riina si occupava di tutto, pagava gli avvocati e si prendeva cura dei familiari». Ma poi quella fiducia del soldato nel suo generale s'è incrinata, irreversttóilmente. Era il 1989 quando in una cella dell'Ucciardone Marchese, su ordine del «padrino», spaccò la testa di Vincenzo Puccio con una bistecchiera. «Riina mi aveva promesso che il processo sarebbe andato bene, e invece in appello ho preso l'ergastolo». Il «pentimento» è arrivato dopo l'omicidio Falcone: il giorno della strage di Capaci i parenti di Marchese erano sbarcati all'aeroporto di Punta Raisi qualche minuto prima del giudice, la sera in tv il detenuto vide una Uno bianca rovesciata, coinvolta nell'attentato, e pensò fosse quella dei suoi familiari, che invece lo andarono a trovare il giorno dopo. Poi ci fu la preghiera-appello della vedova Schifarci, e Marchese prese la decisione di «inginocchiarsi». «Una volta - racconta il pentito con voce ferma - Riina mi disse: "Pino, se ci mettiamo insieme un gruppo di persone fidate, facciamo della Sicilia quello che vogliamo". Riina è uno che ti guarda e ti ipnotizza, ma è come una mela, buona fuori e marcia dentro». Prima di Mutolo e Messina, nell'ambito di un processo sugli appalti, sale sul banco dei testimoni Leonardo Messina. E' l'uomo che più di altri fa i nomi dei politici collusi con Cosa nostra, e anche ora ne estrae uno dal cilindro: il deputato regionale della de Bernardo Alaimo: «La prima volta che si presentò alle elezioni fu aiutato da Giuseppe Madonia, Nicolò Erminio e Calogero Cala». Alaimo ha già smentito. Giovanni Bianconi * Da sinistra, il pentito Mutolo e il superòoss Totò Riina. A destra, Giuseppe Marchese: ha deciso di collaborare dopo la strage Falcone

Luoghi citati: Messina, Napoli, Palermo, Partanna, Roma, Sicilia