«Verdi è di Piacenza» Uno schiaffo a Parma di Lorenzo Del Boca

Cronache Dov'è nato il compositore? Un libro apre un caso «Verdi è di Piacenza» Uno schiaffo a Parma PARMA DAL NOSTRO INVIATO Lo scandalo delle tangenti ha appena stroncato le certezze sul buon governo «rosso» emiliano e subito dopo Parma rischia di perdere anche il mito di Giuseppe Verdi. Il grande compositore non sarebbe nato a Roncole come le biografie davano per scontato, ma a Sant'Agata. Una manciata di chilometri in linea d'aria, certo, ma sufficienti per cambiare provincia: non più Parma ma Piacenza. E ancora: la sua vena artistica di superbo musicista gli è venuta dal Lago d'Orta, provincia di Novara, da dove hanno avuto origine i nonni materni. E' davvero un esproprio anche se dotto e documentato da una scrittrice americana di New York che prima di pubblicare il risultato delle sue ricerche ha lavorato per 7 anni dragando archivi e incaponendosi su vecchie carte che possono interessare soltanto i topi incalliti delle biblioteche. Mary Jane Philips-Matz non ha dubbi: «Tutto quello che si è detto di Verdi è o falso o non proprio vero». Esemplifica: «E' stato creato un personaggio romantico in grado di stupire e di farsi pubblicità di per sé». In questa opera di mistificazione non è estraneo il suo editore, Ricordi, che, forzando la realtà, ha costruito una leggenda. La famiglia indigente, il povero scolaro affamato di pane nero e di voglia di imparare, la miseria ma anche il desiderio di farsi strada sarebbero i tasselli di un puzzle bugiardo costruito a tavolino per ragioni di cassetta. E, infatti, la scrittrice statunitense insiste: «E' ora di fare chiarezza, è tempo di presentare il Giuseppe Verdi come esce dalla storia». La sua grandezza di compositore che sfida la popolarità dei secoli non ha bisogno di essere drogata con orpelli capaci di farlo sembrare più grande. E' tutto scritto in un libro monumentale edito dalla Banca di Piacenza e uscito la vigilia di Natale. Una di quelle opere che i grandi enti patrocinano per utilizzare come strenna. Spesso sono lavori costosi, con le dimen- sioni di un volume di enciclopedia, con copertine rilegate a mano, pesanti da leggere e ancor più pesanti da maneggiare. Questa volta il risultato della pubblicazione «Verdi, il grande gentleman del Piacentino» è una provocazione storica e la raccolta di una ricerca minuziosa. Un capitolo dopo l'altro cascano i luoghi comuni. A cominciare da quello di nascita. «Senz'ombra di dubbio i Verdi erano di Sant'Agata». Mary Jane Philips-Matz non ha dubbi: ha controllato documenti e ha ricostruito la genealogia della famiglia seguendo le tracce degli archivi parrocchiali dove sono segnati i battesimi che risultano ben più attendibili delle anagrafi civili spesso incomplete, distrutte o saccheggiate. «A Sant'Agata c'erano dal 1596. Erano piccoli proprietari di terra, fittavoli, locandieri. Ovviamente, non si può dire che fossero ricchi e nemmeno benestanti. Ma erano in grado di mantenersi più che decorosamente e potevano permettersi di mandare un figlio al Conservatorio». Perciò non è vera la leggenda del giovane artista che, come i bohémien della sua opera, viveva d'arte e d'amore con la pancia vuota. Come è una diceria inventata quella che vuole Giuseppe Verdi taccagno proverbiale: anzi, ci sono le prove di una sua generosità spontanea e disinteressata. Piuttosto era di una riservatezza estrema, da contadino, di chi preferisce fare più che apparire, dare piuttosto che dire di aver dato. La scrittrice americana si occupa di questo compositore praticamente da bambina. A 8 anni l'ha «conosciuto» in occasione della «Cincinnati Opera Summer», nel 1935, sei settimane di canto e di palcoscenico italiano. Lei ha ascoltato «Il Trovatore» ed è stato un colpo di fulmine. E' bastato quello per farla invaghire di Verdi e dell'italiano. Ha sposato un professore della Long Island University anche lui verdiano convinto e ha cinque figli che canticchiano Rigoletto e Traviata con la convinzione dei coetanei che si occupano dell'heavy metal». I Verdi erano agricoltori, lavoratori smisurati, abituati a zappare fin quando la schiena Una scrittrice americana ha lavorato 7 anni negli archivi Le prove trovate nei verbali dell'anagrafe parrocchiale so rice ana nni hivi reggeva, scarpe grosse e cervello fino ma senza alcuna vena artistica. Il seme della musica è arrivato a Giuseppe per via materna, attraverso gli Uttini che per un secolo si sono coperti di gloria sui palcoscenici dei teatri più famosi. Elisabetta Uttini ha cantato a Venezia al San Mose e a San Marco nel 1721. Francesco Uttini è stato eletto «ad honorem» nell'Accademia Filarmonica di Bologna e, diventato marito di Rosa Scarlatti, si è imparentato con un'altra famiglia di valorosi cantanti. Un altro Francesco Uttini «si è esibito alla presenza di Mozart» quando la sola presentazione era già il riconoscimento di capacità più che meritevoli. Questi Uttini erano walser, parte di quel popolo di emigranti che, spinti da chissà quali disgrazie, lasciarono la Germania e Liechtenstein per arrivare sugli alpeggi del Monte Rosa, sulla cresta delle province di Aosta, Novara e Vercelli fra Gressoney, Alagna, Rima, Strana, Macugnaga. Originariamente si chiamavano Hutten, poi il cognome è stato italianizzato quando si sono trasferiti nel Ducato di Milano. E' certo che il bisnonno di Giuseppe Verdi, Lorenzo Uttini, è nato nel 1708 (il 28 giugno?) a Cranno Superiore, parrocchia di Crusinallo, accanto ad Omegna che, oggi, è la capitale del Cusio, in riva al Lago d'Orta, nel Novarese anche se adesso, ridisegnati i confini geografici, dovrebbe diventare provincia di Verbania. Lorenzo Del Boca In alto da sinistra una veduta di Parma, la prima moglie Margherita Barezzi, il compositore e, a lato, Roncole