«C'erano le caramelle io le ho prese» di Susanna Marzolla
Mani pulite: comincia il processo a Matteo Carriera, psi, ex presidente dei servizi ambientali Mani pulite: comincia il processo a Matteo Carriera, psi, ex presidente dei servizi ambientali «C'erano le caramelle, io le ho prese» «Ho sbagliato, ora sono solo un pensionato distrutto» E' accusato di concussione: tangenti per 6 miliardi MILANO. I capelli radi e grigi come il suo cappotto, in cui se ne sta imbacuccato per tutto il tempo, solo in parte giustificato dal gelo dell'aula. Gli occhi, dietro spesse lenti, che sembrano sempre esprimere un melanconico stupore. Matteo Carriera è la parabola, anche fisica, di un'intera classe di politici e amministratori travolta dallo scandalo. Fino a pochi mesi fa lui faceva il bello e il cattivo tempo all'Ipab di Milano, l'ente succeduto al vecchio Eca, ufficialmente deputato ad assistere poveri ed anziani. In realtà, come il suo cugino Pio Albergo Trivulzio, luogo di potere cittadino, di distribuzione di favori e prebende, dove raccogliere tangenti, voti e tessere. Matteo Carriera, 57 anni, tessera socialista in tasca da quando faceva l'impiegato all'ospedale Fatebenefratelli. E poi sempre più su: consigliere di amministrazione, presidente, commissario straordinario dell'Eca-Ipab. Per finire con la nomina a consigliere dell'Arrisa, l'azienda dei servizi ambientali, strappatagli dall'inchiesta assieme alla tessera del psi (è stato infatti espulso dal partito). Ma lo scandalo, l'arresto, il carcere (un mese; «un'esperienza devastante», dice) non gli han portato via solo quello. Tutto il suo mondo gli è crollato addosso. Il potere: «Ora sono solo un pensionato: leggo, guardo la tv e parlo molto con mia moglie. Ho biso- gno di ricostruirmi». I soldi: di un cospicuo conto in Svizzera, interessi compresi, non è rimasto più nulla; secondo il suo avvocato, Guido Viola, «ha restituito tutti i soldi incassati». La stima: il padre, socialista vecchio stampo, per mesi non gli ha più rivolto la parola, «ma adesso - racconta - ci siamo risentiti. "Riguardati, non morire presto", mi ha detto»; la madre al suo paese. San Severo in Puglia, se vuole andare a messa deve farlo all'alba, perché se no la indicano a dito per strada. Perse le certezze, persi gli appoggi. «E' crollata un'epoca - dice Carriera - e chi lo nega è un mascalzone». Lui adesso pensa a «rimettere ordine nella mia testa», senza più politica: «Dopo quello che è successo provo un moto di rigetto, è giusto che sia così». E non sembra cercare attenuanti: ha già restituito l'onorificenza di Grande ufficiale «perché non la merito; ma la pensione la devo tenere, mi serve per mangiare». E ancora: «Le colpe sono tutte mie: c'era il sacchetto delle caramelle, io le ho prese». E «le colpe del sistema» di cui parla Mario Chiesa? Carriera alza le spalle e sorride amaro. Ha una sola paura: tornare in carcere. Lo dice, senza falsi pudori. Nel suo cappotto grigio, accanto al suo avvocato ex-magistrato, sta per ore ad ascoltare il suo processo, imputato di corruzione e concussione. In silenzio, mentre parlano gli imprenditori che hanno pagato. E che non fanno certo bella figura. Neppure il titolare di un'impresa di riscaldamento, che pure è considerato un «concusso» (cioè uno costretto a pagare): «Forse sono stato ingenuo, ma era la prima volta che mi capitava», risponde alle domande sul perché si è comportato così. Gli altri, in confronto, sembrano vecchie volpi del «sistema». Fabio La sagni, amministratore dell'azienda che ha ristrutturato l'ospedale geriatrico Redaelli (appalti per novanta miliardi; tangenti sulla media del 5 per cento) dice che «tutti sapevano che negli enti pubblici bisognava pagare». «Tutti meno che noi», ribatte ironico il pm Gherardo Colombo. Lasagni racconta poi di quote fatte pagare, in «onesta» proporzione, ai vari subappaltatori; di valigette («mai più di 50 milioni, in contanti») che venivano spedite via via che si firmavano i contratti. E la sua azienda, partita con una gara d'appalto da due miliardi, è riuscita così a garantirsi, con continue «estensioni di contratto», l'intera opera. Dice Lasagni che il pagamento delle tangenti era stato organizzato dal suo socio Fabrizio Garampelli. Ma questi lo smentisce: «Ho dato solo cento milioni a Carriera, all'inizio dei lavori», dice. E un altro socio Aldo Massari, fra¬ tello del deputato psi (ex psdi) Renato, inquisito pure lui per le tangenti, quasi si maschera dietro risposte in dialetto milanese. Gran brutta immagine, quella che esce dal processo: un sottobosco di amministratori e imprenditori imiti dalla voglia di far soldi. Infischiandosene di tutte le norme. Pagamenti in nero, conti cifrati all'estero: «Era la prassi», dice Lasagni. E si stupisce dello stupore altrui. Per lui, per Carriera, per i loro soci e amici, quel comportamento era normale. La «prassi», appunto: fino a che il mondo non è crollato loro addosso. Susanna Marzolla «E fi) Matteo Carriera (a destra) con il suo difensore l'avvocato Guido Viola
Luoghi citati: Milano, Puglia, San Severo, Svizzera
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