C'è l'eroina dietro la morte del boss

Una nuova pista per l'omicidio Saffioti, il «re del totonero» ucciso a giugno Una nuova pista per l'omicidio Saffioti, il «re del totonero» ucciso a giugno gè Peroina dietro la morte del boss II suo cellulare usato per spacciare Lo aspettarono sotto casa, in piazza Campanella, tra i banchi del mercatino rionale. Gli esplosero alle spalle ventisei colpi di pistola, calibro 9, mentre saliva sulla sua auto. Saverio Saffioti, 40 anni, «Rino» per gli amici, morì senza neppure vedere in faccia i suoi assassini. Qualcuno parlò poi dei tre killer: lo avevano atteso a bordo di una Lancia Delta grigia, erano scesi in due e gli avevano sparato a bruciapelo, massacrandolo. Era il 25 giugno dello scorso anno. Gli inquirenti dissero che il delitto era legato alle «attività» di Saffioti, boss del Totonero gestito da tempo dai calabresi. Ora la magistratura sta indagando su nuovi elementi che sembrano indirizzare diversamente l'inchiesta: ci sarebbe una storia di droga dietro quel delitto. Una nuova pista, partita da un cellulare, un telefonino portatile sequestrato alcune settimane fa durante le indagini che hanno portato gli uomini della squadra Mobile alla cosca che spacciava eroina e cocaina in Piemonte, Liguria e Valle d'Aosta, Diciannove le persone arrestate: una organizzazione che vendeva, solo a Torino, dieci chili di droga la settimana. Si è scoperto che il telefono cellulare trovato in casa di Daniele Brancalion, 23 anni, uno degli arrestati per droga, apparteneva a Saffioti. Un altro degli inquisiti per questa recente inchiesta di droga ha poi raccontato qualcosa di quel vecchio delitto. Forse solo cose sentite da altri; ma quelle sue parole, quella sua traccia si sta rilevando una nuova pista che, se si troveranno conferme a voci ed ipotesi, potrebbe indirizzare diversamente le indagini. Si era detto che Rino Saffioti era indiscusso boss del Totonero. «Il gestore del banco, quello che stabiliva le partite su cui tenere gioco e le relative quotazioni», avevano raccontato carabinieri e polizia. Dunque il cervello o comunque uno dei cervelli dell'organiz- zazione. Uomo di rispetto, al quale ubbidire con fiducia. Perché dunque ucciderlo? In quei giorni di prime indagini si fecero una serie di ipotesi: «Forse non aveva pagato una grossa vincita, si è trovato in difficoltà, è stato minacciato, non aveva soldi». Qualcuno aveva persino ipotizzato che fosse stato ucciso per un errore. Possibilità poco credibile visto che i killer lo avevano atteso proprio sotto casa. Ora c'è una nuova ipotesi. Saffioti era uomo di rispetto per il ruolo che aveva all'interno della organizzazione ca¬ labrese. Per questo era spesso chiamato per fare da paciere in caso di diverbi o rivalità tra le varie famiglie. In uno di questi incontri in cui aveva dovuto dirimere una controversia aveva conosciuto personaggi importanti nel traffico della droga. Ora ci si domanda: perché il suo telefonino è finito in mano ad uno dei padroni della droga in Piemonte? Anche Saffioti era finito in quel giro? O, più facilmente, aveva fatto da garante per un «affare» che poi è saltato e per questo è stato punito? A sinistra, Saverio Saffioti, boss ucciso Sopra, Daniele Brancalion, arrestato

Persone citate: Daniele Brancalion, Rino Saffioti, Saffioti, Saverio Saffioti

Luoghi citati: Liguria, Piemonte, Torino, Valle D'aosta