Venti di speranza per i Tre Grandi di Michele Fenu

THE Si apre sabato il Salone di Detroit in un clima di fiducia per la ripresa dell'auto americana Venti di speranza per i Tre Grandi La scommessa con il Giappone DETROIT DAL NOSTRO INVIATO Tra Detroit e Los Angeles l'America dell'auto prepara la riscossa e lancia la sfida, Anno nuovo e grandi propositi in un Paese che si aspetta molti cambiamenti da Bill Clinton, che tra pochi giorni si insedierà alla Casa Bianca. Il '91 era stato disastroso, il '92 ha segnato una inversione di tendenza e nella cattedrale di marmo e vetro del Cobo Center di Detroit, dove sabato si aprirà il North American International Auto Show, è tempo di fiducia e di speranza. Idem sulla West Coast, dove la rassegna di Los Angeles - più casalinga e incentrata su temi ecologici, come si conviene alla California - ha già spalancato i battenti. L'industria mondiale numero uno ha perso colpi negli ultimi anni. E i tre grandi di Detroit, Gm, Ford e Chrysler, a causa della recessione economica che ha colpito gli Usa prima di Giappone e Europa, dei propri errori, dell'offensiva sferrata da Tokyo, hanno barcollato. Bilanci in rosso, profitti svaniti, scossoni ai vertici del management, migliaia di licenziamenti, impianti e concessionarie chiusi. Una crisi acuita dall'attivismo dei costruttori nipponici, che proponendo nuovi livelli di qualità e di assistenza e prezzi contenuti hanno raggiunto nel '91 il 31% del mercato americano (12 milioni 800 mila veicoli). Per le Case Usa una perdita quantificata in 10.500 miliardi di lire. Il momento peggiore fu forse toccato agli inizi del 1992 con la fallimentare missione a Tokyo dei top manager di Detroit e del presidente Bush e con il lancio di una campagna all'insegna del «Buy american», compra americano, dal modesto esito. Non poteva certo bastare il nazionalismo per far cambiare idee e gusti a un consumatore pratico e smaliziato come nessun altro al mondo. Le armi per battere Tokyo erano ben altre, e Detroit, con molti sacrifici, sembra aver ritrovato la via giusta. Con l'aiuto di una economia che nel corso del '92 si è progressivamente ripresa, della pesante battuta d'arresto del Giappone, che ha rallentato i progetti espansionistici, della stessa cautela dell'industria nipponica e, talora, ricórrendo a forme di protezionismo strisciante (specie per le auto monovolume). E l'industria americana si è scossa, cercando di diventare più dinamica e snella. Rinnovo di modelli, miglior qualità, strutture meno burocratiche: ecco i segreti di un ritorno sulla scena che dovrebbe esplodere in questo 1993 e che trova i suoi esempi più noti nelle berline LH della Chrysler, nella Ford Taurus, che ha battagliato nel '92 con la Honda Accord al vertice delle vendite dopo anni di dominio giallo, nella Saturn, la divisione creata dalla Gm. Non solo: si è rinnovato il management. Lee Iacocca e Robert Stempel hanno. affidato il timone della Chrysler e della Gm a uomini più giovani, come Robert Eaton e John Smith, americani sì ma entrambi - guarda caso - provenienti dalla scuola europea della Opel. E stessa sorte sta per toccare a Harold Poling (Ford), che sarà sostituito da Alex Trotman, un dirigente di origine inglese. E' il vento di Clinton, con cui l'industria e i sindacati - nell'anno del centenario della prima auto made in Usa (quella dei fratelli Durya) - hanno intensi contatti. I costruttori hanno chiesto tre cose al nuovo presidente: una revisione dell'assistenza sanitaria al personale per diminuire i costi rispetto al Giappone; l'abolizione della tassa del 10% sulle auto in vendita a più di 30 mila dollari; l'aumento del prezzo della benzina per contenere i consumi. E Clinton ha già fatto sapere di non essere un «liberista selvaggio» e di volere con Tokyo trattati commerciali equi. Ma il cammino è ancora lungo. Il 1992 non è stato un anno trionfale per il mercato americano, anche se le vendite di auto e veicoli leggeri (comprendendo i fuoristrada), quelli che negli Usa si chiamano «trucks», sono state migliori del '91, sfiorando i 13 milioni e mezzo di unità. Però, la quota di penetrazione delle giapponesi è scesa: i big di Tokyo (Toyota, Honda, Nissan, Mazda e Mitsubishi) e compagni hanno perso tre punti. I costruttori di Detroit hanno guadagnato in quote e immagine e possono guardare al futuro con meno timore, tant'è vero che il North American Motor Show è già stato ribattezzato «il Salone della speranza». Pur con tutti i «ma» di una situazione che resta delicata sotto il profilo finanziario e con problemi sociali gravi. Detroit, però, sente di aver cambiato pagina. E tutti giurano di aver vinto la scommessa con i giapponesi. Finalmente. Michele Fenu THE NORTH AMERICAN INTERNATIONAL AUTO SHOW A sinistra, la Pontiac Trans Sport con motori da 2.3 litri I6v e 3.8 a 6 cilindri Sopra, la Mercedes Roadster SL con un inedito tipo di tettuccio trasparente