Orlando: è il Palazzo che vuole uccidermi

Orlando: è il Palazzo che vuole uccidermi Orlando: è il Palazzo che vuole uccidermi Non siamo giacobini, ma la mafia non è solo Totò Riina f> / IL LEADER DELLA RETE OROMA NOREVOLE Orlando, il ministro dell'Interno ha detto che lei è «la vittima designata», che la mafia voleva colpirla a Natale. Lei sapeva, il 25 dicembre, che avrebbe dovuto saltare in aria? «Lo sapevo: gli investigatori mi avevano avvisato quindici giorni prima. Ma sapevo anche un'altra cosa: che il mio problema oggi, il problema numero uno, non è quello di rimanere ucciso». Sta dicendo che l'incolumità della sua vita non la preoccupa? «Certo che mi preoccupa. Scatta l'angoscia, vivo in un bunker. Ma poi mi chiedo: perché capita tutto questo? E rispondo: perché vogliono uccidere le mie idee. E allora dico: se in un un Paese, un leader politico - uno qualsiasi - rischia la vita per le sue idee, questo significa che in quel Paese c'è un rischio-democrazia». Che vuol dire, onorevole: che non c'è democrazia in Italia perchè lei è in perìcolo? «Voglio dire che siamo a una svolta storica. Da alcuni mesi viviamo il dopo-Yalta, cioè la fine della contrapposizione fra i blocchi, ma anche la fine dell'impunità per i gerarchi e degli uomini del regime. Impunità per ruberie, complicità, frequentazioni illegali». Avevano l'impunità perché stavano dalla parte giusta? «Certo: perché difendevano libertà, pluralismo, e, come sosteneva qualcuno, perfino la fede». Scusi, ma non c'era anche lei da quella parte? «Anch'io, sì. Ma mi sforzavo di uscire in qualche modo dalla gabbia. La "trasversalità" di cui tanto si parla, io l'ho messa in pratica molto prima dell'89». Ma l'epoca di Yalta è finita, lei dice. E non a caso sono cominciate le inchieste dei giudici. E' cosi? «E' così. Sfido chiunque a negare l'evidenza». Ma come ha potuto il «dopoYalta» spalancare le porte ai giudici? «E molto semplice: i sovietici sono finiti e agli americani non interessa più difendere personaggi come Craxi e Andreotti. Non le dice niente l'attacco del New York Times a Andreotti (il primo in quarant'anni) come uomo legato alla mafia?». Vuol dire che per capire la caduta di Craxi e le accuse americane ad Andreotti bisogna mettersi sulla tomba del comunismo? «I loro misfatti non sono più coperti dai loro presunti meriti internazionali. Sono diventati reati o fatti illeciti secondo la legge penale. Voglio essere ancora più chiaro: la caduta del Muro di Berlino non copre più le loro colpe». Quindi, secondo lei, da Berlino comincia anche il crollo di un altro muro: il muro della nomenklatura italiana. E' così? «Mentre all'Est, da Berlino a Ceausescu, la caduta è stata rapi- da e violenta, qui il muro si sfalda giorno per giorno. Attenzione: da noi quel muro non crolla. Si sbriciola. Il cinque aprile con le elezioni politiche, il 29 settembre con il voto a Mantova, il 13-14 dicembre con gli ultimi risultati nei 55 Comuni; e infine con l'avviso di garanzia a Craxi. Ma guai a pensare che sia finita». Chi vincerà? «Lo sappiamo già: il nuovo. Ma non sappiamo affatto i costi che dovremo pagare per vincere». Cosa significa? «Che ogni giorno può essere colpito chi vuole il nuovo. Gli uomini della nomenklatura non lasciano il potere tanto facilmente. Qui il muro cade con lentezza, pietra dopo pietra. E dietro ogni pietra può anche esserci una vittima». Fra i demolitori del muro? «Proprio così». Lei? «Anche, come tanti». Onorevole, lei parla di «vittime», «cadute», «costi», killer che colpiscono. E' un linguaggio apocalittico. Non le sembra di esagerare? «Per niente. Qui è saltato il tappoesplosivo che per troppo tempo ha tenuto chiusa la bottiglia-Italia. Questo tappo è l'anticomunismo. E sotto questo tappo si è tollerata ogni sorta di porcheria. Turatevi il naso e votate de: lo diceva anche una persona perbene come Montanelli. Ma oggi tutto è cambiato. E' saltato il tappo-comunismo che bloccava la questione etnica in Jugoslavia. Ed è saltato il tappo-anticomunismo che comprimeva la questione etica in Italia. Dobbiamo sapere che le conseguenze rischiano di essere gravissime». Sta parlando delle minacce di morte, come quelle contro di lei? «Sto parlando di pericoli per la democrazia. Per quel che mi riguarda, il ministro Mancino ha detto che il pericolo che io corro è al massimo livello, perché è il vertice di Cosa Nostra a volermi colpire. Ma io continuo a credere che non sia proprio così». Perché? «Che cosa centra Totò Riina, il capo di Cosa Nostra, con l'onorevole Orlando?» Ce lo spieghi lei... «Ma come si può pensare che la cupola di Cosa Nostra voglia colpire me soltanto per motivazioni criminali o mafiose? Io non faccio il poliziotto, non faccio il magistrato. Non vado alla ricerca di trafficanti di droga o dei latitanti. Io non sono un pericolo diretto per la mafia. No. Io sono un pericolo per la politica che protegge i mafiosi. Ecco che cosa sono. Più un pericolo per Giulio Andreotti che per Totò Riina. Anche se poi scopri che lo stesso Andreotti ha bisogno di Riina. E Riina ha bisogno di Andreotti». Perché? «La mafia non è solo criminalità. La mafia è affari, è intreccio fra politica è affari. Abbiamo coniato una sigla che spiega molte cose: "pam" politica affari, mafia e massoneria». Onorevole, ragionare a colpi di sigle è pericoloso: questo «pam» ricorda tanto un'altra sigla, «sim», stato imperialista delle multinazionali. Sa chi la usava? Le Br... «No per carità. Io non ragiono con le sigle ma in base ai fatti. Guardiamo la storia. Tutti hanno riconosciuto il contributo che nel '43, '44,45' la mafia ha dato alla liberazione della Sicilia dal nazifascismo». Che cosa vuol dire questo discorso? «Che la mafia ha avuto una legittimità storica precisa. C'è chi l'ha usata ieri per una causa magari giusta, finendo poi complice e vittima di criminali alleati. Usare la mafia è sempre un errore. Ieri come oggi». Se Totò Riina, come lei dice, non ha interesse a minacciarla, da dove arriva il pericolo? «Dalla nomenklatura». Dai suoi avversari politici? «Proprio così». Onorevole, si rende conto della straordinaria gravità di queste sue accuse? I mandanti, secondo lei, vanno cercati nel Palazzo, in chi ha governato l'Italia? «Non c'è dubbio». Ha dei nomi da fare? «I nomi della nomenklatura di sempre». Ha le prove? «Tutte le volte che il delitto incontra la politica, il delitto rimane impunito». Onorevole, è troppo poco. Altre prove? «Il nostro è l'unico Paese dove tutte le grandi stragi sono rimaste impunite. Le basta?» Dice che c'è un concerto di forze della nomenklatura contro di lei? «Contro di me e contro chi, come me, fa politica in modo radicale, oggi, per abbattere il muro». Nomenklatura in collusione con la mafia? «Nomenklatura in grado di usare pezzi dello Stato e di manovrare la mafia. Insomma, per essere chiari: se per ipotesi organizzassero un attentato contro di me, io avverto: il mandante non è Toto Riina, ma va cercato a Roma». Ha lasciato scrìtte queste cose? «Le dico a lei». Ha paura? «Gliel'ho detto: ho paura per la democrazia». Paura fisica... «Tutti abbiamo paura. Sarebbe innaturale non averne». E per i suoi figli? «Preferirei non parlarne». Lei dorme in caserma? «A Roma sempre». E a Palermo? «Qualche volta». Possono queste misure mettere al sicuro la vita di una persona? «Con Falcone e Borsellino la mafia ha dimostrato di poter colpire dove vuole. Queste misure possono servire a renderne più difficile un attentato. Ma la vera sicurezza la raggiungeremo solo alla fine della corsa». Quando? «Quando riusciremo ad abbattere il muro. Ma abbiamo poco tempo». Quanto? «E' questione di mesi, forse di settimane. Il momento della verità arriverà alla Camera con il provvedimento di autorizzazione a procedere contro Craxi». Perchè? «Se la richiesta dei giudici non passa, questo Parlamento non è più legittimato a rappresentare il Paese». Onorevole, lei usa un linguaggio estremo. Fa una politica urlata. Che cosa risponde a chi dice che siete i nuovi fondamentalisti, i khomeinisti della politica? «Se l'accusa arriva da parte della vecchia nomenklatura è un complimento. Abbiamo fatto una scelta di radicalità. Il regime crolla: è bene che ci sia qualcuno ad assumersi questa parte». Anche i giabobini erano radicali. Ma avevano un debole per la ghigliottina... «No. Noi vogliamo difendere la legalità con la legalità». Andreotti ha detto: Orlando non ha titolo per accusare. Quando era sindaco di Paler¬ mo non ha mai denunciato un mafioso. Cosa risponde? «Appena eletto sindaco mi sono costituito parte civile al maxiprocesso. E ho fatto ai giudici nomi di uomini d'affari e politici, anche della corrente di Andreotti, per i delitti Mattarella, Insalaco e Reina». Ha letto la lettera di Andreotti contro Catilina? «Mentre dite di ricercare consensi cospirate, minate la salus rei publicae...» «Negli ultimi giorni della loro dittatura anche Ceausescu, Honecker e Marcos avevano usato espressioni simili. Quel passaggio sull'esilio irreversibile, poi, messo in relazione alle minacce della mafia, ha un significato inquietante». Senta onorevole, la Rete è un movimento piccolo. Piccolissimo. Perché la mafia dovrebbe avercela proprio con voi? «Non essendo legati all'apparato, al Palazzo e alle ideologie possiamo andare fino in fondo. Ad esempio contro Craxi e Andreotti». Perché proprio loro? «Con loro non abbiamo mai scambiato favori. Quindi possiamo parlare. Altri che forse vorrebbero farlo, non ce la fanno: troppi sono i legami che li tengono imbavagliati». Non ha risposto: oggetto della vostra polemica sono solo Craxi e Andreotti? «No: il nostro essere fuori dai giochi ci consente anche di denunciare le zone grigie, gli utili idioti». Chi? «Personaggi come Segni e Martelli, i quali pensano che basti semplicemente riverniciare i mattoni del muro e usarli in altro modo». E voi? «Noi facciamo piazza pulita». Vede che rispunta la ghigliottina? «No, sappiamo distinguere. Scalfaro, per esempio. E' uno dei pochi elementi di speranza. E' un conservatore ma ha due punti di forza: la dirittura morale e la fedeltà alla Costituzione. Anche noi siamo fedeli alla Costituzione: perchè siamo forza di governo». Voi, nuovi giacobini? «Vogliamo essere giacobini oggi per governare domani». Ma Robespierre non è finito sulla ghigliottina? «Lui sì. Noi avremo sorte migliore». Mauro Anselmo «Andreotti usa contro di me le stesse frasi di Ceausescu, Honecker e Marcos negJLi ultimi giorni della loro dittatura» Giu(fotA sil mdelNicMaavverto: il mandRiina, ma va cercHa lasciato scrìse? «Le dico a lei». Ha paura? Glil'h dtt h Leoluca Orlando (nella foto grande) Sopra, il segretario socialista Bettino Craxi Giulio Andreotti (foto sopra) A sinistra il ministro dell'Interno Nicola Mancino