ADENAUER I prigionieri venduti

ADEN Uno storico tedesco accusa: «Sacrificò cinicamente i soldati rimasti in Urss» ADEN / prigionieri venduti BONN DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Si incrina il mito di Konrad Adenauer, l'artefice della resurrezione tedesca, il padre della patria? La polemica esplode improvvisa, un lungo dossier della Zeit solleva un quesito inedito: il Cancelliere della svolta, dopo gli anni della disfatta e della guerra, sacrificò i prigionieri tedeschi in Urss al riawicinamento all'Occidente e alla politica del riarmo tedesco? Dimenticò diecimila «Spaetheimkehrer» - i «prigionieri tornati in ritardo», 10 anni dopo la fine della guerra - per compiacere gli americani? La tesi dello storico Heinrich Meyer, il primo ad occuparsi del problema, fa sbiadire l'immagine accreditata del Cancelliere «instancabile difensore dei prigionieri di guerra», e sembra aprire un nuovo fronte nella controversa rilettura del passato. Solleva un problema grave sui limiti della ragion di Stato, sul rapporto fra gli interessi geopolitici e quelli umanitari. Questa storia difficile comincia con un primo choc, per il popolo tedesco: un comunicato del 5 maggio 1950 con il quale l'agenzia Tass informava che restavano in Urss «soltanto 9717 criminali di guerra, 3815 prigionieri in istruttoria e 14 malati». Fino ad allora, in Germania si pensava che in Unione Sovietica ci fossero invece un milione e mezzo di prigionieri: nel maggio del '45 la Tass aveva parlato di 3 milioni e mezzo; quasi 2 milioni dunque avrebbero dovuto essere rimpatriati nel frattempo, ma non era stato così. Perché quelle cifre, cosa era accaduto agli altri? Non ci fu risposta, e ancora oggi il destino di oltre un milione e trecentomila prigionieri tedeschi non è chiaro. Ma quel comunicato ambiguo scatenò, secondo Meyer, una catena di reazioni che «provocando l'Urss con il linguaggio della guerra fredda», allontanarono una soluzione per «gli ostaggi tedeschi in Urss». Ancora esclusa dall'Onu, per sollevare il problema davanti al mondo la Germania si valse della mediazione di Stati Uniti e Inghilterra. A loro affidò una proposta che sollecitava un'indagine sui campi sovietici. Mosca la bloccò. Bonn, allora, la ripresentò in termini più generali: tutte le nazioni che avevano partecipato alla guerra, anche le potenze occidentali, dovevano informare l'Onu sulla situazione dei prigionieri. L'Urss non avrebbe perso la faccia e il problema si sarebbe risolto, so stiene Meyer: ma pochi giorni prima dell'assemblea dell'Orni, Adenauer «tirò un colpo mancino». Pubblicò una durissima condanna dell'Urss, accusata di violare i diritti umani, la dottrina cristiana, gli usi dei popoli civili. Un documento di motivata accusa morale, nota la Zeit, ma rilasciato nel momento sbagliato da un Paese che dimenticava di essersi macchiato delle stesse colpe: le «SS» e la polizia militare del Reich avevano commesso infamie peggiori nei confronti dei prigionieri russi. Il «tono di accusa» di quella dichiarazione e «l'aggressività nella scelta delle parole» furono, secondo Meyer, «una provocazione deliberata» e consapevole nei confronti dell'Urss. «La Germania non ancora sovrana sfidava una delle potenze vincitrici, che teneva in ostaggio 17 milioni di persone nella Ddr e decine di migliaia di prigionieri di guerra e deportati. Non parlava del modo di liberare i prigionieri o di come negoziare la loro liberazione, non lanciava nessun appello alla generosità del vincitore, non avanzava nessuna richiesta di grazia». Il governo tedesco, che non poteva trattare direttamente con l'Urss, «avrebbe potuto almeno rivolgersi a istituzioni umanitarie, la Croce Rossa, le Chiese, le associazioni dei reduci», insiste lo storico. Adenauer, invece, «si rifiutò, ostacolò questi tentativi e impedì che si arrivasse a un buon esito». Anche a causa di questo comportamento, nota la Zeit, Stalin e i suoi successori «furono facilitati nel conservare la menzogna dei prigionieri con¬ dannati giustamente». Quando si presentò l'occasione di contatti indiretti fra la Croce Rossa tedesca e quella sovietica, Adenauer disse sempre di no. Il presidente dell'Organizzazione tedesca, Heinrich Weitz, fu bloccato dal Cancelliere quando propose di andare a Mosca: Adenauer obiettò che «il governo americano avrebbe potuto dubitare della Repubblica Federale». E lo stesso accadde all'Associazione dei rimpatriati: per tre volte chiese al governo federale di inviare a Ginevra un suo rappresentante per trattare con i delegati sovietici. Il ministero degli Esteri di Bonn, retto da Adenauer, si oppose «senza giustificazioni plausibili», nonostante l'Associazione avesse l'appoggio di sette milioni di cittadini che avevano sottoscritto una petizione. Il «miracolo di Mosca», lo sblocco di una situazione che sembrava destinata a restare congelata, avvenne soltanto in seguito alla ribellione popolare nella Ddr, il 17 giugno del '53. Due mesi dopo i disordini, il Cremlino invitò una delegazione di Berlino Est e rappresentanti della Croce Rossa della Ddr. In quell'occasione, Mosca annunciò di essere disposta a un'amnistia, ma non fece cifre, non precisò quanti prigionieri sarebbero rimasti nei campi. Il dialogo riprese con un viaggio in Urss del capo della Chiesa evangelica tedesca, Gustav Heinemann, nel '54, che si incontrò con il patriarca ortodosso di Mosca. Rientrato in Germania, Heinemann incoraggiò nuovi contatti. Ma «fu diffamato dal governo», quando scrisse ad Adenauer chiedendogli di garantire alla Croce Rossa tedesca «piena libertà di azione e un sostegno totale». Quando infine, per gli sforzi di Heinemann, Weitz fu ricevuto dall'ambasciatore russo a Belino Est, Puschkin, che mostrò disponibilità a un incontro con la controparte tedesca, il presidente della Croce Rossa si chiese ad alta voce: «E adesso come faccio a dirlo al mio Konrad?». Il problema fu risolto dai russi: appena la Repubblica Federale riacquistò la sua sovranità, nel maggio del '55, il governo sovietico invitò Adenauer a Mosca. Il Cancelliere accettò, e per la prima volta dal '50 pose il problema dei prigionieri all'ordine del giorno. Il capo del governo sovietico, Bulganin, si mostrò all'inizio inflessibile. Fu un deputato socialdemocratico che accompagnava Adenauer, Carlo Schmid, a vincerne le resistenze: parlò della vergogna tedesca e dei crimini commessi dai tedeschi. «Non faccio appello alla giustizia ma alla generosità del popolo russo», disse. «Non chiedo grazia per i condannati, ma per le loro donne, i loro bambini e i loro genitori». La spuntò, e fu Krusciov a dare il segnale del disgelo: «Sono state le parole giuste nel modo giusto». Emanuele Novazio mam £ ' scandalo sul Cancelliere della svolta: per compiacere gli americani ostacolò il rilascio dei militari Vennero restituiti cinque anni dopo: grazie alle scuse di un deputato l ¥ ADEN Il Cancelliere Konrad Adenauer con la principessa Soraya. Lo scopo della sua politica estera: stringere la Germania all'Occidente II Adenauer in Vaticano (nella foto sopra) con il Papa Paolo VI A sinistra: il Cancelliere esce dalla sua villa con la figlia Lia Reiners Nella foto grande, a Mosca nel '55 con Kruscov