Non sparate sul tenore di Giorgio Pestelli
Un idolo infranto che dovrebbe riposarsi e coltivare la voce Un idolo infranto che dovrebbe riposarsi e coltivare la voce Non sparate sul tenore ■ ah ìi\ Jm iri on jn ERA prevedibile che il polverone sollevato dalle stecche di Pavarotti alla Scala di Milano avrebbe finito con l'estendersi altrove: nulla è infatti più contagioso della stupidità e in fatto di ignoranza tutto il mondo è paese: quindi anche la Germania, maestra di civiltà e organizzazione musicale; quindi anche Dusseldorf, la città degli ultimi anni di Schumann e sede di un Teatro d'Opera attivissimo e competente. Naturalmente quello che contesto e rifiuto non è la facoltà di fischiare (proprio su questo giornale un paio di anni fa mi è capitato di pronunciarmi a favore del fischio come tonico di una situazione musicale depressa); ma di fischiare solo le stecche e di fare un caso nazionale solo dei fischi al tenore famosissimo, nella speranza di godere dell'idolo infranto. Infatti, nei teatri di tutto il mondo si è sempre fischiato senza che bisognasse tanto ragionarci so¬ pra: solo alla Scala tre stagioni fa si fischiò sonoramente Merrit e la Studer nei «Vespri siciliani»; e qualche anno prima nientemeno che Carlo Bergonzi, nella tremenda sortita di «Aida», scatenò le furie del loggione assai più di Pavarotti nell'infelice «Don Carlo» di quest'anno. Ma la fama di Pavarotti, moltiplicata dai megaconcerti in televisione, ha rimpicciolito il mondo dell'opera trasformandolo in una grande fiera di paese. Il nostro tenore dovrebbe tenerne conto: ridurre drasticamente le prestazioni, riposarsi e coltivare il dono della sua voce solo dentro i suoi limiti, con il senso critico che ogni vero interprete deve possedere. Io non ho molti ricordi vivi di Pavarotti, il tenorismo italiano non rientrando nelle cose di cui vado in cerca: il più luminoso resta quello di una lontana «Luisa Miller», appena insidiato da uno strepitoso Duca di Mantova nel «Rigoletto»; totalmente fuori parte in un «Idome- neo» a Salisburgo e altrettanto nel recente «Don Carlo», dove sembrava fin più vecchio del padre suo Filippo (l'aitante Samuel Ramey): più delle sue stecche bisognava fischiare chi non lo ha dissuaso dal cimentarvisi. Se il pubblico di Dusseldorf è rimasto deluso e scottato nella spesa del biglietto ha fatto bene a fischiare, ma la cosa finisce lì, nella storia della serata. Un artista fischiato è cosa triste e può solleticare il palato solo di animi terra terra: dove appunto i nostri formidabili mezzi d'informazione trovano il loro pascolo preferito. La cosiddetta musica classica oggi non interessa più molto, basta vedere lo spazio che le dedicano i nostri giornali; e se dovessimo solo più occuparci di stecche di tenori o di grullaggini come il Concerto di Capodanno, la musica classica sarebbe meglio chiuderla. Giorgio Pestelli
Persone citate: Carlo Bergonzi, Luisa Miller, Merrit, Pavarotti, Samuel Ramey, Schumann, Studer
Luoghi citati: Germania, Mantova, Milano, Salisburgo
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