Il bersagliere mai visto

Rari capolavori in una mostra sui Macchiaioli a Genova Rari capolavori in una mostra sui Macchiaioli a Genova Il bersagliere mai visto Fattori sfida Cézanne e Van Gogh PGENOVA ALAZZO Ducale ospita sino al 14 febbraio una mostra di 172 dipinti dei Macchiaioli, aperta da un celebre guazzo su carta di Adriano Cecioni, che rappresenta in caricatura l'interno del fiorentino Caffè Michelangelo negli Anni 1860 con Banti, Cabianca, Signorini, Borrani, Lega, Sernesi, Costa, De Tivoli, D'Ancona e conclusa dai sempre sconvolgenti capolavori tardi di Fattori nella Maremma toscana e laziale. E' una mostra singolare. Infatti si definisce «progetto visivo» (di Dario Durbè, Piero Dini, Francesca Dini) e si intitola «I Macchiaioli e l'America». Non è buona norma premettere alla recensione di una mostra considerazioni sul catalogo (editore Francesco Pirella; di ottima qualità nelle riproduzioni), ma non si può dar ragione né di quelle singolarità né di quel fascino senza riferirsi alla introduzione di Durbè e al saggio di Piero Dini sul grande collezionismo - e mercato - dei Macchiaioli, quello storico di Diego Martelli, di Carmelo, poi di Gustavo Sforni, Mario Galli, Oscar Ghiglia, Enrico Piceni, Marzotto, Stramezzi, Canotti, fino al Borgiotti e allo stesso Dini. Questi si cita, a buon diritto, come autore di «eccellenti monografie» su alcuni Macchiaioli; d'altra parte la sua collezione a Montecatini costituisce anche un asse portante della mostra. Quanto a Durbè, che a ogni passo rivendica legittimamente i propri meriti di studioso e di organizzatore di mostre dei Macchiaioli, egli ripercorre la travagliata vicenda della iniziativa genovese. Il titolo, palesemente legato alle «Colombiadi», nasceva dall'ipotesi di riproporre, in opere e in catalogo, la grande esposizione «The Macchiaioli'paiinters of italian life» organizzata dallo stesso Durbè nel 1986 negli Stati Uniti, a Los Angeles e a Cambridge, arricchendola con opere delle collezioni private genovesi. Prestiti molto limitati dalle collezioni pubbliche, porte tradizionalmente chiuse delle case genovesi (Durbè e Francesca Dini si dividono in catalogo il compito delle lamentazioni) hanno ridotto a metà, un centinaio di opere, l'impianto americano. Il nuovo e diverso «progetto visivo», con opere anche importanti poco note o inedite e il recupero parziale di un'altra mostra dello stesso 1986, curata da Piero Dini, «dal Caffè Michelangelo al Caffè Nouvelle Athénes», vista anche a Torino alla Mole Antonelliana, è divenuto «I Macchiaioli oggi pietre miliari e recenti ritrovamenti». Ma questo vero e legittimo titolo compare solo nel testo introduttivo di Durbè e in un occhiello all'interno del catalogo; in copertina e in frontespizio, nei manifesti, nella pubblica propaganda continua a campeggiare l'incomprensibile, o meglio non più comprensibile, «I Macchiaioli e l'America». Nonostante questi travagli, la mostra rimane godibile, intelligente, in più punti addirittura imprevedibile sia per aspetti meno frequentati degli artisti maggiori Fattori, Lega, Signorini, sia per rivelazione di qualità dei comprimari, soprattutto Abbati, Borrani, Sernesi. L'andamento della mostra, nel recuperato piano nobile del Palazzo, intreccia la cronologia, dalla «macchia» al rapporto con il Naturalismo europeo soprattutto da parte di Lega, Signorini e Banti, con i grandi momenti di incontro e di incrocio, a Castiglioncello nella tenuta di Diego Martelli e a Piagentina presso Firenze. La prima sala scandisce i primordi e la presenza più netta e dura della «macchia». Un gran paesaggio di quello che i sodali del Caffè Michelangelo definivano il «papà della macchia», Serafino de Tivoli, del 1856, appena tornato da Parigi, rivela i forti legami con i maestri di Barbizon; la perentorietà originaria della «macchia» cromatica fra lume e ombra caratterizza le tavolette militari del 1859 di Fattori e di Signorini, dello stesso Signorini i bozzetti ripresi nel 1858 nel ghetto di Venezia, e ancora il vertice assoluto rappresentato dal minuscolo Tetti al sole di Sernesi e la squisita figurina della Signora in giardino di Vito d'Ancona. La seconda sala illustra invece l'altro versante, la limpidezza quasi nordica di luce e di disegno di eredità purista negli interni di chiese e di palazzi gotici fiorentini di Abbati, Borrani, Signorini. Nella terza sala entriamo nel pieno della stagione livornese di Fattori fra 1863 e 1867 che alterna le affinità con gli sviluppi della «macchia» nel cenacolo di Martelli a Castiglioncello, evidenti nello stupendo, dolce, infinito respiro maremmano di Pasture in Maremma abbinati al suo bozzetto puramente ambientale (è un episodio che si ripete altre volte in mostra, con criterio assai felice) con opere di vita rustica di più ampio e meditato impegno «alla francese», come la grande Contadina nel bosco. Lo affianca l'influente amico romano Nino Costa, del quale Una sera alle Cascine del 1859-60 preannuncia i futuri simbolismi di natura, mentre la bellissima sintesi del Ritratto di giovinetto gareggia con il Ritratto della cognata e con l'inedito Ritratto di Ersilia Carboni del Fattori. Il fulcro della mostra è costituito dalle due grandi sale dedicate rispettivamente a Castiglioncello e a Pergentina. Nella prima, accanto alle ultime opere di piena «macchia», note e meno note, di Fattori e a grandi composizioni Ètte La raccolta del fièno'in JKflf§ftiffaja, hanno bellissimo s{^c^gpessos confrontandosi sul rntecfèsimo '«morir», gli'ihfimlfcffluTbincfei orizzonti di Borrani; bernesi, Abbati. Nella seconda trionfa l'intimismo del Lega, con la sua limpidezza degna del primo Degas fino al purissimo vertice de La pittura del 1869, rieccheggiando negli interni borghesi, quasi neo olandesi, di Borrani e soprattutto di Cecioni e, nella sala successiva, del raffinato Vito d'Ancona. In questa e nella sala successiva si dispiega il pieno naturalismo, equilibrato fra i confronti francesi e quelli tedeschi, del tardo Lega e di capolavori della maturità di Signorini fra Settignano e Riomaggiore, con le Bigherinaie degne di un Liebermann e l'inquietante, quasi espressionista Ragazza con il vezzo rosso, certo una zingarella ma senza alcun folclorismo. Il gran colpo di regia finale, nella cappella ducale in restauro, è riservato da Durbè all'ultimo Fattori maremmano di cui ho già detto. Compare anche un capolavoro noto fino ad oggi solo per immagine, il Bersagliere Stramezzi: il paragone è solo con Cézanne e Van Gogh. Marco Rosei Sotto il titolo, Telemaco Signorini: «Piazza a Settignano». Qui accanto, Giovanni Fattori: «Il bersagliere» tra i 172 dipinti esposti in Palazzo Ducale a Genova fino al 14 febbraio