La canzone di Guareschi prigioniero e vincitore

La canzone di Guarescbi prigioniero e vincitore LETTERE AL GIORNALE: IL LUNEDI'DI O.d.B. La canzone di Guarescbi prigioniero e vincitore Caro Giovannino Caro Del Buono, anch'io sono un ex Imi con il n. 4223, ed ho letto con commozione quanto hai voluto scrivere nello «Speciale» della Stampa del 19/12/92 ricordando il caro Giovannino Guareschi. Sono stato con lui in Polonia e negli ultimi Lager di Sanbostel - XB e Wietzendorf 83 - fino al 16 aprile 1945, quando un reparto di un reggimento della Guardia della Regina di Inghilterra ebbe a ridarci la libertà. E' proprio vero che: «Per tener su il morale ci arrangiammo da soli», ma a questo arrangiarsi dette un impulso non indifferente il caro Giovannino, che da mattina a sera, affamato e soprattutto senza sigarette, lui accanito fumatore, visitava decine di baracche del campo, ove intratteneva gli Imi con i suoi «Giornali Parlati», del tutto affascinanti e volti a tener vivo lo spirito dei prigionieri perché reagissero alla soffocante prepotenza degli aguzzini e non si sentissero mai sconfitti. Tu hai rilevato che Guareschi era uscito «senza nastrini e senza medaglie da un oceano in tempesta, ma vittorioso per esser passato attraverso il cataclisma senza odiare nessuno». E questo sentimento di amore verso il prossimo ed anche verso il nemico ha avuto la sua più alta espressione nella «Carlotta», la canzone dedicata alla sua figlioletta. Non solo le parole, ma anche la musica, non ricordo chi ne fosse l'autore, assai orecchiabile, erano molto belle, e questa canzone fu subito canticchiata e fischiettata dagli 8000 ufficiali italiani perché lo XB era un Offlager. Abbi a perdonarmi, caro Del Buono, per questo struggente ricordo che spesso ricorre nella mia memoria, e rivedo ancora quei lunghi baffi e quegli occhi dolci e tristi del buon Giovannino. Si fanno tante cassette, ma quella canzone meriterebbe di averne una tutta per sé. Racconta di una bimba, la Carlotta, che sta sempre sul balcone ad attendere il suo papà e a un certo momento all'angolo della strada appare un uomo vestito con strani abiti che avanza verso la casa e che la bimba intuisce sia il suo papà: ha un monocolo e un baston, sembra quasi un vincitore, questi sono i patetici versi del refrain. E vincitore Guareschi lo è stato veramente, assieme ai suoi compagni di prigionia, «una vera democrazia di galantuomini», come tu sottolinei. Nel concludere il tuo scritto, peraltro, esprimi un amaro interrogativo: «Ma ora?». Mi permetto una risposta: gli uomini della nostra generazione hanno tanto sofferto, hanno creduto nell'Italia, ed ancora, forse un po' ingenuamente, ci credono. Un fraterno abbraccio ed auguri vivissimi. aw. Remo Pestarino, Sanremo Gentile avvocato, la ringrazio per la sua lettera e il suo ricordo di Giovannino Guareschi. Dunque, non è tutto inutile quel che faccio in questo giornale. La musica di «Carlotta», se non sbaglio, era di Arturo Coppola. Mi sarebbe davvero piaciuto (visto che era destino che passassi un certo periodo di vita in Lager a scopo educativo) stare insieme con Guareschi, ma, dato che l'armistizio era avvenuto quando ero ancora allievo ufficiale, non finii tra gli ufficiali, e la truppa fu subito costretta a lavorare. Non avemmo molto tempo di pensare a intrattenerci, ma solo quello di cercar di sopravvivere. Ma l'esperienza fu press'a poco uguale. [o. d. b.) Precisazione dovuta Caro Del Buono, sono il solito scocciatore che le scrissi altre volte senza esito di replica. Tuttavia, questa volta, qualche cosa dovrà pubblicare. Le ricordo, perché certamente lo ha dimenticato, che fui suo compagno di «villeggiatura» in Germania negli anni 1943-1945. Ho letto con molto piacere il suo articolo su Giovannino Guareschi in Tuttolibri del 19 dicembre 1992. Quanta riconoscenza dobbiamo al caro Giovannino che è riuscito a farci ridere in momenti in cui era difficile persino sorridere. Questa è solo una premessa e vengo al dunque, chiedendole scusa se le porto via un po' di tempo, ma lo ritengo importante. Verso la fine del suo articolo lei scrive testualmente: «La Croce Rossa Internazionale rifiutava di occuparsi di noi perché la qualifica di Imi, Internati Militari Italiani, era nuova e non con¬ templata». Sottolineo «rifiutava», lo ho tre figli. Quando mi dicevano che a scuola si faceva una colletta in favore della Croce Rossa io li invitavo a non portare nulla e a dire agli insegnanti che il loro padre aveva avuto bisogno della Croce Rossa, ma che essa era stata assente. Naturalmente mia moglie, che aveva potuto inviarmi un pacco di viveri tramite (solo tramite) la Croce Rossa, a mia insaputa dava loro il denaro necessario alla colletta. Ora, però, ho cambiato idea e sono diventato un difensore della Croce Rossa, precisamente del Cicr (Comité International de la Croix Rouge) e questo dall'inizio del novembre 1987. E le spiego perché. Nei giorni 2-3-4 novembre 1987 vi è stato un convegno a Torino (progettato in larga misura dal prof. Giorgio Rochat del direttivo dell'Istituto storico della Resistenza in Piemonte) intitolato: «Una storia di tutti Prigionieri, internati, deportati italiani nella seconda guerra mondiale» a cui ho assistito nei tre giorni. Certamente, lei non ha assistito a questo convegno né ne conosce gli atti pubblicati da Franco Angeli per l'Istituto storico della Resistenza in Piemonte, nel 1989. Non so se le è possibile trovare o semplicemente consultare questa pubblicazione, in caso contrario me lo dica, anche con un colpo di telefono, e io farò per lei una fotocopia della parte che interessa e precisamente da pag. 279 a pag. 309. Si tratta della relazione di Luigi Cajani che ho seguito con molto interesse e al termine della quale sono andato a ringraziarlo per avermi fatto conoscere nei riguardi del Cicr ciò che, fino a quel momento, mi era ignoto. Una sintesi brevissima da parte mia: con una nutrita documentazione il Cajani spiega che il Cicr fin dal novembre 1943 cercò di portarci aiuto. In un pri¬ mo momento vi fu opposizione da parte del tedeschi e della Rsi di Salò, ma in un secondo tempo vi fu opposizione rigida da parte principalmente degli inglesi, che infine dettero l'autorizzazione ad assistere gli Imi, ma in data 7 maggio 1945!!! Caro Oreste del Buono non le pare che sia corretto precisare che non è vero che il Cicr si è «rifiutato» di occuparsi di noi Imi, ma che glielo impedirono sia i tedeschi in un primo tempo sia gli inglesi per tutto il tempo? Giovanni Rostagno, Torino Gentile signor Rostagno, la ringrazio molto per la precisazione Così so che almeno qualcuno del Cicr ebbe intenzione di aiutarci. E le buone intenzioni contano molto per la religione in cui sono nato. Purtroppo, nulla si tra sformò in realtà. Del rifiuto ot tenuto da parte della Croce Ros sa mi parlarono i miei al mio ri torno a casa il 23 aprile 1945. La data 7 maggio mi sa di umorismo inglese. Comunque, aderisco volentieri alla sua richiesta. [o. d. b.)

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