Se il pensionato paga più del Bot-capitalista di Mario Salvatorelli

r I NOSTRI SOLDI Se ilpensionato paga più del Bot-capitalista L 14 dicembre, rispondendo a un lettore sulla tassazione dei Bot, lei confronta il milione e 687 mila lire della ritenuta fiscale sul rendimento di 100 milioni investiti in quei titoli (presunto in 13,5 milioni), con la tassazione che colpirebbe un reddito di lavoro e di pensione di 100 milioni annui. Doveva, invece, fare il confronto con la tassazione che avrebbe colpito un reddito di 13 milioni 500 mila lire, non con il capitale investito. O sbaglio?». Rispondo al signor U. C, di Torino, che questa rubrica è al servizio del pubblico, in quanto scioglie, o cerca di sciogliere, i dubbi di chi mi scrive. In quella del 14 dicembre il lettore Scanavini diceva di versare mensilmente, per l'Irpef sulla sua pensione, 303.194 lire, e domandava: «Che trattenuta viene praticata al possessore di 100 milioni di Bot, in un anno?». Gli precisavo che, ipotizzando un rendimento di 13,5 milioni lorde, la trattenuta fiscale del 12,50 prevista sul reddito dei titoli di Stato sarebbe stata di 1 milione .687 mila lire. Mi limitavo, cioè, a rispondere alla domanda del lettore, senza fare confronti, non richiesti, fra il trattamento fiscale di questo o quel reddito. Confronto, tuttavia, che scaturiva implicitamente dal fatto che il lettore, pensionato, versava al fisco ogni anno 3 milioni 638 mila lire (303.194 lire il mese moltiplicato per 12), e cioè più del doppio di quanto il fisco si accontenta di ricavare da un capitale di 100 milioni investito in Bot. Questo, pur non conoscendo l'entità della pensione, mi permetteva di consentire con lui che il suo contributo di pensionato alle spese dello Stato era assai più alto, in proporzione, di quello di un «capitalista» in Bot. Osservavo però: 1) che quel capitale, provenendo verosimilmente dai risparmi effettuati sulle retribuzioni di una vita di lavoro (e come tali, a suo tempo, già tassate) meritava certe agevolazioni previste, anzi, stabilite, dalla nostra Costituzione (ma non attuate per il risparmio investito in altre forme, diverse dai titob di Stato); 2) che, se il governo, un giorno o l'altro, decidesse che anche i redditi provenienti da titoli di Stato debbano concorrere a formare il reddito imponibile ai fini Irpef, dovrà, contemporaneamente, aumentare il rendimento dei titoli del Tesoro (e, di conseguenza, il costo per il Tesoro stesso), onde evitare una prevedibile «fuga dei risparmiatori». Anche il signor Guido Acquadro, di Biella, m'invia una lettera fìtta di calcoli, chiari e precisi, ma che non dimostrano «in maniera inequivocabile», come egli afferma, che l'investimento in Bot «genera frutti corrisposti in via anticipata». Questo per il fatto che, rispondendo, sempre il 14 dicembre, a un lettore di Cuneo, affermavo che i rendimenti dei Bot possano I essere considerati, con validi I motivi, sia anticipati sia posti¬ cipati. Anticipati perché, se investo 10 milioni in Bot, annuali poniamo, in realtà verso meno di 9 milioni, e il resto, che ne costituisce il rendimento, posso impiegarlo subito, volendo, in altri investimenti. Posticipato, perché il rendimento dei Bot si calcola (anche dalle autorità monetarie) non sui 10 milioni, valore nominale e di rimborso dei Bot, ma sulla somma effettivamente investita, quindi la differenza tra questa e il valore nominale dei Bot, cioè il rendimento, lo incasso alla scadenza. Mi sembra che il lettore di Biella, calcolando anch'egli il rendimento «sull'esborso» all'atto della sottoscrizione, finisca per dar ragione, involontariamente, alla tesi che il rendimento dei Bot è posticipato. Passiamo, ora, ai «Buoni» delle Foste. Il lettore M. G., di Cascine Vica (Torino), domanda se gli convenga continuare a tenere dei Buoni postali fruttiferi acquistati nel 1980-'81, perché ha un dubbio, anzi due. Il primo perché non è sicuro che siano veramente esentasse, il secondo perché «una legge, mi pare del 1971 - scrive - mi detrae parte degli interessi». Dal primo dubbio il lettore può liberarsi subito: i suoi Bpf sono esentasse, come tutti i titoli di Stato (ai quali i Buoni postali sono equiparati) emessi prima del settembre 1986, quando il governo ebbe l'idea (secondo me malaugurata, perché ad essa si deve in parte non piccola la nostra alta inflazione e il caro-denaro) di applicare una ritenuta fiscale sul loro rendimento. Quanto alla «detrazione degli interessi», una legge, non del 1971, ma la n. 460 del 30 settembre 1974, stabilì che eventuali variazioni dei tassi d'interesse possono essere estese anche ai Buoni postali già emessi. Legge che fu apphcata per la prima volta, in aumento, con Decreto ministeriale del 15-6-'81, ma, per i Buoni già emessi, sul montante degli interessi che sarebbe stato raggiunto il 31 agosto '84 (ritardo, a mio giudizio, assai discutibile), e, per la seconda volta, in diminuzione, con Decreto del 15-6-'86 (quando l'inflazione era già scesa sotto il 10%). Tutto considerato, se i miei calcoli sono esatti, i Buoni postali del lettore dovrebbero rendergb attualmente il 10,5% e fino al 1995-'96 (lordo, ma per lui, essendo i suoi esentasse, anche netto), per poi sabre al 12% fino al 2000-2001. Quindi, per sciogliergli anche questo dubbio, direi senz'altro che gli conviene tenerseli fino al prossimo Millennio, alla scadenza cioè del 20° anno. Mario Salvatorelli elli |

Persone citate: Guido Acquadro

Luoghi citati: Biella, Cuneo, Torino