Tulli i veleni di Monicelli di Osvaldo Guerrieri

Gleijeses e «Arsenico e vecchi merletti» Gleijeses e «Arsenico e vecchi merletti» Tulli i veleni di Monicelli TORINO. Joseph Kesserling deve la propria notorietà di drammaturgo ad un solo titolo, «Arsenico, e vecchi merletti»: una farsa macabra che, con la leggerezza di un educato sberleffo, si fa gioco della letteratura gialla, delle rabbrividenti atmosfere di Edgar Allan Poe, del teatro (il protagonista, Mortimer Brewster è uno svogliato critico drammatico) e, soprattutto, di quel cinema orrorifico che aveva nel Frankenstein di Boris Karloff il suo esemplare più rappresentativo. La fortuna della commedia fu vasta e immediata, ma diventò planetaria nel '44, quattro anni dopo il debutto teatrale, con il film di Frank Capra interpretato da Cary Grant. Il fatto che «Arsenico e vecchi merletti» non abbia mai avuto da noi una gran circolazione (si ricorda la messinscena della Morelli-Stoppa nel '48) potrebbe quasi indicare una nostra cinica indifferenza nei confronti della piccola America di Kesserling, una nostra lontananza da quella famiglia squinternata, che vive ai margini di un piccolo cimitero di Brooklyn e, per una paradossale forma di filantropia, uccide i derelitti che passano per casa. La nostra negligenza, qualunque ne sia stata la causa, viene ora riscattata dallo spettacolo di Mario Monicelli, in scena all'Alfieri fino al 10 gennaio. Con cui si dimostra che «Arsenico e vecchi merletti» è, sì, un prodotto d'epoca, ma è anche una solida costruzione teatrale affidata a personaggi pressoché perfetti nella loro caratterizzazione: le zie assassine per bontà, il nipote «normale» costretto a rimediare ad una situazione che non è normale affatto, i suoi due fratel¬ li: il pazzo che crede di essere un generale e l'assassino che gareggia con le zie nel numero dei morti ammazzati, 12 per parte. Monicelli ha maneggiato questa delicatissima materia con molta rispettosità. Servendosi della nuova traduzione di Masolino d'Amico, ha appena aggiornato qualche situazione, ha tentato qualche timida incursione nella teatralità mediterranea, irresistibilmente incarnata da Francesco De Rosa, che presta inconfutabili accenti partenopei all'agente Mulligan, poliziotto per necessità ma in cuor suo drammaturgo. Per il resto, Monicelli si è limitato a una eccellente direzione attorale, assecondato al meglio da una compagnia ben affiatata e di incisiva resa comica. A cominciare da Regina Bianchi e da Isa Barzizza, davvero incantevoli nella svagata grazia di Nora e Marta Brewster, le sorelle assassine. Bravissimo Geppy Gleijeses nella parte di Mortimer: bisogna vederlo come allibisce dinanzi alla pazzesca incoscienza delle zie, come trasecola, dà di matto, maneggia le battute ad effetto ritardato. Marina Suma è Giulia, la mite e ignara fidanzata di Mortimer. Fulvio Falsarano, truccato come Boris Karloff, è il cattivissimo fratello Jonathan, mentre Giànfelice Imparato è il matto Teddy Brewster. Completano il cast Luciano D'Amico, Oreste Valente, Orazio Stracuzzi e Tarcisio Branca. Nel salotto di casa Brewster danno vita a un gioco irresistibile, dominato' da tempi e da una grazia apprezzata dal folto pubblico, che applaude anche a scena aperta. Osvaldo Guerrieri

Luoghi citati: America, Torino