Slovacchia alzabandiera con lacrime e champagne

8 Triste festa d'indipendenza, scoppia subito la lite con Praga per la spartizione dei beni Slovacchia, alzabandiera con lacrime e champagne BRATISLAVA NOSTRO SERVIZIO Alla mezzanotte in punto, mentre nell'Europa comunitaria venivano segate le ultime sbarre doganali, venti posti di frontiera (13 stradali e 7 ferroviari) sono entrati in funzione nel mezzo della Cecoslovacchia, d'ora innanzi divisa in Cekia, con capitale Praga, e Slovacchia, con capitali Praga e Bratislava. Poca festa nella piazza Venceslao di Praga, molto chiassosa ma triste la festa finanziata dal governo, qui a Bratislava. Allo scadere dell'anno vecchio il tricolore cecoslovacco è stato ammainato dinanzi al Parlamento e al suo posto è stata issata la bandiera slovacca con le tre montagne - Tatra, Matra e Fatra - e la doppia croce, e nella gelida notte stellata in riva al Danubio che porta lastroni di ghiaccio sono stati sparati centinaia di bengala e la folla ha stappato bottiglie di spumante. Ma erano più numerosi quelli che piangevano per la fine della Cecoslovacchia di coloro che gioivano per la nascita della «loro» Repubblica. Era una folla di gente modesta, solo giovanissimi e anziani riparati sotto i colbacchi, quella che si era riunita intorno a una bara con la bandiera della defunta Repubblica. Mancavano i benestanti (ci sono in Slovacchia 28 mila milionari in corone e anche alcuni miliardari) partiti per festeggiare a Vienna e a Praga, mancava la gioventù dorata della nuova società (che è poi quella della vecchia «nomenklatura») andata a sciare in montagna. Assenti ovviamente gli intellettuali avversari della «disintegrazione», a nome dei quali lo scrittore Martin Simecka ha detto: «Mi hanno portato via due terzi della patria». Ma, al bando i rimpianti, nella Bratislava del dopo-divorzio si pensa al futuro della neonata Repubblica e dei suoi 5 milioni di abitanti. E' un futuro che si presenta oscuro. Perfino il presidente e capo del governo Vladimir Meciar è pessimista, prevede un'inflazione del 30% e un aumento della disoccupazione dall'attuale 11,8 fino al 20%. Ora che lungo la Morava è sta- to tirato il confine, i pendolari slovacchi che vanno a lavorare in Cekia e i contadini che vanno a vendere i loro prodotti dall'«altra parte» avranno problemi con la dogana. Per il momento rimarrà in vigore la corona, come valuta comune. Ma entro sei mesi Bratislava dovrà battere moneta, e allora saranno guai. La svalutazione della corona slovacca viene data per sicura. Perché la Slovacchia, la cui economia è complementare di quella ceka (Bratislava fornisce le materie prime, Praga manifatturiera le lavora) non sarà in grado di farcela da sola. Nonostante la privatizzazione che il governo sta forzando per evitare il collasso. Delle 483 aziende statali soltanto 261 sono in attivo, la maggior parte delle altre è sull'orlo del fallimento. Bratislava cerca di privatizzare tutto, perfino la centrale nucleare di Machovce e la nuova centrale idroelettrica di Gabcikovo, sul Danubio, motivo di conflitto con l'Ungheria, per essa si cercano urgentemente 230 milioni di dollari. Gli investitori stranieri sono però diffidenti, nonostante che la Slovacchia sia conosciuta come la regione dei bassi salari (3-4 mila corone, pari a 240-320 mila lire, al mese) e della laboriosità dei suoi abitanti. Dal ministero dell'Economia si apprende che su 1,2 miliardi di dollari investiti da stranieri in Cecoslovacchia quest'anno, ben il 92,8 è finito alla futura Cekia, un magro 7,2 per cento in Slovacchia. «Siamo poveri come topolini in chiesa» dice Lidia Kovacova, dell'ufficio stampa governativo. Gravissima è la situazione, nell'industria degli armamenti, le cui 30 maggiori aziende si trovano quasi tutte in territorio slovacco, concentrate intorno alla città di Martin, che i tedeschi chiamano la «Panzerstadt». Vi lavoravano circa 100 mila operai. Era una città fiorente con esportazioni di un miliardo abbondante di dollari. Fino a due anni fa, quando il pacifista presidente cecoslovacco Vlacav Havel ordinò la sospensione della produzione di armamenti. Ma Vladi¬ mir Meciar, presidente slovacco, non ed sta. «I nostri carri armati ha detto di recente - costano un quinto di quelli americani, ma non sono cinque volte peggiori di quelli "made in Usa". Perciò continueremo a costruirli». Alla televisione austriaca, intervistato da Paul Lendvai, Meciar ha detto: «Tutti vendono armi a tutti, hanno preso il nostro posto. Per cui riprenderemo a costruire missili e carri armati, senza scrupoli, per salvare i posti di lavoro». A divorzio avvenuto si litiga ancora per la divisione dei beni. Alla Cekia, con 10 milioni di abitanti contro i 5 milioni della Slovacchia, vanno i due terzi di tutto, a Bratislava un terzo. Ma come si fa a dividere la sede di un'ambasciata, una collezione d'arte, una banca, la compagnia di navigazione aerea? E a chi appartiene l'altare del maestro fiorentino Nacdo di Cione portato da Bratislava a Praga per restauri? ■ t ^^YBto Sansa, Nere previsioni per l'economia «Soprawiveremo vendendo armi» SLOVENSKÀ REPUBLIKA I cartelli stradali che segnalano il nuovo confine In basso 'il premier slovacco Meciar (FOTO AP]

Persone citate: Cione, Havel, Lidia Kovacova, Martin Simecka, Meciar, Paul Lendvai, Vladi, Vladimir Meciar