Le stelle del Bolshoi bocciano il capitalismo di Anna Zafesova
Le stelle del Bolshoi bocciano il capitalismo Le stelle del Bolshoi bocciano il capitalismo RIVOLTA PER I NUOVI CONTRATTI IMOSCA L Bolshoi dice «no» al capitalismo. E, mentre i moscoviti si affollano nei negozi in cerca di regali e addobbano gli alberi di Natale, i tenori e i ballerini se ne stanno chiusi nelle sale di prova del teatro a stendere appelli al Presidente e al Parlamento e a decidere se mettersi in sciopero prima o dopo Capodanno. Vogliono una sola cosa: che tutto rimanga come prima. L'incombente riforma del teatro più grande e glorioso della Russia è stata decisa da un decreto di Boris Eltsin e ha subito scatenato un vespaio. Tutte le gelosie, tutti i rancori e le invidie covate da anni, tutti gli intrighi condotti da una fazione contro l'altra sono esplosi immediatamente. Alcuni non vogliono sentir parlare del nuovo «collegio dei saggi» che dovrà sovraintendere al repertorio del teatro. Altri temono che il direttore generale Kokonin, incaricato da Eltsin di gestire l'operazione, si trasformi in un dittatore. Ma soprattutto c'è un problema chiave, una parola che spaventa tutti: contratto. E' stata proprio la decisione di passare al sistema dei contratti individuali a provocare la rivolta. Tutti i 2500 dipendenti dell'azienda Bolshoi - dalle primedonne ai tecnici del sipario sono infatti dipendenti dello Stato, esattamente come gli impiegati delle poste o delle ferrovie. Ricevono stipendi da fame: un tenore prende 500 mila rubli (250 mila lire) al mese, e spesso ò costretto a dividere l'alloggio con altri colleghi perché il teatro non è in grado di assegnargli una casa decente. In compenso tutti questi «privilegi» erano garantiti vita naturai durante. Il contratto invece si deve rinnovare ogni anno e la sola idea fa già paura. E così il Bolshoi ora difende con le unghie e con i denti il suo diritto a continuare a vivere nel socialismo reale. Ma i più ostili all'idea del «passaggio al mercato» dell'opera e del balletto più famosi della Russia sono i grandi del Bolshoi, quelli che apparentemente non avrebbero nulla da temere. Invece non ò così. L'in¬ troduzione del contratto imporrebbe loro obblighi ben precisi. Non potrebbero più passare il loro tempo in lunghe tournee per i teatri europei e americani, a guadagnare gloria e soldi. Il direttore generale del teatro, Vladimir Kokonin, dà la colpa dello scadimento del Bolshoi proprio a loro, ai «mostri sacri». Se la prende soprattutto con il coreografo Jurij Grigorovich, da trent'anni maestro e vate della troupe del balletto. «Ora che non c'è più il comitato del partito comunista - dice Kokonin - a decidere come danzare il "Lago dei cigni", si potrebbe riportare il teatro all'antica gloria e invece non tornano a Mosca nemmeno per le prime». Che sono ormai rarissime. Così il Bolshoi ora pensa non ai balletti e alle opere, ma alle assemblee sindacali. Due giorni fa è stato indetto uno sciopero per il 28 dicembre, con «Giselle» in cartellone. Ma Kokonin ha minacciato di non pagare la tredicesima. Ovvio che lo sciopero non si farà. Anna Zafesova L'imponente palazzo del teatro Bolshoi a Mosca
Persone citate: Boris Eltsin, Eltsin, Jurij Grigorovich
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