I killer di Dio contro la Francia di Domenico Quirico

I killer di Dio contro la Francia I killer di Dio contro la Francia Iteocrati si sentono gli eredi della lotta coloniale LA SECONDA GUERRA D'ALGERIA UN ragazzo si avvicina sorridendo a un flic su una ripida scalinate della casbah, il poliziotto gli volta la schiena distratto e indifferente; e il ragazzo, calmo e spietato, gli spara prima di fuggire nel santuario dei vicoli inestricabili. Era l'immagine simbolo della prima guerra di Algeria, la sporca ordalia della Francia contro i «figli ingrati» di una colonia prediletta. Sono passati quarant'anni: i figli di quei mujaheddin che contendevano metro per metro la città ai paracadutisti di Massu sono di nuovo in guerra, questa volta trasferiscono la lotta in Francia, che resta il nemico per antonomasia. E non gridano più indipendenza e libertà, ma le parole d'ordine dei folli di Dio. E usano il terrore come i loro padri. L'Algeria e la Francia: una storia intrecciata di rimorsi, di occasioni perdute e di tradimenti, di identità che si capovolge nel suo contrario e diventa odio e rifiuto. 11 fondamentalismo algerino grida a gran voce di essere l'erede del nazionalismo che ha sconfitto Parigi, proclama di aver raccolto, nel nome di Dio, la bandiera dell'anticolonialismo che il regime ha mortificato nella corruzione e nel clientelismo. «Noi rifiutiamo la democrazia, perché la democrazia è fondata sul concetto di maggioranza senza precisare le caratteristiche di questa maggioranza. La verità e il diritto non dipendono dal numero, ma dalla aderenza alla legge di Dio. Quelli che hanno seguito il Profeta erano pochi mentre coloro che adoravano gli idoli erano una moltitudine. E allora diciamo che la democrazia, la nostra democrazia è il governo della minoranza dei puri, non della maggioranza degli empi». La teodemocrazia di Ali Benhadj, uno dei fondatori del Fis, ha la semplicità delle idee dei santi e dei profeti. Armato di queste certezze girava per i vicoli della casbah oberati di gloria ormai stanca e di memorie appassite. Scivolava tra i falansteri, abortiti dalla speculazione di regime, di Kouba, Belcour e Bab el Qued, sfiorava migliaia di ragazzi senza lavoro e senza speranze. Ascoltava, vicino al brutto monumento dei martiri della rivoluzione, il fragore degli altoparlanti del moderno centro commerciale che zittivano con la musica «em- pia» di Madonna e Michael Jackson il lamento sacro dei muez¬ zin. Benhadj e Madani hanno inventato negli Anni Ottanta il fronte islamico, trasformando in vendetta di Dio l'Islam mistico e gentile degli ulema. Anche Madani era un mediocre teologo e un professore di sociologia; e girava in Mercedes per dimostrare che non rifiutava tutte le lusin¬ ghe del mondo moderno. Ma nelle parole di questo microfono di Dio c'era la rabbia, lo sdegno, la disperazione di milioni di algerini traditi, truffati della dignità. La rivoluzione di Allah è nata sulle macerie della prima rivoluzione, quella laica e socialista degli Anni Cinquanta, ha assorbito come una spugna i suoi tradimenti. La seconda guerra di Algeria è cominciata il 26 dicembre del 1991.1 nemici della maggioranza stavano per raccogliere il potere legalmente, vincendo quelle elezioni che disprezzavano. Le urne erano l'ultima carta di un regime boccheggiante, ferito a morte dalla rivolta della semola, costretto a fermare con i carri armati la rabbia di milioni di diseredati. Sotto le bandiere del Corano si erano arruolati disoccupati e ricchi mercanti, intellettuali sradicati e studenti che vedevano nell'Islam la radicale utopia. A tutti gli anni del partito unico avevano insegnato che la politica era soprattutto inganno e corruzione, restava solo la moschea, ultima terra non contaminata dal male. Sembrava fatta. Ma il vero avversario era nelle caserme, i militari abituati a considerarsi la colonna vertebrale della nazione, addestrati nelle accademie francesi a pensare che la vera guerra è ormai quella che si combatte sul fronte interno contro il disordine di cui sono ammalate le società. Dopo il golpe bianco e l'arresto dei capi politici del Fis, la tragedia algerina ha cambiato copione. Il potere ha chiuso la bocca agli ulema, agli intellettuali, in prima linea sono venuti i giovani diseredati, i folli di Dio, gli afghani, professionisti della guerra che hanno combattutto nelle legione islamica a fianco dei mujaheddin, che hanno imparato ad uccidere nelle università per terroristi del Libano e del Sudan. Convinti che ormai la rivoluzione non galoppava più sulle parole e sugli slogan, ma sulla bocca dei fucili. Il Già è una nebulosa, feroce e indecifrabile, duemila killer i cui capi muiono e vengono rimpiazzati continuamente. Ma è chiara la loro strategia di morte: la distruzione pianificata e sistematica di un mondo e di una società. Prima hanno fatto strage di gendarmi e militari, poi hanno puntato le armi sugli intellettuali, giornalisti e insegnanti, sulle donne. Infine gli stranieri. Il regime militare, e la Francia che lo tiene in vita, hanno scelto la strada del controterrore. Facendo loro un regalo prezioso. Perché dove i governi hanno scelto di affrontare il partito del Profeta con le armi della politica, dalla Giordania al Pakistan, hanno sempre vinto la sfida. Domenico Quirico «Rifiutiamo la democrazia perché è fondata sul concetto di maggioranza La verità non è fondata sul numero dei consensi ma sulla legge di Allah» Una manifestazione di fondamentalisti quando ad Algeri non erano ancora proibite

Persone citate: Ali Benhadj, Benhadj, Kouba, Madani, Massu, Michael Jackson, Profeta