Berlusconi: farò cambiare idea a Scalfaro

Il premier: «Il mio è un discorso mite, non faccio appelli al popolo. Ma il Paese vuole votare» Il premier: «Il mio è un discorso mite, non faccio appelli al popolo. Ma il Paese vuole votare» Berlusconi; farò cambiare idea u Siulfuro «In questi sette mesi sono invecchiato di sette anni» ROMA. Dimissionario, ma tutt'altro che dimesso. Il giorno dopo l'addio, Silvio Berlusconi parla di se stesso al futuro. E' nel salone della Scuola di Polizia per «la tradizionale conferenza-stampa di fine anno», ma con lui di «tradizionale» non c'è mai nulla, a cominciare dalle due guardie del corpo modello Kevin Costner che incombono ai lati del palco scrutando senza tregua la platea di giornalisti. Il Dimissionario si esibisce per un'ora e mezza, ma per capire cosa ha in mente bastano le tre parole che pronuncia più spesso: gente, signor Berlusconi, elezioni. Non assomiglia già più all'uomo nervoso che al teatro Manzoni invocava lo piazze e alla Camera gridava il suo rancore verso Bossi. Sul leader della Lega adesso fa persino lo spiritoso: «Quando dice che sono peronista, forse si riferisce alla birra Peroni». Non ha perso il vizio, però: prima di concedersi alle domande si lancia in un'introduzione di 37 minuti, 5 per ogni mese di governo, una specie di videocassetta dal vivo: «Eh, quante cose fatte... E chissà quante altre se ci avessero fatto lavorare. Il doppio!». Al 15' è ancora carico: «Abbiamo rivitalizzato l'edilizia pubblica, che era stata arrestata..», e l'evocazione dell'«arresto» suona buffa anche a lui, che si autosfotte, ammiccando. Al 20' ha un calo di tensione: sbaglia un paio di date. Al 22' si frega nelle tasche, pesca e ingoia una pilloletta energetica. Al 25' è di nuovo in palla: «Il governo è come una squadra: per giocare bene gli serve tempo. Bisogna la¬ sciar lavorare il Manovratore. Io sono a disposizione». Al 37' si arrende: «Ho finito. Mi consegno alle vostre domande». Esordisce la Reuter: il chiodo fisso della stampa estera è capire se Berlusconi potrebbe mai accettare un governo presieduto da un berlusconiano diverso da lui. Risposta possibilista: «Non ritengo che l'unico presidente possibile sia il signor Berlusconi». E allora perché non lascia il governo, per esempio, a Scognamiglio? La risposta elimina ogni dubbio: «Per me sarebbe più comodo fare la campagna elettorale come semplice leader di partito. Ma...» Ma? «Ma sarebbe un errore per il Paese. Scognamiglio mi andrebbe bene, però la maggioranza ha escluso la possibilità e la mia convenienza deve farsi fa parte». Il Dimissionario non molla e non mollerà neppure dopo, di fronte all'alleato più fedele. Quando gli chiedono se in caso di sorpasso lascerebbe Palazzo Chigi a Fini, replica gelido: «Si legga i sondaggi. Noi siamo oltre al 30%, An al 16. Siamo il doppio di Fini». Tocca a un giornale di famiglia, Panorama. «Mi raccomando, una domanda cattiva, altrimenti diranno che siamo d'accordo». Cattivissima: «Presidente, siamo al "o la va o la spacca"?» Lui smorza da sinistra: «No, anzi. Credo che la gente voglia tornare al voto con serenità. Io non ho mai fatto appelli al popolo. Sono un mite e se c'è qualcuno che mi ricorda la mitezza di Gandhi, quello è il signor Berlusconi». Brusio. Persino il fe¬ dele Tajani, seduto in prima fila, pensa a una freddura: infatti si infila il loden. Tocca alla domanda inevitabile su Scalfaro, che ha definito il suo discorso alla Camera «un disastro». Il Dimissionario va al sodo: «Non vuole le elezioni, ma per chi è cresciuto con la vecchia politica è difficile capire che il rapporto con la gente è diventato diretto. Cercherò di fargli cambiare idea». Alla ricerca di paragoni gratificanti, Berlusconi si auto-gemella con Van Basten: «Io sono come un centravanti acquistato per fare 30 gol, a cui i compagni non hanno fatto i passaggi giusti e gli avversari hanno spaccato le gambe. Lasciate lavorare il Centravanti». La platea mormora, ma in sesta fila c'è la segretaria Marinella che lo ascolta assorta, un dito in bocca, e sottovoce lo difende: «Il Dottore non si sta incazzando, non fate come al solito i maligni». D'Alema risponderà in serata, paragonando Berlusconi non a Van Basten, ma ai troppi Lojacono della sua infanzia di tifoso giallorosso: «Ai tempi della Rometta arrivavano pingui centravanti sudamericani che alla prova dei fatti si rivelavano dei bidoni». Dal calcio alla tv. E alla famigerata «par condicio». In prima fila è seduto il Garante Santaniello e Berlusconi lo guarda negli occhi mentre interpreta il ruolo della vittima: «Non si possono trasmettere spot nell'ultimo mese elettorale. Forza Italia col 30% dei voti avrà lo stesso spazio di chi ha un solo deputato. E poi gli italiani non sono stupidi. Non credono che esistono sei tv del signor Berlusconi. Intanto c'è Tmc che bilancia Retequattro, un tg che nonostante i miei reiterati tentativi non sono riuscito a modificare. E poi il 90% dei giornalisti Rai, per loro stessa ammissione, sono di sinistra». Conclusione logico/surreale: «Con queste regole illiberali, che non trovano riscontro in nessun altro Paese, chiedere le elezioni da parte mia è un atto di coraggio. Quanto al conflitto di interessi, lasciamolo giudicare al pubblico», come Berlusconi ama chiamare gli elettori. Gli chiedono quali errori ha compiuto, lui che nella sua vita ne ha ammesso uno solo, l'ingaggio del centravanti argentino Borghi. Finalmente si infervora: «Borghi non era un errore. Aveva dei numeri tecnici straordinari che..., vabbè, lasciamo perdere. Errori del governo? Il decreto Biondi. Era giusto nella sostanza, ma non lo abbiamo saputo presentare bene». Affondo contro Di Pietro: «Dicendo in tv che quel decreto chiudeva Tangentopoli, i magistrali di Milano hanno detto una menzogna». Cita una Dieta polacca del 1472 e un Machiavelli in traduzione libera: dall'italiano antico a quello aziendale: «Il Principe ha come unici supporter..., beh, forse lui non avrebbe proprio usato questa parola...». Se ne va, ma all'uscita si blocca, folgorato: rientra nel salone e si piazza in cima alle scale, a salutare i giornalisti ad uno ad uno, come faceva con gli inserzionisti nelle sue convention. Conoscendone l'odio per il sudore, prima di avvicinarlo i cronisti si asciugano le mani sul cappotto. Massimo Gramellini u Scalfaro è cresciuto con la vecchia politica: non capisce che ora il rapporto con la gente è diventato diretto J *f 1fi Quando Bossi parla diperonismo, credo si riferisca alla birra Peroni, è l'unicoperonismo che conosca j j Sono un centravanti da trenta gol ma mi sbagliano tutti ipassaggi egli avversari mi spezzano le gambe jp j

Luoghi citati: Milano, Roma, Rometta