l'0rso con gli artigli spuntati

l/0rso con gli artigli spunteti l/0rso con gli artigli spunteti Lo sfascio della gloriosa Armata Rossa LA MACCHINA BELLICA INCEPPATA Cm MOSCA ™ ERA una volta l'Armata Rossa. Un immenso pezzo della nazione sovietica che, mettendo assieme esercito, marina, aviazione, truppe interne, truppe di frontiera, divisioni del Kgb, si pensava raggiungesse i sette milioni di «addetti». Lo pensavano i servizi segreti occidentali, anche se nessuno ebbe mai le cifre esatte. Era tutto così segreto che nemmeno nel bilancio dello Stato si potevano trovare le voci di spesa di quella macchina mostruosa. Quando Gorbaciov cercò di venirne a capo scoprì che nemmeno lui poteva farlo. Era un albero dai troppi rami, che s'innalzavano fino alle vette del potere supremo, e dalle troppe radici, che avvinghiavano con le loro spirali l'80% dell'industria sovietica. Sembrava che il potere si fondasse su questo Moloch divoratore: Ma si sbagliarono .tutti gli analisti occidentali, che pensavano fosse l'esercito a dominare il partito. Invece era il contrario. E quando il partito comunista si afflosciò sulle sue gambe d'argilla, l'esercito fece altrettanto. L'Afghanistan è stata la sua ultima guerra. E ne è uscito sconfitto e demoralizzato. Ma era una guerra dove non poteva vincere. E le truppe che attraversarono il ponte di Termez, al comando del generale Boris Gromov, erano ancora parte di un esercito. Poi venne la fine dell'Urss e l'ordine di ritirarsi dalle 14 Repubbli- che diventate indipendenti. Il che fu fatto a capo chino, in fretta, lasciando dov'erano cani armati, missili, aerei, depositi. Ora, in molti casi, costituiscono l'armamento di eserciti diffidenti, che guardano con sospetto gli antichi commilitoni dall'altra parte di frontiere improvvisate. Quello che rimane non ha più soldi neanche per l'ordinaria amministrazione. I suoi missili non sono più puntati su nessun obiettivo. Non c'è più il nemico esterno, e non c'è più il sacro prestigio e rispetto per una divisa che significa povertà e abbandono. E un Paese che perde il rispetto di se stesso non può avere un esercito capace di combattere. Quello che rimane è una palude incerta e depressa dove si aggirano un milione e mezzo di uomini, metà dei quali sono ufficiali, e la metà di questa metà non ha neppure una casa in cui abitare. Una palude dove nessuno vuole andare. Il 70% dei coscritti è scartato per «ragioni di salute» e d'altro genere (chi paga) e il 5% (cioè 70.000 giovani) si fa uccel di bosco alla chiamata. Quelli che cadono nella rete scappano appena possono: 120 diserzioni la settimana. E la paurosa potenza di fuoco del mostro che un tempo atterriva l'Europa e il mondo è ora in gran parte ruggine che si accumula nelle steppe. Le cifre sono ancora imponenti: 25.000 carri armati, 45.000 blindati, 2500 elicotteri, 30.000 sistemi di artiglieria, quasi mille sistemi tattico-balistici. Ma gli stessi esperti russi dicono che appena il 20% di tutto ciò sarebbe in grado di funzionare. I depositi militari si vendono al miglior offerente, spesso con le migliori intenzioni: per comprare da mangiare. Più spesso per riempire le tasche dei comandanti che così hanno interpretato la parola d'ordine «arricchitevi». E non c'è guerra locale, tra le cento già esplose, in cui singoli comandi locali dell'esercito non abbiano distribuito, o venduto, le armi russe a entrambe le parti in lotta. O non abbiano deciso di partecipare, da una parte o dall'altra, senza tenere conto degli ordini che venivano da Mosca, o addirittura contrapponendovisi. L'Abkhazia ad esempio non sarebbe oggi indipendente dalla Georgia se qualche generale non avesse regalato agli abkhazi quanto bastava per vincere. Principi della guerra che agiscono come bande di ventura, lungo linee politiche spesso indecifrabili. Insubordinazioni incredibili, come quella del generale Babicev, che da giorni tiene immobile la sua colonna blindata sulla via di Grozny, bloccata dalle donne cecene che lo supplicano. Ma il morale è ancora peggio. Vanno in guerra giovani di leva senza preparazione, male equipaggiati, demotivati. Gl'inviati di guerra in Cecenia raccontano che i soldati chiedevano alla gente di incendiare i tank, indicando i punti deboli, i tappi dei serbatoi, le aperture dei portelli. La desolante catastrofe dell'operazione militare in Cecenia, dove un corpo di spedizione di quasi 40.000 uomini non riesce ad avere ragione, da 12 giorni, di un insieme di disperati, senza aerei, con poche decine di blindati, senza munizioni, con poche armi pesanti, dice tutto della tragedia dell'esercito russo. Ma chi comanda sembra non saperlo. Il ministro della Difesa Graciov, prima di parlire, aveva detto in tv, con aria sprezzante: «Si può risolvere il tutto in due ore, con un reggimento di paracadutisti». [g.c.l I generale «dissidente» Votobiev

Persone citate: Boris Gromov, Gorbaciov, Graciov

Luoghi citati: Afghanistan, Cecenia, Europa, Georgia, Grozny, Mosca, Urss