Un video-ring a Montecitorio

Un video-ring a Montecitorio Un video-ring a Montecitorio Battaglia come ai tempi della guerra fredda Ilettori avranno forse visto molto in televisione, ma poco sapranno della terribile tensione che ha portato alla diretta televisiva,..con una Irene. Pivetti che ci è sembrata più maestrina che mai, facile all'espulsione come l'arbitro Lo Bello, col ditino alzato/è che pòi'ha costretto il forzista Broglia a recitare l'atto di dolore quando è stato riammesso in aula. Purtroppo non so resistere alla tentazione di dividere gli interventi in divertenti e noiosi, come negli spettacoli di politica télevisiva. E ieri, se bene ha fatto, e con deplorevole e deplorato ritardo la bella e altera presidente a chiamare le telecamere, è comunque accaduto che la politica si sia televisivizzata, subendone mode e costumi. Ma è comunque stato un grande spettacolo, forse, se frughiamo nella memoria, il più grande spettacolo della storia del Parlamento repubblicano moderno, diciamo dopo i tempi d'oro della guerra fredda e di Pajetta, quando - va detto anche questo - i fascisti erano fascisti col manganello, i comunisti avevano tre narici e tutta la palude democristiana sapeva di sagrestia. Adesso i pidiessini sono dei gentiluomini britannici che fanno, come ha fatto ieri Berlinguer chiosando Berlusconi, fine analisi stilistica; i fascisti come Fini promettono «opposizione all'inglese» e il rustico Bossi, con la sua brava cravatta slacciata, di popolano ci mette soltanto la voce rauca. Il filosofo Buttiglione, va detto, è un grande della politica e non si capisce perché abbia fatto altro in vita sua, perché di fatto sta riesumando la de, rifondata e ristrutturata come un vecchio castello scozzese. Tant'è che Achille Occhetto, scovato in preda a raptus da telefonino, ci ha detto: «Fantastico, stanno ricostituendo il pei, la de e quanto a Berlusconi, è Forlani». Silvio Berlusconi ha cominciato a parlare alle 16 in punto. Era scuro in volto, scuro di vestito e aveva occhi tristi. Un discorso in due parti: la prima parte una catilinaria contro Umberto Bossi, l'uomo che ha derubato il consenso ricevuto dal popolo di Forza Italia che lo ha votato, lui e i suoi, e che è stato da Berlusconi aggredito al corpo come può fare un pugile della politica. Vale a dire con un senso personale del risentimento e del disprezzo, del fastidio e del rancore, che non avevamo mai visto né udito prima in quest'aula. La seconda parte è stata più misurata, fino a suonare un po' blanda, di circostanza, sulle benemerenze del governo. E' stato un discorso che risentiva del tormento e della tensione, pronunciato da un uomo amaramente sconfitto da un gioco di alleanze tradite, o comunque ribaltate in vista di un ribaltone, lo si faccia o no. Ha usato parole forti, ha accusato il leghista di truffa, si è preso molti applausi dai suoi e dalla destra di Fini, ma mai tanti quanti sono stati quelli che poi Fini ha incassato dai depu- tati berlusconiani quando ha detto che mai il raggruppamento di Forza Italia si sarebbe spaccato. E' stato un momento imbarazzante, perché sembrava che Forza Italia fosse sotto tutela di Fini. Quanto alla questione di fondo, Berlusconi seguita a difendere strenuamente e anche eroicamente un punto che il Parlamento di questa Repubblica non ha alcuna intenzione di accogliere: e cioè che chi vince comanda e chi perde pensa alle elezioni successive, ciò che dovrebbe rendere inconcepibile sia l'idea dell'intrusione delle minoranze nel governare, sia là semplice ipotesi del ribaltone, dell'esercito che comincia la guerra sotto le bandiere del re di Francia e la finisce sotto quelle del re di Spagna. Laddove il Parlamento, nel senso degli avversari di Berlusconi che formano la nuova e risicata maggioranza, pensano e dichiarano che è perfettamente lecito cambiare alleato in corso di legislatura e che chi non capisce o nega tale banale normalità è per ciò stesso un nemico del Parlamento e delle sue sovrane prerogative. E Berlusconi replicava intignando sul suo chiodo fisso: la vera sovranità non sta nel Parlamento, ma nel popolo quando va a depositare il suo consenso nella cassaforte dell'urna. Questo il nocciolo della materia politica del contendere. Ma il punto, lo dicevamo all'inizio, è uno solo: governo o elezioni? Il boato accreditato dice che oggi o domani Berlusconi riceverà per I puro caso e coincidenza il rinvio a giudizio da parte del pool di Milano, sicché il presidente Scalfaro non potrà tecnicamente, forse rammaricandosene, conferirgli l'incarico del Berlusconi bis, per motivi di decenza. E quindi cercherà di incaricare qualcun altro della maggioranza, destinato a fallire. Poi, si vedrà: tutto può succedere. Ma Gianfranco Fini, che ha fatto un intervento perfetto dal suo punto di vista, teso, regolare, a braccio, ha avvertito che non ci sarà mai nessun governo del Presidente, delle regole, della tregua, istituzionale o altre formule del genere: duecento deputati paralizzeranno ogni atto e ne impediranno perfino il vagito. Dunque elezioni. Per Fini. E allora Bossi dovrebbe prendere una stangata da restarci secco, con il bottino della Lega in spartizione fra destra e sinistra. Ma, ecco un altro dei miracoli di ieri, entrambi gli schieramenti fanno conto e calcolano lo spaccamento con defezione e fuoruscita profughi nel campo avversario: i leghisti sono sottoposti a continuo arruolamento da parte dei federaUsti anti-Bossi, fra i quali è Miglio. E i leghisti contano, come Massimo D'Alema, sulla scissione dentro Forza Italia, con i moderati che prima o poi salteranno sul carro della nuova maggioranza, mentre l'altra metà dovrebbe estinguersi o essere incorporata da An con un Anschluss. In questa giornata tutto è nuovo, tutto è diverso e meritevole di menzione. Per esempio il botta e risposta a distanza tra Bossi e Fini. 11 primo, portandosi dietro i suoi e le sinistre quando grida: oggi non cade il governo, oggi finisce per sempre la prima Repubblica; il secondo quando dice: oggi non finisce la prima Repubblica, oggi finisce la Lega. E poi aggiunge pesantemente che «Bossi è molto, ma molto più spiacevole in privato che in pubblico». Non ricordiamo nulla di simile nella prima Repubblica, e in fondo ciò deve essere considerato un bene. Un bene che il Parlamento sia spaccato in due (ma è un bene che tasselli mobili possano emigrare dall'uno all'altro puzzle?) e un bene che il presidente della Camera sia una donna dotata di indubbia attrattiva, non del tutto esente da un certo gusto perverso: ieri, non nascondiamocelo, la Camera dei deputati era per metà con Irene e per metà contro. E' un bene che metà della mela applauda un presidente come la sua regina e l'altra metà la dileggi, la tema, la pungoli e le manchi di rispetto? E' quel che è accaduto ieri. E perché la giovane presidente non ha voluto capire che la sua vestizione di candidata futura prima ministra non fa bene alla salute del suo ruolo? Giornata brutta, meteorologicante: fredda, col gelo umido che entra nelle ossa, i cameramen isterici, i commessi sgarbati, i deputati in crisi di licenziamento, con Berlusconi alla disperazione controllata, ma pur sempre disperata; con la sconfitta-beffa di un progetto, un'ipotesi di governo liberale che cade fragorosamente in terra chiudendo per sempre, il sempre della politica, lo spazio per un nuovo governo liberale e moderato. E poi con quelle accuse personali, grevi, astiose, individuali tra maggioranza e Lega. Bossi è stato accusato da Fini di essere un volgare invidioso, uno che non ha mai potuto digerire il fatto che Berlusconi gli abbia con uno snap delle dita confiscato tutto il suo elettorato moderato, e che da allora vive soltanto per vendicarsi. E il capo della Lega che si abbandona a una nuova sfuriata di antifascismo rauco, come se al governo con Fini non ci fosse andato. E Berlusconi seduto che commenta con smorfie, sorrisi amari, gesti che vogliono dire ma senti questo. E la platea che insorge istintivamente, prò l'uno o prò l'altro, scattando in battimani da applausometro, scanditi, previsti, prevedibili. Certo, è Parlamento anche questo e non saremo così ipocriti e tartufi da dire che era meglio quell'altro, che si stava meglio quando si stava peggio, ma certo è che tanta novità stilistica unita a tanto vecchiume tattico e tanta pochezza di invenzione politica, fanno venire i brividi. Ma la cosa più terribile è che nel Transatlantico i deputati chiedono ai giornalisti: «E adesso? Che succederà?». E noi giornalisti, avvezzi come siamo al chiacchiericcio, sforniamo chiacchiere come la pizza al taglio e i politici scuotono la testa come se invece di sentirsi protagonisti si sentissero spettatori. «, Il fatto è che non si sa nulla di quel che accadrà, e questo non è un giudizio o un'opinione: era ieri un umore del Parlamento della Repubblica. Le Camere, o almeno Montecitorio, ignorano che fine farà la storia. Ma il vero ballo comincerà non appena il presidente del Consiglio andrà da Scalfaro a rimettere il mandato e comincerà il giro delle consultazioni pei- il governo che non si farà, o che si l'ara per gestire soltanto le elezioni, o che - miracolo improbabile - si proporrà di governare fino alla finanziaria bis, alla riforma elettorale e alla finanziaria successiva. Ma chi ieri ha vissuto in loco quelle ore, fra le 14 e le 20, sa di essere stato testimone di una mutazione della politica: tutto da ieri è diventato più semplice negli schieramenti, più impossibile nei numeri, e dunque può a buona ragione dire di aver assistito a uno spettacolo di teatro dell'assurdo. Con il governo che sedeva come un convitato di pietra, i protagonisti che sedevano come spettatori, la dottoressa Pivetti, presidente, che sedeva algida e seduttiva con la sua scuola di educazione severa a causa della quale più d'un bambino ieri ha pianto. Paolo (Suzzanti

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