Mister Viminale l'Amleto della Seconda Repubblica di Filippo Ceccarelli

Ondeggiante tra r«pbbedisco» , e le lusinghe di alleati e nemici Mister Viminale, l'Amleto della Seconda Repubblica DELLA CRISI ■ROMA L ministro Maroni piega le gambette e, hòp, con un salto leggero ed aggraziato va ad appollaiarsi sul gradino di marmo, quasi addosso alla vetrata che separa uno dei più frequentati corridoi di Montecitorio dal cortile interno. L'agile scioltezza del balzo risulta con maggiore evidenza dalla fissità del busto e dal fatto che il ministro, con la mano destra, si tiene incollato un telefonino all'orecchio. E ora che è lì, con un po' di fantastica immaginazione fisiognomica, Maroni sembra un puffo racchiuso in una nicchia. E, per dirla proprio tutta, un puffo barbuto che sta rimirando gli alberi carichi di arance (fatti piantare dai deputati verdi all'inizio della decima legislatura) e la fontanella al di là del cristallo blindato. Chissà con chi sta parlando il personaggio più ambivalente ed enigmatico di tutta la crisi. L'altro ieri sera, da Alessandria, Maroni aveva annunciato che avrebbe firmato la lettera di dimissione «senza neanche leggerla». Ieri ha comunicato che non si dimetteva (o pre-dimetteva) più. Bene, non è tanto la retromarcia che colpisce. Al di là delle motivazioni di buon senso (che sarebbero dovute valere anche il lunedì) il vero punto di felice ambiguità e di equivoca accortezza della mossa è che si presta a diverse - e anche contrastanti - interpretazioni. Uno: l'ha fatto a favore di Berlusconi e, semplificando brutalmente, contro Bossi, lo sfasciatutto. Due: l'ha fatto d'accordo con Bossi contro Berlusconi, il golpista. Tre: l'ha fatto per Scalfaro... Ma intanto, appunto, l'ha fatto. E adesso torna a scherzare con i giornalisti. Gli chiedono del suo ruolo di capo, ormai, dei leghisti dissidenti. Ma anche qui, al di là dell'occhione sincero e del più ragionevole atteggiamento da pesce in barile, ritorna fuori la sciarada di un Maroni che fa di tutto, certo, per evitare la frattura della Lega, eppure, così facendo, si distingue obiettivamente da Bossi in modo sempre più visibile e perfino regolamentato. E s'avverte un che d'incongruente, nel personaggio, qualcosa che non torna, come un'energia che trascende le volontà individuali, un conflitto giocato su una dimensione profonda. Quel suo umile dichiararsi, ad esempio, «un soldatino obbediente» e l'enorme ruolo politico, la re- sponsabilità e le lusinghe che invece gli si parano davanti. Tutto o quasi riesce mirabilmente a racchiudere, Maroni, almeno per ora: origine a sinistra, presente governativo, futuro aperto a chissà che. Tutto potrebbe raccogliere: l'affetto di Bossi e la speranza di Berlusconi, il favore di Scalfaro, gli allettamenti di Previti, la stima di Buttiglione, l'interesse di D'Alema. Tutte le tonalità riesce infine a combinare nella conversazione di questi giorni un po' strambi: materia alta e bassa, quindi, pericoli di giornata («Han¬ no bruciato le bandiere della Lega sotto Palazzo Marino») e il racconto spassoso della partita dell'altro giorno a Gallarate. Ps contro assessori leghisti, con lui che ha giocato il primo tempo con i poliziotti e il secondo con la Lega. E di nuovo, neanche a farlo apposta, «ogni volta che ho preso la palla è perché gli avversari di turno s'erano confusi». Cuor contento e a suo modo lacerato. Pompiere dissidente. Mediatore interessato. Ondeggiante tra l'«obbedisco» e l'«avevo detto, io». Una strana e permanente con¬ taminazione di sentimenti, generi e toni condiziona Maroni non sai bene se in modo utile (per lui) o dissennato. L'esegesi politicogiornalistica segue. Piccolo reuccio del Transatlantico, va a sedersi nella penombra sotto un grande quadro - Salutatio inatutina - che raffigura un antico romano che si fa riverire dai clientes. Poi arriva quasi di corsa la giovane leghista Bertoni e gli schiocca un bacetto sulla guancia. Di nuovo i giornalisti, invasivi, respinti con l'intimazione «via, please, solo leghisti doc». Ma anche da lontano vale la pena di osservare questo personaggio che una giuria di 320 psicologi della Federazione Italiana ha qualificato - con 138 voti - «il Forrest Gump italiano»: «Crede nella vita e nel buonsenso - ha scritto su Class Silvia Dal Lago -. Dice quel che pensa e pensa quel che dice». L'indeterminatezza dell'eroe cinematografico americano, come si sa, rinvia alle suggestioni del principe Myskin dell'idiota. Personaggi di per sé sfuggevolmente ambivalenti. Ora, uno davvero non vorrebbe farla troppo lunga, e so¬ prattutto non vorrebbe inquinare l'arte con la crisi del primo governo Berlusconi. E però la postura rilassata, ai limiti desilo sbraco, con la quale il ministro siede sul divano, il sorriso aperto e la barba che oscura il viso, l'abito grigio da prefetto e quel disordine estetico che in qualche modo segnala una personalissima ribellione alle regole, tutto questo, insomma, non fa che conformare questa specie di rebus umano, esletico e meta-politico con braccialetto d'oro sul polsino della camicia. Né Bossi, quel Bossi che Kobo «non tradirà mai» («E' più facile che lasci me» garantisce la signora Maroni) aiuta a risolvere l'arcano. Nessun codice, infatti, per quanto sperimentato è mai riuscito a far luce sulle sottigliezze e le insidie del cosiddetto - ma la formulazione è politicamente e psicologicamente povera • «gioco di squadra». L'esperienza, piuttosto, insegna che prima o poi «i giochi di squadra» finiscono male. E che spesso sono le circostanze, più delle intenzioni, a creare scelte e contrapposizioni laceranti. Per ora Maroni adura Bossi. Il problema, semmai, è che i nemici di Bossi cominciano ad amare disperatamente Maroni come l'anti-Bossi. Bastava notare la gioiosa accoglienza che il sottosegretario missino all'Interno Gasparri gli riservava nel solito corridoio di Montecitorio. «La democrazia è viva - lo salutava festoso - perché Maroni resta al Viminale». «La democrazia è viva...» gli rispondeva Maroni come invitandolo a un duetto. «E lotta insieme a noi!» rispondeva pronto l'altro. «A voi!» ribatteva Maroni. E allora Gasparri: «Ho appena parlato bene di te in un'intervista». «Quindi ti sei mezzo inguaialo» e così via, scherzando come tra vecchi amici che non pensano assolutamente di potersi dividere. Non è questione - detta brutalmente - di comprarselo. Qualche tentativo ci fu già lo scorso anno, quando l'attuale ministro ebbe la prontezza di svicolare ponendo la condizione di giocare come titolare nel Milan, «con la gloriosa maglia numero 10, quella di Schiaffino, Rivera e Gullit». La questione è che le misteriose traiettorie della politica hanno spostato Maroni - e lui si è lasciato spostare - in un luogo così geometricamente cruciale da travalicare, adesso, i destini non solo di Bossi, ma della stessa Lega. Forrest Gump, appunto. Filippo Ceccarelli Ondeggiante tra r«pbbedisco» , e le lusinghe di alleati e nemici «Non tradirò Umberto» Ma gli avversari dei lumbard lo corteggiano ...... . Ri Roberto Maroni (foto grande) A sinistra: Forrest Gump Sotto: il sottosegretario Maurizio Gasparri (An)

Luoghi citati: Alessandria, Gallarate, Maroni, Roma