Dai «pidocchi» di Togliatti ai «Giuda» del Cavaliere di Pierluigi BattistaRossana Rossanda

Dai «pidocchi» di Togliatti ai «Giuda» del Cavaliere Dai «pidocchi» di Togliatti ai «Giuda» del Cavaliere POLITICA E TRADIMENTI E; ROMA cosi, in Italia i traditori tramano senza sosta. I fedifraghi si muovono nell'ombra. Chi ha rotto il patto di sangue s'inebria al tintinnio dei trenta denari appena intascati. Berlusconi dal podio milanese fa precipitare la politica nelle oscurità torbide dcH'«inganno» c della slealtà. L'Unto del Signore scaglia l'anatema contro i «Giuda» e non perdona chi avrebbe osato consegnarlo ai carnefici prima ancora che il gallo cantasse tre volte. Tradimento. E ancora tradimento. Puntando l'indice contro il Quirinale, il ministro Ferrara scomoda lo spettro di Bruto, «uomo d'onore». E poi a Montecitorio s'apre la caccia al «venduto». E Vittorio Feltri sul Giornale chiama «sabotatore» l'Umberto che un tempo era nel suo cuore. E sul Corriere D'Alema assegna il copyright del tradimento da Seconda Repubblica ai Tremoliti e ai Grillo che dal Centro si sono fatti «acquisire» dal governo. E dilagano i veleni del sospetto: il dissenso che diventa voltafaccia, la politica che si degrada a «campagna acquisti», gli insulti che volano, si incrociano, si ritorcono come boomerang senza controllo. E Bossi che supera tutti e bolla come «pidocchi e maiali opportunistici» quei leghisti che si dissociano dalla sua linea. «Maiali», non s'era mai sentito. «Pidocchi», sì. Erano i parassiti che nel '51 secondo Togliatti molestavano la «criniera del nobile destriero» comunista: Valdo Magnani e Aldo Cucchi, che poi altro non avevano fatto che dissentire dalla campagna d'odio scatenata contro Tito. Linguaggio manicheo di una politica che vive di assoluti, che non ammette sfumature tra Bene e Male, che vivo sacralmente il Partito come un corpo mistico e il primato dell'unità come eticamente superiore a ogni dissenso e ogni differenza. Altro che secolarizzazione e crisi delle ideologie. Torna in auge la retorica dell'inseparabilità, il dubbio equiparato a sabotaggio, la perplessità come intelligenza col nemico. Una visione del consenso politico che non ammette la buona fede, il diritto al ripensamento. Una mistica della tribù che non lascia spazio alla disobbedienza e che non sa concepire la sola ipotesi di un dissenso leale, non ispirato da interessi occulti o comunque inconfessabili. Altro che laicizzazione. Non era laico il pei del Togliatti che accompagnava con insolenza il Vittorini che rompeva col partito. Che liquidava (politicamente) Pietro Secchia associandolo a lo- sche storie di casseforti trafugate. Che si sentiva in obbligo di dedicare un commento «sprezzante» a Fabrizio Onofri che dissentiva. Che stendeva un cordone sanitario per non farsi contagiare dal «revisionismo» di Antonio Giolitti. Che alimentava il sospetto attorno ai radiati del manifesto divulgando maliziosi interrogativi sul «chi li paga?» e attraverso le cronache sportive dell'Unità nel '69 diramava i nomi dei due vincitori dei campionati di sci per giornalisti: Lucio Magri e Luciana Castellina, dipinti così come molli borghesi dediti a lussi e svaghi lontani dalle rigide regole della moralità proletaria. E dunque pronti a tradire. Non erano laici gli squadristi fascisti più intemperanti e maneschi che nel '21, al Mussolini che proponeva un patto di pacificazione nazionale, ricordavano a squarciagola che «chi ha tradito, tradirà»: salvo poi tradirsi l'anno successivo rinnovando la fiducia al Duce che trionfava. Non erano laici i fascisti di Giorgio Almirante che nel '77 rintuzzarono la scissione di Democrazia Nazionale di Ernesto De Marzio e Gastone Nencioni additando al pubblico ludibrio gli scissionisti come prezzolati dalla de e promuovendo l'inondazione del Secolo d'Italia con telegrammi dei militanti rubricati come «messaggi di fedeltà». La sindrome di Giuda Iscariota. Quando Giuseppe Saragat avviò nel '47 la scissione di Palazzo Barberini, il «traditore» venne ricoperto di improperi (il più gettonato: «socialista da salotto») fino all'infamia di paragonarlo al capo del fascismo. Ma per la legge del contrappasso la storia del socialismo craxiano che nel frattempo aveva fatto pace con Saragat sarà attraversata dall'ossessione del tradimento. Enrico Manca che aveva pugnalato Francesco De Martino al Midas viene soprannominato «Jago». Quando Craxi è forte, il segretario del psi liquida con ingiurie il traditore Bassani¬ ni, il quale viene affrontato in Transatlantico da Giorgio Gangi che gli dà del «faccia di merda». Ma quando Craxi è debole, nel pieno del suo crepuscolo politico il potente d'un tempo non coltiva nei confronti del suo ex fidatissimo delfino altri sentimenti che questo: «Qualcuno mi avrebbe venduto a Martelli già prima di Natale». Ancora lei, la sindrome di Giuda Iscariota. E mica sono tutti spiritosi come Francesco Cossiga che, da Presidente della Repubblica, regalò all'ex amico di corrente Franco Mazzola trenta monetine di cioccolato. Bossi, per esempio, i «maiali» e i «pidocchi» che non si lasciano più irradiare dalla luce che emana dal Capo non ha mai saputo trattarli con fair play. Ne sanno qualcosa «il Prosperini» che un giorno si vide precipitare addosso il robusto autista del senatur, o Gianfranco Miglio, rifiutato come un vecchio arteriosclerotico mai sazio di poltrone. E quanto a laicità della politica, non è che Marco Pannella abbia mai accompagnato con vigorose espressioni di stima il malcapitato che avesse voluto scendere dall'«autobus radicale». E adesso ci si tuffa nell'atmosfera corrusca del tradimento e dell'«inganno». Giorgio La Malfa (forse memore della brutalità con cui il padre Ugo avviò la resa dei conti con Randolfo Pacciardi) ingoia male la defezione di Bruno Visentini e si chiede senza misericordia in quanti seguiranno il feretro del Grande Borghese. Nel ginepraio dei tradimenti si getta persino Luigi Preti, che in pieno squagliamento socialdemocratico accusa Antonio Cariglia delle più mostruose nefandezze. Berlusconi esorta i suoi adepti a stanare uno a uno i potenziali «Giuda» del Polo della Libertà. Ma anche la sinistra riserva un trattamento speciale agli ex che si sono arruolati sotto le insegne dell'Odiato Nemico, da Ferrara a Tiziana Maiolo, agitando lo spettro del tradimento consumato, va da sé, per bieco interesse personale. Il satiro Paolo Rossi non ha forse paragonato la Maiolo a una donnaccia disponibile a prostituirsi col migliore offerente? La sindrome di Giuda Iscariota, il dissenso come bestemmia e delitto morale. E la chiamano laicizzazione. Pierluigi Battista Cossiga, dal Quirinale, mandò 30 «denari» di cioccolato all'ex amico Mazzola La Malfa sprezzante contro Visentini «Al tuo funerale saranno in pochi» Il «bacio di Giuda» A sin. Saragat e Martelli A sinistra: Rossana Rossanda Sopra: De Marzio

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