la bella Napoli dei due viceré

la bella Napoli dei due viceré Dopo i successi del G7 e dell'Orni è guerra tra Antonio Bassolino e Giuseppe Improta la bella Napoli dei due viceré '0 Sindaco e 'o Prefetto, braccio di ferro sul golfo SNAPOLI I arrovellano intrigati alla ricerca del paragone più calzante i pedanti cultori di storia napoletana: Carlo III e il suo segretario di Stato Bernardo Tanucci o, piuttosto, don Liborio Romano e Garibaldi, cui il ministro di polizia borbonico consegnò la città? A chi somigliano di più 'o Sindaco e 'o Prefetto? Sì, perché giusto al compimento del primo anno bassoliniano, celebrato a Londra (si veda il Times) come a Parigi, dove vivono alcuni discendenti di Franceschiello, a New York, grattacielo dell'Onu, come a Tel Aviv, dove Shimon Peres è rientrato estasiato con una stralunata squadra del Mossad che nella trasferta partenopea ha dovuto rimodulare tutte le tecniche di protezione, il Vesuvio tace. Ma brontola sonoramente, è lì lì per esplodere, per l'appunto, l'ormai mitica diarchia, 'o Sindaco e 'o Prefetto, di cui, con scientifico rigore, si cominciano a giocare i numeri al Lotto. Dopo il G7, la conferenza delle Nazioni Unite sulla criminalità e il tour dei Borbone, che hanno animato per sei mesi via Caracciolo e dintorni, perfino nei recessi del Ruanda potrebbero dirvi oggi chi è mister Bassolaino, figlio di un fioraio di Afragola e del più grande partito comunista dell'Occidente, che, imprevisto manager, in dodici mesi ha vanificato, oltretutto, i celebri versi di Pino Daniele: Napule è 'na carta sporca/ E nisciuno se n'importa. Ma ignorano di certo - e fanno male - chi sia Umberto Improta, l'altro diarca, il grande poliziotto dell'era Gava e Scotti, diventato Superprefetto della Napoli sottratta all'Impero del Male e riguadagnata, con poca spesa, se non altro ai meeting internazionali. Macché Bernardo Tanucci, 'o Prefetto - pur con molte differenze - è semmai l'epigono migliorato di don Liborio, divisa Roberto Ciuni, ex direttore del Mattino, che ha appena mandato in libreria per Rizzoli «Le macerie di Napoli». Perché, come don Liborio a Garibaldi, è Improta che, di fatto, ha consegnato la città a Bassolino il 7 agosto del 1993. Quel giorno, sentito Nicola Mancino, ancora potente ministro dell'Interno demitiano, il prefetto avvia le procedure per sciogliere il Consiglio comunale di Napoli, cedendo proprio alle pressioni del commissario del pds Antonio Bassolino, cui i sondaggi sulle intenzioni elettorali dei napoletani attribuivano il 53,4 per cento dei voti, contro il 46,6 per cento di Alessandra Mussolini. E infatti, ai primi del dicembre successivo, s'insedierà senza colpo ferire a Palazzo San Giacomo. Ma adesso che i summit mondiali sono felicemente conclusi e anche l'ultimo fan dei Borbone ha lasciato l'Excelsior, adesso che, tra facciate pittate a nuovo, chioschi fetenti rasi al suolo, giardini riaperti e strade ripulite, il marketing e le pubbliche relazioni internazionali non bastano più, adesso che anche i Barracco, benemeriti del rilancio di Napoli, sono un po' stanchi, i problemi incalzano e la pace armata tra i diarchi minaccia di trasformarsi in una battaglia a palle incatenate. Ora si tratta di delimitare sfere d'influenza che s'intersecano pericolosamente, in una città commissariata in base alla Legge sul dissesto, che blocca l'erogazione anche di una sola lira. Tanto che gli incidenti, espliciti o sotterranei, si susseguono. Quando arriva a Napoli il ministro dell'Interno Roberto Maroni, che notoriamente non ha in simpatia il prefetto, è Bassolino ad annunciare l'istituzione del poliziotto di quartiere. Improta s'infuria. Passano pochi giorni e rende la pariglia al sindaco: fa un bagno di folla tra gli studenti dell'Ateneo Federiciano e, con un'abile mediazione, riesce a riaprire il dialogo tra gli occupanti e il rettore Tessitore. Pochi mesi prima, del resto, non aveva forse intrattenuto con tutti gli onori i sigarettai di contrabbando, dopo che il sindaco aveva rifiutato di riceverli? E non coccola quasi uno per uno i disoccupati organizzati, scavalcando continuamente il sindaco, per così dire, a sinistra? A un convegno del Touring 'o Prefetto rivendica gli sforzi organizzativi per il G7 e la Conferenza dell'Onu. Naturalmente, i «suoi» sforzi organizzativi, perché - così lascia intendere ogni volta che può - senza di lui il sindaco non ce l'avrebbe mai fatta. E c'è del vero. Anche bassoliniani convinti ricordano, ad esempio, la storia del buco di Capodichino. Mancano poche settimane all'apertura del G7, Improta va a fare un sopralluogo all'aeroporto e scopre che in mezzo 6 co alla pista c'è un buco. E questo? fa disperato ai responsabili dei lavori. Quelli cascano dalle nuvole e gli rispondono che ci vorranno mesi per riaprire la pista, mentre i jet dei capi di Stato e di governo stanno già scaldando i motori. Ma Improta fa l'ennesimo miracolo: riapre in pochi giorni la pista. Cosa che induce oggi Paolo Cirino Pomicino, cui le disgrazie giudiziarie non hanno tolto l'umorismo, a dire che vuol fondare un'associazione per la difesa del marchio della Prima Repubblica, visto che il successo del G7 e della Conferenza dell'Onu, la Napoli pulita e imbellettata, si devono soprattutto alla perizia di una preesistente task force di uno Stato non poi così disperatamente inerte come lo si dipinge. Ma questo giudizio non sarà appena un po' ingeneroso verso un sindaco senza bilancio, che in pochi mesi - checché se ne dica - ha rivoluzionato almeno le liturgie politiche del sistema più infetto d'Italia? E che, comunque, al di là di ogni giudizio di merito, non mostra di voler tirare a campare, com'è nelle migliori tradizioni cittadine? E' passato un anno giusto da quando, il giorno dell'Immacolata, il sindaco appena insediato s'arrampicò in cima a una scala dei pompieri, deponendo un fascio di fiori ai piedi della statua della Madonna e ottenendo, con la benedizione, la promessa del cardinale Michele Giordano di partecipare alla ricostruzione civile e morale della città. Pochi giorni dopo, lui vecchio operaista, scacciò da via Caracciolo, dove bloccavano il traffico natalizio, gli operai in cassa integrazione della Linea Tranviaria Rapida. Potrà pure sembrare poco a chi non abbia mai frequentato in passato l'anticamera del sindaco, ma oggi al secondo piano di Palazzo San Giacomo non stazionano più postulanti, appaltatori, scioperanti, boss della camorra, varia e inquietante umanità alla ricerca o alla riscossione di favori; ci sono vigili stirati, anche di sabato, e commessi in livrea, segretarie che scattano col caffè, in un luogo in cui 20 mila dipendenti, il doppio del necessario, hanno sempre fatto, con qualunque amministrazione, il buono e il cattivo tempo e che, finché Bassolino non l'ha abolita, godevano di una pensione integrativa, detta Rendita vitalizia. Perfino il sindaco sembra un'altra persona, tra arredi scelti con cura e sotto uno splendido quadro ottocentesco: ha stretto l'accento largo di Afragola, che a Napoli - snobismo del Vomere - fa segnare a dito la gente «dei paesi», s'è fasciato di abiti scuri di buon taglio, e non ripete più - come non senza ragioni gli capitava spesso - che 'o pesce puzza d'a' capa. E' lui, con stile quasi british, a invitare semmai i postfascisti, che a Napoli sono tutt'altro che puri (Do you remember Laboccetta?) a smettere finalmente di mettersi le dita nel naso, perché per salvare la città ci vuole il contributo di tutti. Ma quelli non demordono. L'altro giorno hanno fatto una tremenda gazzarra nell'antisala dei Baroni, al grido: Bassoli.io demagogo rosso, Nicolini (si, proprio Renato, neoassessore alla Cultura) rifiuto romano, mentre Bruno Esposito arringava gli astanti sui meriti di Improta nell'organizzazione del G7. L'ultima cosa di cui, per la verità, 'o Prefetto ha bisogno; perché, avendo mancato la nomina a capo della Polizia, cui aspirava sopra ogni cosa, nonostante la corte ricambiata a Berlusconi, a Napoli per ora dovrà rimanerci. I masanielli missini della Sala dei Baroni, capitanati da Luciano Schifone, un mazziere degli Anni Settanta, non fanno gioco a lui e fanno inviperire Alessandra Mussolini, sindaco mancato, ma efficace supporter dell'avversario vincitore. Come si fa a tagliar fuori Forza Italia a Napoli, se non aiutando Bassolino? Per la verità, il partito del presidente del Consiglio ci pensa da solo a farsi del male: con Antonio Martusciello e Ernesto Caccavale, ex venditori di pubblicità, con Emidio Novi, ex giornalista anarchico di destra con confuse letture di Nietzsche, con Claudio Azzolini, di cui non riferiremo il soprannome derivante dall'aggiunta al cognome di una consonante, che, perfidi, gli hanno affibbiato in città. La candida e al tempo stesso astuta Alessandra, invece, ha portato Bassolino da Publio Fiori, crinieruto ministro dei Trasporti poslfascista, ex seguace di Sbardella e Pomicino, e forse l'incontro consentirà di sbloccare 300 miliardi per i trasporti urbani. Ottenere l'attenzione di Luigi Grillo, sottosegretario pensante a Palazzo Chigi, è costato invece soltanto una telefonata, non dei giovanotti smarriti di Forza Italia, ma di Giorgio Napolitano, antico leader migliorista del pei. Roberto Barbieri, ex manager della Montedison e del Messaggero, oggi assessore al Bilancio, non ha dovuto faticare troppo per spiegargli come Napoli rischi di morire proprio adesso che ha mesjo addosso l'abito della festa. Perché la Legge sul dissesto dice che l'ainr.inistrazione non può contrarre fidi bancari né mutui e che, in sostanza, il ruolo di commissario liquidatore spetta al prefetto. Capite adesso quanti poteri ha nelle mani Improta? Per ripianare i debiti - tra 1500 e 2000 miliardi il Comune, in base alla legge, dovrebbe mettere in vendita i beni immobili. Soluzione possibile nei piccoli centri, ma demenziale per una grande città, perché è evidente che neanche Manhattan o Hong Kong potrebbero assorbire un'offerta immobiliare del genere. E allora? Bassolino e Barbieri fanno buon viso a cattivo gioco e hanno preparato con Grillo una deroga al- e e a i e i i r e g o o - la Legge sul dissesto, che consentirà, a certe condizioni, di ricorrere al mercato finanziario. E intanto si spendono gli ultimi denari dell'epoca pomiciniana: si abbattono Le Vele, i palazzi popolari edificati tre lustri fa - più o meno quando Valenzi ribattezzava viale Gramsci il viale Elena, ma che già fanno invidiare il Bronx - e si aprono parchi, per trovare qualcosa da fare nel giardinaggio a 10 mila dipendenti comunali in sovrappiù. L'assessore Barbieri cita soltanto due numeri: 1300 miliardi di trasferimenti statali quest'anno, 130 l'anno prossimo. E il sogno di Bagnoli ? Bassolino lo descrive così: da Posillipo ai Campi Flegrei, il recupero di uno dei pezzi di costa più belli del mondo, con una passeggiata come via Caracciolo e un parco di 14 ettari sul mare; in seconda fila, insediamenti scientifici, a cominciare dal Cnr, un Centro congressi e hotel di qualità. Un passo verso la città dei camerieri? Polemiche di veteroindustrialisti, taglia corto Bassolino, l'ex veteroperaista. Mentre i costruttori napoletani latitano inghiottiti da Tangentopoli, le Partecipazioni Statali arrancano, dopo aver trasferito tutte tranne l'Ansaldo Trasporti - il vertice strategico a Roma, l'area Orientale della città langue senza prospettive e la banca di casa, il Banco di Napoli, non viaggia di certo nel suo periodo di massimo splendore. I bilanci sono quelli che sono e gli uomini messi da Ferdinando Ventriglia, antico e intelligente visir democristiano da poco scomparso, sono impegnati ventiquattr'ore su ventiquattro a curare le nuove coperture politiche: Coccioli, ex socialdemocratico, cerca di buttarsi con Forza Italia, Vigliar corteggia An, De Nigris (Chillo che tene 'e scarpe gialle, lo definiva Ventriglia) s'è messo con Mastella. Ma il caso che ha suscitato più ironie è quello di Pietro Giovannini, preside della facoltà di Economia a Pescara, che assunse De Mita come professore a contratto di Teoria della politica e ne ottenne la designazione al Banco. Oggi passa ore a Palazzo Chigi, in attesa di esser ricevuto da Gianni Letta: Dicett'o' pappice vicin'a' noce - recita un antico detto napoletano - dammi tiempo ca te spertoso, come dire la prevalenza del tarlo. Ma poi chi si può stupire più di tanto del trasformismo di Napoli? E' qui che è stato travolto il sistema di potere più delinquenzialmente perfetto d'Italia che - con Gava, Pomicino, Di Donato, De Lorenzo - portava a Roma le istanze cittadino, là decideva e poi, tornando sotto il Vesuvio, gestiva le risorse che si era autoassegnate. Il procuratore Cordova, l'altro uomo forte approdato in città, va per la sua strada, la via partenopea a Mani Pulite, ma che succederà se il blocco dei trasferimenti statali scatenerà, insieme alle difficoltà della camorra, che non ha più spesa pubblica da intermediare, un'ondata di neopovertà? Quanti grideranno Aridatece Cirino! Per dirla con Massimo Lo Cicero, economista, viene a mancare improvvisamente un'iniezione tonificante superkeynesiana, infermiere Pomicino, una specie di Nitti proiettato non sulla crescita, ma sulla redistribuzione del reddito. Bassolino si culla, invece, nella speranza che sia vero quanto, un po' untuoso, gli ha scritto Luciano De Crescenzo dedicandogli l'ultimo libro: «Lei è il sindaco che è riuscito a cambiare perfino i napoletani». Ma i fatti non confermano. Sentite questa, rigorosamente autentica. Un venerdì sera, poco prima di mezzanotte, il sindaco e l'assessore al Bilancio escono stravolti da Palazzo San Giacomo, in piena campagna per la pulizia delle strade. Gli corre incontro un vigile trafelato: Cd ce volesse ll'esercito! esclama. I due incedono in piazza Municipio e si trovano davanti alla seguente scena: i bidoni dell'immondizia sorreggono due improvvisate porte di calcio, verso le quali corrono, cercando di mettere in rete, due squadre di calcio, una di donne e una di femminielli (transessuali). Tutt'intorno si spaccia e si accettano scommesse. Chiamate il 113, fa tonante Barbieri. E una voce scettica dal fondo: Mò l'assessore se spara 'e ppose, come dire si atteggia. Una scena perfetta per «Immacolata e Concetta», il film di Piscicelli. Per fortuna che c'è 'o Prefetto, ma chissà se don Liborio riuscirà mai a far rispettare il velleitario invito di Bassolino, lanciato nell'ambito della sua campagna diuturna all'inseguimento di un'impossibile normalità: «Questo Capodanno niente botti!». Si accettano scommesse. Alberto Staterà Il rappresentante del governo «apre» ai disoccupati organizzati Il primo cittadino sfida il folclore «Questo Capodanno, niente botti» 6 comanda nelle A destra lo scrittore Luciano De Crescenzo Sotto da sinistra il sindaco Antonio Bassolino e il prefetto Giuseppe Improta A fianco, una veduta di Napoli La città è stata capillarmente restaurata per ospitare nel luglio scorso i lavori del G7 e la recente conferenza Onu sulla criminalità