L'ombra di De Lorenzo turbo il pm

L'ombra di De Lorenzo turbo il pm Dopo essere stato dichiarato contumace, l'ex onorevole per un'ora al processo. Ed è choc L'ombra di De Lorenzo turbo il pm II magistrato gli stringe la mano, l'ex ministro piange NAPOLI. Ricordate un uomo arrogante, aggressivo fino alla brutalità? Tornate indietro con la mente ad un freddo mattino del due novembre di due anni fa. Quel giorno irruppero nelle case degli italiani le immagini televisive di un antipaticissimo ministro che, fuori di sé dalla rabbia, ingiuriava i giornali di tutto il mondo, colpevoli di aver dato del tangentomane «a me che sono uno scienziato, un quasi Nobel». Vi sembrerà impossibile, ma è lo stesso De Lorenzo che ora, alla seconda udienza del processone alla sanità, avanza verso il banco degli imputati con il passo incerto di un vecchio pieno di acciacchi e lo sguardo assente. Sua moglie Marinella D'Aniello l'aveva detto: «Franco è annientato, quando lo vedrete capirete che i suoi malanni non sono una messinscena». Nessuno era disposto a crederle fino in fondo. Ed è forse per questo che alle 10,25 in punto, quando nell'aula annessa al carcere di Poggioreale compare non Francesco De Lorenzo, ma .il suo fantasma, all'improvviso cala un silenzio imbarazzato, interrotto solo dai clic dei fotoreporter e dagli starnuti di un carabiniere. Sette mesi di carcere preventivo che oltre trenta magistrati hanno confermato in diversi gradi di giudizio hanno piegato, quasi annientato l'ex monarca del pli. L'immagine di quell'uomo con la barba incolta e il volto scavato non sembra reale, ma riflessa da uno specchio deformante. E' inagrissimo, la camicia blu senza cravatta e la vecchia giacca principe di Galles gli ballano addosso. Regge con le mani i pantaloni troppo larghi, che minacciano di cadere da un momento all'altro sulle caviglie. I suoi gesti sono lenti e affaticati, mentre si dirige verso gli avvocati accompagnato da due carabinieri in borghese. Sono gli stessi che due ore prima l'hanno preso in consegna nell'ufficio matricola di Poggioreale. Raccontano che «il professore», come lo chiamano, ha percorso a piedi i cinquanta metri che dividono il carcere dall'aula, tremando per il freddo. «Prenda il mio giaccone», gli ha detto un appuntato. «No grazie, siamo quasi arrivati», ha risposto lui alzando il bavero della giacca. Ma quando è entrato nella sala delle udienze ancora semideserta, pochi minuti prima delle nove, è stato scosso da un altro brivido. «Anche qui fa freddo», ha sussurrato, e i carabinieri l'hanno accompagnato in una stanza riscaldata accanto alla camera di consiglio. E lui ha mormorato: «Che strana sorte: c'è chi gira per il mondo mentre io vago in un penitenziario». A udienza aperta, prima di farlo entrare, il presidente della corte Massimo Galli è stato categorico: «E' possibile scattare le foto solo per un minuto, e con il consenso dell'imputato». E ora che è qui, seduto fra gli avvocati Frojo e Siracusano, De Lorenzo fa capire con un gesto del capo che sì, i fotografi possono fare il loro lavoro. Chissà cosa gli passa per la mente, chissà quali pensieri si affollano dietro quello sguardo assorto, indifferente a tutto ciò che gli sta accadendo attorno. Forse ricorda di aver già visto quest'aula. Avvenne dieci mesi fa, allora De Lorenzo era accusato di corruzione elettorale. Ma era pur sempre un uomo Ubero quello che si avviò a passo svelto e con l'aria spavalda verso il banco degli imputati, per rispondere con tono sprezzante a chi lo indicava come un cinico elargitore di raccomandazioni e altri favori in cambio di voti. Ma tutto questo è parte di un'altra vita. Ora l'uomo che buona parte degli italiani identifica come il Grande Corrotto sembra vivere in un mondo tutto suo, incurante delle disquisizioni dell'avvocato Siracusano che sta enumerando una valanga di eccezioni procedurali. «La definizione dell'ammontare della tangente è cosa ben diversa dalla percezione della stessa», spiega il difensore al presidente Gallo. Ma lui, De Lorenzo, continua a fissare un punto imprecisato del pavimento, mentre con l'indice e il pollice della destra tormenta un ricciolo della barba: «Non la taglio perché ho paura di ferirmi con il rasoio», ha detto allo psichiatra qualche giorno fa. Torna per un attimo in questo mondo solo per sussurrare una domanda all'orecchio dell'avvocato Frojo: «Come stanno i miei figli?». «Bene. Ho parlato al telefono con Ferruccio, in Inghilterra. Le manda un abbraccio», risponde Frojo, che si toglie il loden per sistemarlo sulle spalle di De Lorenzo. Tace, il re nudo della sanità, e ogni tanto si stropiccia la fronte quasi a volere scacciare pensieri foschi. In aula c'è una persona che darebbe chissà cosa per entrare in quel cervello che gli psichiatri stanno analizzando da mesi. Si chiama Maria Teresa Costanzo, è una bella e giovane donna che nasconde dietro un sorriso dolce l'angoscia per una condanna terribile: quattro anni fa, in seguito ad un incidente d'auto, fu sottoposta in ospedale ad una trasfusione di sangue infettato dal virus dell'epatite C. Chi potrebbe biasimarla se considerasse De Lorenzo alla stregua di un criminale? Eppure, quando le dicono che la settimana prossima i giudici potrebbero decidere per la scarcerazione e mandare l'ex ministro agli arresti domiciliari entro Natale, non fa una piega: «A me non importa se esce o non esce da Poggioreale. L'importante è che il clamore suscitato attorno a questo caso serva a migliaia di poveri cristi che languono per mesi in cella prima del processo, ma dei quali nessuno parla mai». Ha un moto di stizza solo quando dal pubblico si leva una voce di donna: «Poveraccio, che pena quel De Lorenzo, i giudici non hanno coscienza». «Nemmeno lui, signora, nemmeno lui», sibila Maria Teresa. Alle 11,25, un'ora dopo l'ingresso in aula, l'avvocato Frojo chiede la parola: «Presidente, il professore non se la sente di rimanere in aula; Chiede di tornare in cella». Permesso accordato: De Lorenzo si alza aggrappandosi al braccio del suo difensore e si avvia verso l'uscita. Ma uno dei pm, Nunzio Fragliasso, gli si para davanti. E' il momento clou dell'udienza, l'incontro fra il Grande Accusatore e l'Inquisito. Il colloquio dura non più di dieci minuti. Avviene fuori dall'aula, in una stanzetta attigua alla camera di consiglio. Fragliasso, che non vede De Lorenzo da luglio, appare scosso: «Professore, dal carcere mi dicono che non mangia e non beve da giorni. Cerchi di tenersi su». «Non ci riesco, non posso inghiottire», risponde De Lorenzo, che scoppia in un pianto dirotto: «La prego, mi aiuti, spieghi lei agli italiani che non sono un mostro, che non ho fatto morire la gente di Aids». Fulvio Milone «E pensare che qualcun altro se ne va tranquillo in giro per il mondo» «Giudice, la prego: spieghi lei agli italiani che il mostro non sono io» Ingresso a sorpresa dell'imputato ad inizio udienza Pallido e emaciato, barba lunga, grigia Qui, a sin.: l'ex ministro Francesco De Lorenzo accanto al suo avvocato Nelle tre fotografie in basso: lo sguardo assente e la lunga barba grigia dell'ex onorevole liberale

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