«lega più i popolari ecco il nuovo polo»

Il consiglio federale dà via libera all'aggregazione liberal-democratica: nessun abbraccio col pds Il consiglio federale dà via libera all'aggregazione liberal-democratica: nessun abbraccio col pds «lega più i popolari, ecco il nuovo polo» Formentóni: «C'è un 'azienda alpotere, deve finire» MILANO.. Anche ieri sera, appena arrivato a casa, .quando è l'ora di andare a nanna suona il telefono ed è Bossi. Per Roberto Maroni, più che la buonanotte, è il riassunto di un'altra giornata da non dimenticare. Dunque è andata come da copione, buttato giù nella telefonata della notte prima. Bossi che va a prendere il panino alla buvette di Montecitorio e va all'attacco, Maroni che arriva per il caffè e sistema la difesa. Bossi che parla già del nuovo governo, Maroni che non disprezza, anzi tutt'altro, quello che c'è già. Inevitabile la domanda: è fronda? Inevitabile la risposta: «Ma quale fronda?». Maroni è il contrario di Bossi, tra il bianco o il nero sceglie sempre il grigio. Bossi, anche stavolta, benedice il vecchio amico. Sia benedetta questa sua posizione, questo suo moderatismo, il suo dire fino all'ultimo secondo che il governo Berlusconi può essere meno peggio di qualunque altro. Alla fine dei giochi si potrebbe scoprire che il maronismo è riuscito a tener assieme le troppe anime e le troppe voglie che si agitano nella Lega. Ai parlamentari anti-pds, riuniti l'altra notte all'hotel Nazionale, ha dato la sua garanzia: «In un governo così non sarei più ministro». Il maronismo prevede lunghe spiegazioni e lapidarie risposte. A un giornalista insistente, che domanda se a proposito di dissidenze può aggiungere qualcosa, è pronto alla replica: «Qualcosa!». E giù con una spiegazione infinita sulle contradizioni in seno al popolo leghista, su quant'è difficile esser Movimento di lotta e di governo: «Se si rimane movimento rivoluzio- nario è difficile cambiare le istituzioni rimanendo al loro interno. Occorre diventare riformisti. Per capire questo momento della Lega bisognerebbe aver letto Che Guevara e Lenin. La rivoluzione è finita...». Altra regola del maronismo, validissima in queste giornate: prendere le distanze dal Capo, offrirsi per tutte le mediazioni necessarie. I cinquanta dissidenti sono all'Hotel Nazionale? Arriva Maroni alle undici di sera e ascolta, annota, tranquillizza, rassicura, interroga: «Ma voi ve ne volete andare, volete che Bossi se ne vada?». Nooo! Così alle due di notte, quando rincasa e Bossi telefona, può riferire al Capo: «Guarda che non sono in vendita, non sono strumentalizzati. Vogliono capire, pongono un problema serio, temono problemi con la base. Teniamone conto». Ricevuto. E però qualche problema non lo risolve neppure il maronismo. C'è chi se n'era già andato con l'ex presidente Franco Rocchetta. C'è chi, come i liguri Cristoforo Canavese e Giuseppe Dallara, li ha raggiunti ieri: e in totale fanno sei, raggruppati con l'ex de Alberto Michelini e il ministro Raffaele Costa nei «Federalisti Liberaldemocratici». Forse altri se ne andranno e Maroni se ne dispiace: «In questo momento chi se ne va non ha capito e sbaglia». Un maroniano come il sottosegretario Antonio Marano aggiunge: «Se l'ordine è di attaccare, prima si va all'assalto e poi si discute». A novembre a Ponte di Legno, all'inizio di questo dicembre all'assemblea di Genova, Maroni aveva detto quel che ripete in queste ore. 1 ) Per me questo governo può continuare. 2) Non è detto che un altro governo possa anticipare i tempi del federalismo. 3) Non sono disposto ad entrare in un altro governo. 4) Sono nato con la Lega e morirò con la Lega. Con queste premesse sarebbe ovvio sentirsi rispondere «mercoledì, se si vota la fiducia al governo la voto anch'io». Invece il maronismo fa dire: «Vedremo, dipende... Ma, dovessi votare contro, prima mi dimetterei da ministro...». La novità politica per la Lega, ieri, è arrivata dalla decisione del Consiglio Federale, riunita a Milano, assente Bossi bloccato a Roma dal caos dei voli. Nasce «il Polo liberal democratico con il partito popolare», un polo che dovrà essere ben distinto, «in modo che non ci possano essere commistioni con il polo laborista», e si capisca che la Lega non va ad abbracciare la sinistra e il pds. Sarebbe un altro tassello del maronismo: così i dissidenti che temono l'abbraccio dell'ex pei potrebbero tranquillizzarsi. Maroni però non lo ammette e insiste: «Vale la pena cambiare governo?». Da Milano i colonnelli del Consiglio Federale rispondono come il romagnolo Corrado Metri: «E' come in aereo, c'è il May Day! May Day! Messaggio ricevuto. Roger! Partiamo e si cambia il governo». C'è Marco Formentini scatenato: «C'è un'azienda al potere e questa situazione deve finire, stiamo lavorando per un governo provvisorio, il più ampio possibile, senza An e Rifondazione. Dissidenti? Al massimo passaggi individuali a truppe losche». Luigi Negri, uno dei dissidenti, conferma: «Non c'è nessuna rottura, si sta discutendo». Mercoledì, a Roma, si conteranno. Bossi freme. Maroni no, non sarebbe maronismo. Giovanni Cerniti li leghista Roberto Maroni ministro dell'Interno

Luoghi citati: Genova, Maroni, Milano, Ponte Di Legno, Roma