Le due vite di Mattia Pascal

All'Alfieri fino a domenica la «farsa trascendentale» di Pirandello diretta da Mattolini All'Alfieri fino a domenica la «farsa trascendentale» di Pirandello diretta da Mattolini Le due vite di Mattia Pascal Con Flavio Bucci attore-marionetta TORINO. E' di Giovanni Macchia una delle più felici definizioni del «Fu Mattia Pascal», romanzo fra i più letti del Novecento, scritto da Luigi Pirandello nel 1904: «Farsa trascendentale». Il mondo diabolico e goffamente spiritico che circonda Mattia nella sordida pensione romana, allude all'uomo che perde la propria ombra, ossia a un tema sfruttatissimo dalla letteratura europea dell'Ottocento; mostra in controluce l'uomo in attesa di una reincarnazione, di una nuova nascita. Ma poiché Pirandello non era uno scienziato, trasformò questa idea di trascendenza nell'apologo dell'uomo debole che, proprio perché debole, è preda di decisioni improvvise e cieche, si fa dominare da un desiderio di vita quasi infantile. Ecco perché il bibliotecario Mattia Pascal decide di «morire» e di cambiare esistenza; ecco perché se ne va in giro per il mondo e con una nuova identità si rifugia a Roma. Ma anche qui, cedendo a un'altra smania, decide di separarsi ancora una volta dalla propria ombra, finge l'annegamento e se ne torna a casa, dalla moglie che intanto ha preso un altro marito. Due volte morto e due volte fantasma. Farsa trascendentale, dunque. Una formula che Tullio Kezich ha tenuto in massima evidenza, adattando il romanzo per il teatro. E come lui ha fatto il regista Marco Mattolini, che ne ha sfruttato i lampi, gli artifici e le assurdità fino alle estreme conseguenze. Con risultati coerentissimi, come abbiamo potuto vedere all'Alfieri, dove lo spettacolo è in scena fino a domenica. Nel trattamento ormai storico di Kezich (utilizzato per la prima volta vent'anni fa dal Teatro di Genova e da Luigi Squarzina) e nella messinscena di Mattolini prevale un montaggio di tipo cinematografico, rapido, a volte irrispettoso della cronologia. Grazie al Cielo, siamo lontanissimi dal deplorevole schema dello sceneggiato televisivo, che per non tradire troppo il romanzo tradisce profondamente il teatro. L'interno di un chiesone barocco con i suoi anfratti, i confessionali, gli altari e gli amboni fa da contenitore all'intera vicenda di Mattia Pascal. In questo luogo disegnato da Paolo Bernardi, la regia di Mattolini accende un gioco interpretativo indiavolato. E' una farsa-farsa il suo «Mattia Pascal», un meccanismo teatrale a volte molto vicino alle accelerazioni delle comiche cinematografiche, a tutto vantaggio di un macchiettismo fragoroso che sospinge in un angolo il chiaroscuro delle psicologie. In un simile contesto acquista grande rilievo l'interpretazione di Flavio Bucci, il cui Mattia Pascal perde ogni connotazione tradizionale di «personaggio», si trasforma quasi nella super marionetta di Gordon Craig, cioè in un attore-macchina, in un'entità suscitatrice di azione e divertimento. Febbrile nel movimento, le movenze di un ballerino di tip-tap e di un comico da avanspettacolo, spingendo la voce adenoidea su un unico tono, Bucci dà ritmo, humour e malinconia al suo antieroe, trascinando nell'impresa un ben amalgamato gruppo d'attori, in cui ciascuno è impegnato in più ruoli. Sono Claudio Angelini, Daniela Marazita, Luigi Mezzanotte, Giuseppe Maradei, Stefania Barca, Elena Bermani e Francisco Carradine. Il folto pubblico dell'Alfieri li ha applauditi con molto calore. [o. g.] Scena dello spettacolo (a sinistra) (sopra) il protagonista Flavio Bucci Gioco interpretativo indiavolato, come nelle comiche del cinema

Luoghi citati: Roma, Torino