Visconti un regista sul podio

Domani a Roma convegno sul regista, mentre Franco Mannino ne svela i segreti musicali Domani a Roma convegno sul regista, mentre Franco Mannino ne svela i segreti musicali Visconti, un regista sul podio Così il violoncellista Luchino concepiva ifilm EROMA UCHINO Visconti e Maria Callas, «mitico connubio», si conobbero a Roma nei primi Anni Cinquanta, di pomeriggio, in casa del maestro Tullio Serafin. Lui arrivò insieme con Franco Zeffirelli, con l'amatissima sorella Uberta accompagnata dal marito, il musicista Franco Mannino. Lei era già lì, insieme con Serafin e con la figlia di lui Vittoria accompagnata dal marito, il basso Nicola Rossi Lemeni. Arte e famiglia. Serafin chiese a Callas di cantare «un'anteprima di Traviata», opera nella quale non aveva ancora debuttato: «Credo che Maria non abbia mai più cantato come quel giorno il recitativo "E' strano" e, soprattutto, "Sempre libera"... Eravamo senza parole. Fu proprio quel giorno che cominciò la trasformazione fisica e artistica di Maria Callas, unicamente grazie al genio di Visconti», ricorda Franco Mannino. «Ai grandi si rende omaggio studiandoli: è il miglior monumento possibile, l'unico», dice il professor Lino Miccichè, critico e docente universitario di cinema, autore di tre saggi su Visconti, presidente del primo Convegno internazionale di studi viscontiani che s'inaugura domani a Roma come espressione «della volontà d'un viscontologo italiano di fare il punto sulle ricerche dedicate a Visconti nel mondo». Venticinque relazioni: anche sull'eroe positivo, sulla morte o sulla Natura nell'opera del regista, anche sul suo legame con la cultura popolare e sul suo cinema come grande bottega artigiana, anche sul proletariato come oggetto di desiderio omosessuale in Ossessione e in Senso. Un dibattito. E due eventi: un pranzo cinèfilo offerto dal rettore della Terza Università di Roma Biancamaria Bosco Tedeschini Lalli nella trattoria «Il biondo Tevere», che figura in Bellissima come un luogo di Anna Magnani raggirata da Walter Chiari e che è rimasta identica ad allora; e la presentazione del libro di Franco Mannino Visconti e la musica (Akademos & Lim, 127 pagine, 18.000 lire) prefato da Lino Miccichè. Compositore, direttore d'orchestra e pianista internazionalmente famoso, siciliano, cognato di Luchino Visconti, il maestro Mannino è stato per trent'anni suo consigliere musicale, ha collaborato a nove messe in scena del regista che diresse due sue opere, il balletto Mario e il mago nel 1956, la commedia storico pastorale Il diavolo in giardino nel 1963. Analizzando con brevità e semplicità la musica in ogni film, spettacolo lirico e di prosa di Visconti, il libro di Mannino è anche un'antologia d'altri personaggi, aneddoti diversi, costumi del mondo musicale; è una testimonianza dell'amore e della conoscenza della tecnica musicale, del legame profondo di Visconti con quella musica intesa come complemento del senso e chiave di lettura. Un'eredità famigliare: il ragazzo Visconti studiò per sette anni violoncello; il nonno, il padre, gli zìi erano finanziatori della Scala che, «grazie non solo ai loro soldi ma soprattutto alla loro enorme cultura e al loro buon gusto, divenne il primo teatro nel mondo», dal quale i Visconti vennero estromessi con l'istituzione di enti autonomi da parte del governo fascista. La madre lo portava con sé da bambino alle matinées della Scala, gli ' ifPJfifì.'P.I faceva ascoltare suonandolo al pianoforte il suo pezzo preferito, quel Preludio, Corale e Fuga di Cesar Franck che il regista scelse poi per Vaghe stelle dell'Orsa. La sorella Uberta ricevette in dono da lui il manoscritto scovato da Romolo Valli dell'inedito valzer per pianoforte di Verdi usato, nella strumentazione di Nino Rota, per il gran ballo del Gattopardo. La passione non era priva d'insofferenze intolleranti, racconta Franco Mannino. Visconti aveva desiderato per anni entrare nel mondo del melodramma, era stato ostacolato e scartato: ma quando finalmente l'Opera di Roma decise di affidargli la regia di un'opera, alla notizia che si trattava di Zazà di Leoncavallo anziché d'uno dei grandi operisti ro¬ A destra: Visconti con una monografia di Toscanini A sinistra: dopo la «Traviata» del '63. Sotto: con la Callas «Incontrò la Callas e la trasformò in un mito» nimento irripetibile». La musica veniva usata da Visconti nei film anche come contrappunto o sottolineatura psicologica: in Bellissima, racconta Mannino, «non poteva rinunciare all'opportunità di inserire il melodioso tema "Quanto è bella, quanto è cara" di Elisir d'amore quando la bambina appare... né a caratterizzare in affettuoso sfottò il regista Blasetti con l'arietta dell'imbonitore Dulcamara». Memorie, capricci: in Senso, nella sequenza del Trovatore alla Fenice di Venezia, Giulio Fioravanti, baritono, accettò soltanto per rispetto e stima di Visconti di figurare sullo schermo nella parte di Manrico che è tenore, e di fingere d'interpretare l'aria «Di quella pira», cantata in realtà da Gino Penno in disco. Insieme con Verdi, Bruckner e Mahler restano tra i musicisti prediletti, e un'unica volta Visconti sperimentò il massimo scontento: quando i produttori gli imposero per La caduta degli dei Maurice Jarre, reduce dai grandi successi delle musiche de II dottor Zivago. Franco Mannino si rammarica nel suo libro: «E' un vero peccato che le opere di cui Luchino firmò la regìa non siano state filmate: la nuova generazione non può lontanamente immaginare...». Rimpiange un estremo progetto di film italofrancese irrealizzato: «La storia era incentrata sulla moglie dello scrittore americano Francis Scott Fitzgerald, Zelda... Il contratto si doveva firmare il 18 marzo 1976, alle dieci del mattino». Il giorno prima Visconti morì. Pochi giorni prima gli avevano portato perché li controllasse i titoli di testa de L'innocente, ultimo lavoro appena terminato: «Cominciavano: "E' un film di Luchino Visconti". Luchino prese il pennarello e cancellò la parola è. Scrisse: "Era un film di Luchino Visconti"». Lietta Tornabuoni mantici dell'Ottocento italiano, rifiutò rabbiosamente quel «limone senza sugo», queir «operaccia senza gusto, senza fantasia, senza genio», quei «fichi secchi con cui non si fanno nozze», salvo poi a cambiare radicalmente il proprio giudizio sul verismo musicale italiano (pubblichiamo qui accanto la lettera di Visconti a Mannino). Una forte avversione nutriva anche per Puccini, amico dei suoi genitori e frequentatore della loro casa milanese, uso a suonare al piano per Carla Visconti ogni opera appena finito di comporta: «Divenne solo tardi un pucciniano convinto», e la regìa di Manon tescaut al Teatro Nuovo di Spoleto, nel 1973, quando era già paralizzato e dirigeva da una sedia a rotelle, fu «un awe-

Luoghi citati: Roma, Spoleto, Venezia