Betlemme la fuga dei cristiani di Fiamma Nirenstein

Soprusi e angherie dei musulmani per cacciare i palestinesi «traditori» Soprusi e angherie dei musulmani per cacciare i palestinesi «traditori» Betlemme, la fuga dei cristiani Il Natale della paura nella città di Gesù LA CROCIATA INTEGRALISTA «LBETLEMME 0 dica al mondo: a noi cristiani di Betlemme, il Natale non piace. Non andrò alla Messa di mezzanotte alla chiesa della Natività. E sarò contento di non andarci». E' sera. In un convento del circondario betlemita così parla, pallido, un prete cattolico in questa vigilia natalizia. Insieme con lui, tutti rigidamente clandestini, uno sparuto gruppo di coraggiosi palestinesi cristiani che hanno deciso di incontrare la giornalista italiana. In fondo in Italia c'è il Papa, chissà che una mano amichevole non venga a salvarli: «E' così frustrante che il Salvatore non venga in nostro aiuto». Il prete allarga stupito le braccia. Che cosa succede vicino alla grotta del bue e dell'asinelio, nella cittadina che diede i natali a Cristo? «Ben presto Betlemme sarà una città in cui i cristiani saranno messi al bando. Nell'anniversario del bimillennio della nascita di Gesù, nel Duemila, questo luogo sarà interamente musulmano. La Mezzaluna avrà preso il posto della Croce; nel 1948 la popolazione era interamente cristiana. Il triangolo Betlemme, Beit Zahur e Beit Jalla risuonava di campane. In quell'anno i nostri fratelli musulmano-palestinesi, durante la guerra con gli israeliani, si riversarono a frotte da noi. Li accogliemmo con grande generosità: erano scalzi e nudi, senza casa, senza scuole, senza lavoro. Abbiamo spartito con loro ogni cosa. Non ci hanno dato in cambio nessuna gratitudine; al contrario. Da allora è stata solo un'escalation di violenza anticristiana, di aggressioni quotidiane. I cristiani sono ridotti oggi al 30% della popolazione e non passa giorno senza che qualcuno scelga di andarsene. Ci sono più cittadini di Beit Jalla in Cile che a Beit Jalla stessa. Da trentamila cristiani a Betlemme negli Anni Cinquanta, siamo arrivati a ottomila. E a Gerusalemme sta accadendo la stessa cosa: dei 45 mila cristiani nel 1946, oggi ne sono rimasti 11 mila, e molti stanno preparando le valigie». Nel freddo del convento siedono, oltre al prete, una donna colta, una professionista di circa 50 anni; un pubblico ufficiale; un uomo coinvolto nell'autodifesa politica delle comunità palestino-cristiane e altri, che restano più silenziosi. Tutti sono patrioti palestinesi, tutti aborrono l'occupazione israeliana e sono stati parte attiva dell'Intifada. «La notte di Natale per noi è solo il simbolo della nostra tragedia: la chiesa è piena di turisti, di stranieri; la polizia israeliana ci fruga ad ogni passo e ci interroga cento volte prima di lasciarci avvicinare alla chiesa. Allora, ci ritiriamo nelle chiesette e nei conventi fuori dal centro. E là, nelle strade periferiche, si scatena il peggio. I musulmani mettono le loro musiche a tutto volume per impedirci di pregare, ci minacciano fisicamente, talvolta ci assalgono, sfottono le nostre donne, ci insultano». Dal 1948 la comunità musulmana ha ricevuto il 99% di tutti gli aiuti economici destinati ai rifugiati da parte degli Stati arabi e di varie organizzazioni. Il tasso di natalità dei musulmani, inoltre, infinitamente più elevato di quello dei cristiani, li ha moltiplicati numericamente. La crescita dell'integralismo islamico, poi, specie negli ultimi tempi, li ha portati a sentire come cosa molto più urgente la musulmanizzazione delle zone a presenza cristiana: «Nel Corano non è scritto che Gesù è nato qui. Per loro questa è zona di conquista e qui, come altrove, dev'essere seguita l'indicazione di costruire una moschea al posto di ogni chiesa». La pressione, dunque, si è fatta enorme: e da quando il Vaticano ha riconosciuto lo Stato d'Israele, si sente molto forte l'accusa ai cristiani di essere né più né meno che dei traditori; un'accusa condita da altri rimproveri retrospettivi su una pretesa (e nient'affatto reale) tiepida partecipazione all'Intifada. La pressione numerica (seguiamo passo passo il racconto dei nostri interlocutori), politica ed economica è molto peggiorata ed esaltata dalla crescita di Hamas. Giovani barbuti visitano di frequente le case dei cristiani intimando loro di andarsene con le buone o con le cattive. Minacciano i bambini, bruciano le macchine. «Le proprietà edilizie fondiarie sono state sempre il punto d'arrivo della prepotenza musulmana, vengono da noi con tanti soldi in contanti che non sappiamo davvero da dove escano, e insieme premono con minacce, con il lancio di rifiuti, con furti, vandalismi. Prima o poi riesco- no ad espellerci perché la nostra vita quotidiana diviene rapidamente impossibile. A Betlemme, ormai, il mercato della frutta e della verdura è in mano musulmana; il mercato dei ricordini cristiani, quelli fatti di legno di olivo, altrettanto. Le scuole, un tempo interamente cristiane, utilizzano ormai testi in prevalenza musulmani. Quindi, per esempio, tutta la storia della Chiesa in Terra Santa è vista come uno scempio ed un'aggressione, e ormai i nostri figli la imparano così». Le donne, i cui costumi sono molto più emancipati di quelli delle donne musulmane, sono continuo oggetto di aggressioni e insinuazioni sociali. Gli affari dei cristiani vengono sistematicamente boicottati: «Un mio parente, ottimo sarto, aveva lavoro dalle 6 di mattina a mezzanotte. Era coperto da un nome in apparenza non cristiano. Appena la sua identità religiosa è venuta alla luce, è rimasto interamente senza lavoro; inoltre, se hai un negozio con una vetrina, ben presto vi troverai sopra appiccicati dei versetti del Corano, e guai a toglierli. E se il negozio rende, prima o poi sei costretto a venderlo a loro. Di continuo, poi, subiamo furti nei conventi, come a Cremisan, dov'è rimasta la scritta "L'islam è la risposta"; profanazione di cimiteri, come a Beit Jalla; scempi vari come il furto e il rogo di una statua della Madonna in un convento di suore». Uno dei crucci più grandi dei cristiani è legato all'attrazione che il gruppo più potente suscita su quello più misero. «Abbiamo avuto quest'anno a Betlemme 11 conversioni maschili all'islam. Per forza: i nostri uomini non potevano più sopravvivere. Anche nei posti pubblici, infatti, sono stati creati dai musulmani dei meccanismi che consentono l'accesso al lavoro solo dei loro correligionari. E inoltre, poiché la legge islamica punisce con la morte la conversione e il matrimonio con un partner di religione diversa, e le nostre donne sono numericamente un po' più degli uomini, di fatto abbiamo una serie di conversioni femminili molto preoccupante». Naturalmente i cristiani non parlano, sia per paura delle rappresaglie, sia per non rompere l'unità palestinese in un momento delicato. Ma da quando il processo di pace è in atto, per loro è iniziata la vera guerra: a Gerusalemme la polizia ha scoperto che gruppi di cristiani preparano la resistenza armata antislamica. «Noi, invece, a Betlemme siamo le vittime, pietre viventi in un mare di pietre morte, testimoni sofferenti della presenza del Messia sulla Terra Santa. Siamo i suoi rappresentanti presso la mangiatoia. Ma il mondo resta sordo. Non vede che, giorno dopo giorno, qui si vive una resistenza eroica. Alla fine, qui resteranno solo le pietre morte, nel luogo della nascita di Gesù». Fiamma Nirenstein «Nel 2000 in questo luogo non ci sarà più un seguace di Cristo» Il patriarca maronita Nasrallah Sfeir I rapporti tra cristiani e islamici diventano sempre più tesi

Persone citate: Gesù, Jalla, Mezzaluna, Nasrallah Sfeir I