A sinistra torna il fattore K

// manifesto: i comunisti non sono spariti A sinistra torna il fattore K // manifesto: i comunisti non sono spariti LO STRAPPO DI D'ALEMA E ROMA così, nel grande marasma risorge inaspettatamente anche il «fattore K». Il termine «comunista», denuncia Rina Gagliardi in un editoriale pubblicato sul «quotidiano comunista» il manifesto, «è tornato ad essere un insulto, una specie di anatema, una pregiudiziale ideologica così pesante da rasentare la vera e propria discriminante etnica». Gloria Buffo, della componente dei «comunisti democratici» presenti nel pds, afferma che «ci sono molti comunisti che non si sentono dei panda». Vecchia storia: già nell'ultima campagna elettorale il termine «comunista» variamente modulato dagli esponenti della destra evocava timori antichi, riflessi condizionati, associazioni mentali collaudate. E allora? No, la storia è nuovissima: stavolta il «fattore K» sembra essere infatti la nuova barriera che divide in Italia comunisti e post-comunisti. La svolta di D'Alema, la deci- sione sancita dal Consiglio nazionale pidiessino di chiudere con Rifondazione comunista per rendere più scorrevole la strada che porta all'accordo con il ppi di Buttiglione, riattizza i rancori che accompagnarono la travagliata cancellazione della parola «comunista» dalle insegne del pei. D'Alema incassa il parere favorevole del parlamentino del pds e si affanna a spiegare che tra il pds e il partito di Bertinotti non c'è nessuna «pregiudiziale ideologica». Del resto non si diceva forse che l'attuale segretario del pds avrebbe riportato il suo partito a un modo di essere più vicino al defunto pei di quanto non fosse quello di Occhetto? E non si citava la ripetuta affermazione di D'Alema che mai il ritratto di Togliatti sarebbe stato sradicato dal suo cuore come il segno più appariscente di una continuità orgogliosamente rivendicata dall'attuale leader del pds? E invece no. Esplode nuovamente una polemica fortissima che ha per posta un termine come «comunismo». A cinque anni dalla caduta del Muro di Berlino. A tre da quella dichiarazione di gioia con cui Occhetto disse di aver accolto, all'indomani del fallito golpe in Urss, la notizia della «morte del comunismo». E così sul manifesto si scrive che Walter Veltroni - colpevole di aver affermato che «Pintor e Bertinotti sono il vecchio che si afferra al nuovo per impedirgli di camminare» - addirittura «campa di anticomunismo», del «vecchio, vetusto» anticomunismo. E così, ancora sul manifesto arrivano vagoni di lettere che protestano contro Norberto Bobbio che addirittura, scrive ancora Rina Gagliardi, usa «il suo prestigio di "padre del pensiero liberale" per un'operazione di esplicita neointolleranza filosofico-politica», e tutto perché Bobbio era intervenuto nel dibattito aperto da Pintor spiegando il nesso tra fascismo e comunismo. E così, sempre sul manifesto, la copertina del quotidiano illustra un autobus con la scritta «fate attenzione: su questo bus c'è un comunista» e sotto il titolo allusivo «Linea Pds». Come a dire che nell'ex pei s'aggira ancora lo spettro del comunismo. Come a dire che l'anticomunismo «vetusto» è approdato persino nell'ex partito comunista. Una replica della discussione violentissima che si accese con la svolta di Occhetto? Il «sacrificio» di Rifondazione sull'altare del «centro-sinistra» (o del «sinistra-centro») assume il valore simbolico di una seconda rottura. [p. bat.] ■ Luigi Pintor 9 direttore Luigi Pintor direttore

Luoghi citati: Berlino, Italia, Roma, Urss