OLTRE LA LIRA di Alfredo Recanatesi

Oggi il rapporto dei «super ispettori», domani la Finanziaria torna al Senato r OLTRE LA LIRA ~1 / capitali se ne vanno? Facciamo un sondaggio ALGRADO il buon rialzo dei mesi iniziali, l'anno borsistico si avvia a chiudersi con un regresso. La contraddizione di questo pesante risultato con la positiva realtà dell'economia produttiva dà la dimensione della crisi di fiducia della quale l'Italia soffre nei confronti degli investitori. Uno smacco grave per un governo che, dichiarandosi espressione dell'Italia che lavora in contrapposizione all'Italia delle chiacchiere, si era presentato sul presupposto di ben diverse certezze, aveva coltivato ben diverse ambizioni ed era stato accolto dagli stessi investitori con un ben diveso atteggiamento. Nell'intenzione di schiarire questa cupa ombra proiettata su ogni bilancio che di questo governo si possa fare, gira voce che Forza Italia cerchi conforto - come sbagliarsi? - in un bel sondaggio. Negli ambienti finanziari di Londra per interrogare banchieri, gestori e tesorieri non sulle ragioni della loro diffidenza verso gli investimenti in lire o sulle prospettive della nostra economia produttiva: niente di tutto questo. Per interrogarli, molto più per le spicce, con una domanda che suona press'a poco così: se le passate elezioni fossero state vinte dallo schieramento di sinistra, avreste investito in Italia? Di più, di meno, o non so? L'iniziativa si presta ad una infinità di battute, almeno una delle quali è difficile soffocarsela in gola evitando di osservare che con il governo Ciampi, e prima col governo Amato (almeno, da quando, dopo la débàcle della svalutazione, cominciò a fare le cose sul serio), di capitali dall'estero ne rientrarono e ne vennero tanti, consentendo la ricostituzione di buona parte delle riserve di valuta, ma soprattutto una forte discesa dei tassi di interesse e - quel che più conta del loro differenziale rispetto ai tassi tedeschi. Battute a parte, l'idea di un siffatto sondaggio è sintomatica di una cultura che, non conoscendo altro linguaggio che quello degli slogan e dei numeri elementari, non si sforza neppure di indagare sul senso delle cose e tanto meno di ragionarci su. L'esito di un tale sondaggio, infatti, può alimentare la dialettica sanguigna da perenne scontro elettoralistico, non fornire elementi di conoscenza sulla crisi della bilancia dei capitali utili per orientare l'iniziativa dei partiti, dei movimenti o del governo. Certo non ho la pretesa di aver fatto sondaggi, né intendo farne. Ho solo cercato di capire che pensano dell'Italia quanti, soprattutto negli altri Paesi, hanno un qualche ruolo nell'orientare gli investimenti finanziari tra le diverse monete e i diversi mercati del mondo. Per la maggior parte di queste persone, che seguono le vicende italiane con distacco da passioni e interessi, ma proprio per questo con una maggiore capacità di sintesi, Bossi, Forza Italia, la I sinistra, An, Bertinotti contano I poco, come contano poco i tanti episodi con i quali la cronaca ci bombarda tutti i giorni mettendoci davanti agli occhi una miriade di alberi, ma quasi impedendoci di vedere la foresta. Loro, invece, la foresta la vedono più distintamente di noi. E, fuor di metafora, hanno prima visto un Paese ricco di potenzialità che sembrava avviato a risolvere i suoi atavici problemi di funzionalità politico-istituzionale con una legge elettorale che, per quanto pasticciata, prometteva gli stessi effetti che ha prodotto là dove i suoi essenziali principi sono stati applicati: netta separazione tra maggioranza e opposizioni, coalizioni omogenee, governi duraturi, quindi possibilità di governare per programmi pluriennali e così via. In quella prospettiva, nella quale al potenziale di lavoro, di iniziativa e di imprenditorialità avrebbe corrisposto un sistema politico ed amministrativo ugualmente efficiente, l'Italia avrebbe davvero potuto sostenere ogni competizione e vincere ogni concorrenza. Era, dunque, un Paese sul quale scommettere. Invece, le cose sono andate come sono andate. La maggioranza è eterogenea quanto mai, il governo appare instabile quanto e più dei tanti che l'hanno preceduto; e come nella seconda metà degli '80 l'Italia si conferma l'unico dei Paesi industriali che non riesce ad avviare un aggiustamento dei conti pubblici neppure quando l'economia cresce. Per chi decide dell'investimento di risorse finanziarie, non si tratta solo del fatto che tutto è tornato come prima; in più c'è la delusione, tanto più disperante quanto più convinta era stata la fiducia nel processo che l'Italia aveva avviato. C'è motivo di ritenere, quindi, che le intemperanze di Bossi, gli incidenti pariamentari, gli emendamenti e gli stralci dalla finanziaria e, ancora, gli scontri con la magistratura o le tensioni con Bankitalia siano tutte lucciole da non confondere con le lanterne della legge elettorale e delle altre regole istituzionali che, a evidenza, non consentono all'Italia di diventare un Paese governabile ed affidabile nel quale investire senza perdere il sonno. 11 partito, o - pardon - il movimento che ha espresso il Presidente del Consiglio, e che ancora si accredita come il più forte, ha tutto il diritto di imbastire i sondaggi che vuole, ma non è così che potrà concorrere responsabilmente a raddrizzare la bilancia dei capitali che deprime la Borsa, indebolisce la lira e impone una addizionale non piccola ai tassi di interesse. Alfredo Recanatesi es^J

Persone citate: Bertinotti, Bossi, Ciampi

Luoghi citati: Italia, Londra