D'Alema finanziamento illecito? Casi isolati non è un sistema

D'Alema: finanziamento illecito? Casi isolati, non è un sistema D'Alema: finanziamento illecito? Casi isolati, non è un sistema LA QUERCIA SOTTO INCHIESTA lì: mai' CCO mi stanno portando una notizia. Incredibile, I vengo a sapere che io ed Occhetto saremmo stati iscritti nel registro degli indagati di Roma...». Massimo D'Alema è al telefono quando un collaboratore gli mostra il testo dell'agenzia di stampa che parla del coinvolgimento suo e di Occhetto. Il segretario del pds non è sorpreso: «Sono atti dovuti», taglia corto, riferiti a fatti vecchi di mesi che diventano notizie da prima pagina solo perché c'è chi vuole fare politica usando le armi giudiziarie. «Sulla storia dei soldi del pcus aveva già indagato la procura milanese, mesi fa continua - e probabilmente anche allora Occhetto ed io eravamo stati iscritti nel registro degli indagati». Massimo D'Alema non vuole rilasciare dichiarazioni sulla bufera giudiziaria che si sta abbattendo sul suo partito. «Sono reati da pretore che non possono diventare oggetto di una questione nazionale», dice. Non esclude che qualcosa di irregolare possa essere successo anche nei rapporti tra le cooperative e il pci-pds, ma rifiuta l'idea della premeditazione, di quello che lui e altri hanno definito il «teorema rosso». Riconosce che qualche funzionario possa anche non aver trascritto qualche versamento a bilancio. «E in questo caso i responsabili pagheranno - dice -. Ma nessuno può fare venire fuori teorie aberranti, come quella per cui noi avremmo fatto fallire non so quante cooperative agricole per mettere in cassa settanta miliardi...». Il teorema da combattere, piuttosto, è un altro. Secondo D'Alema «qualcuno» vuole creare «una situazione di parità» tra il presidente del Consiglio e il leader dell'opposizione. Indagato l'uno, indagato l'altro. Delegittimato il primo, delegittimato anche il secondo... «Non capisco proprio di che cosa si lamenti Berlusconi - sbotta -. Se all'opposizione ci fossero i suoi alleati di governo, lo avrebbero già trascinato in Parlamento con le manette ai polsi e un cappio al collo. Noi invece abbiamo sempre parlato soltanto di politica...». E non è neppure vero, insiste D'Alema, che la magistratura abbia avuto un occhio di riguardo per il pds. «Noi sia- mo stati sottoposti a decine di indagini, con un puntiglio degno di miglior causa», dice. E poi elenca l'«enorme» numero di pidiessini indagati, magari arrestati e poi prosciolti. «La famosa tangente Greganti spiega - sulla quale siamo stati processati due anni si è conclusa con una richiesta di ar¬ chiviazione perché si è dimostrato che quei soldi il nostro partito non li aveva mai presi. E Burlando? Portato via in manette, e poi non si è trovata alcuna traccia di corruzione». E «il povero Donegaglia» prosciolto con formula piena. E la «famosa storia» di Paola Occhetto con una richiesta di archiviazione. «Era una normale vendita commerciale», spiega D'Alema. E Fredda, arrestato «e il tribunale della libertà disse che era illegale». E ancora Burlando, «arrestato, e la Cassazione disse che ora illegittimo...» Per il leader del pds, insomma, il teorema rosso non esi¬ ste. Il meccanismo che vede le coop vincere gli appalti pubblici grazie al pci/pds (e il partito ricevere fondi dalle cooperative in una specie di partita di giro vantaggiosa per tutti) è senza senso. «Queste sono aziende che hanno un fatturato annuo di 27 mila miliardi - dice -. Se loro fosse¬ ro il braccio operativo del partito noi non saremmo qui a vendere la nostra sede». Già, i debiti, quelli che secondo D'Alema lasciano stupefatti i compagni della sinistra europea. Negli altri Paesi, ricorda il leader del pds, è del tutto normale che le cooperative diano un sostegno economico ai partiti della sinistra. «Noi viviamo ancora in una provincia semibarbarica - dice amareggiato -. Ogni volta che vado all'estero mi vergogno, c non soltanto per le brutte figure che ci fanno fare i nostri governanti. 1 raffronti sono sempre più dolorosi da fare...». In Italia, come ha detto pochi minuti prima in un'intervista, un partito deve rispondere a un capo d'imputazione che riguarda «una tombola a Mezzano». E allora bisogna invitare i magistrati «a non confondere tutto quelle forme di sostengo lecito (sottoscrizioni, feste dell'Unità, pubblicità, stand di congressi...) con gli episodi di finanziamento illegale che, qualora siano esistiti, non configurerebbero comunque certamente la partecipazione del partito a un sistema di corruzione...». Il discorso, inevitabilmente, cade sui giudici. Su Di Pietro che, come ha già scritto Walter Veltroni, sarebbe «un ottimo guardasigilli». Sugli uomini del pool bersagliati dagli uomini del governo. «Noi - spiega D'Alema - non abbiamo mai detto che Berlusconi deve andarsene perché ha ricevuto un avviso di garanzia. Abbiamo solo sostenuto che il presidente del Consiglio non può dire che i magistrati sono una manica di mascalzoni e di carogne. E' inaccettabile, così crea un conflitto tra i poteri dello Stato...». Delle dimissioni del leader di Mani pulite, D'Alema non vuole parlare: «E' un dibattito bislacco», dice. E «poco rispettoso», insiste, difendendo il magistrato-simbolo che viene fatto ministro, leader di partito, presidente del Consiglio senza neanche chiedere il suo parere. «E poi - continua ho parecchi dubbi che ci siano davvero tanti italiani che lo considerano l'uomo della Provvidenza. Fate un sondaggio, e avrete delle sorprese». Sembra scettico, D'Alema. Ma è chiaro che l'idea di un Di Pietro impegnato in un ruolo istituzionale non gli dispiace, in un ipotetico governo delle regole o in un possibile governo del Presidente. «Avere a che fare con uomini messi alla prova è più semplice che trattare con le leggende viventi ammette -. E magari sarebbe anche utile per il Paese. Certo che staro al governo non è come fare il pubblico ministero: la gente lo giudicherebbe per le sue capacità di ministro». Comunque, ammette D'Alema, «la miglior prova per il budino è mangiarlo». E se Di Pietro subentrasse a Biondi potrebbe mettere in atto il progetto che ha suggerito a Cernobbio. 0 almeno cercare di farlo. Di Pietro sarebbe un buon tecnico - dice in sostanza - ma altri tecnici altrettanto bravi non hanno fatto miracoli. «Questa idea della politica che è diventata una merdaccia e chiunque la può fare meglio dei politici è strana - sorride il leader della Quercia -. E finora ha dato risultati catastrofici...». Guido Tiberga «Se le coop con 27 mila miliardi di fatturato fossero la nostra cassaforte, perché cedere la sede?» «Non è vero che la magistratura ci tratta con particolare riguardo: contro di noi decine di indagini» A lato il segretario pds Massimo D'Alema, sopra i'ex leader della Quercia Achille Occhetto

Luoghi citati: Cernobbio, Italia, Mezzano, Roma