polemica. Lo storico Belardelli contro De Gregori, Barbato e compagni di «élitismo» di Giancarlo Bosetti

polemica. Lo storico Belardelli contro De Gregori, Barbato e compagni di «élitismo» polemica. Lo storico Belardelli contro De Gregori, Barbato e compagni di «élitismo» Sinistra, la sconfìtta snob «Punita perché non ama gli italiani» EROMA A sinistra ha perso perché non le «piacciono gli italiani». Perché è supponente e ama immaginarsi, in modo del tutto abusivo, come la parte che rappresenta i «migliori», la minoranza illuminata, mentre il campo avverso, la maggioranza, è descritto come un gregge di imbecilli. Perché è paralizzata da un'invincibile paura del «benessere». Perché è intimamente autoritaria. Perché ha una concezione pedagogica della politica. Perché detesta l'idea che gli individui possano scegliere modelli di vita e finalità esistenziali diverse da quelle che la sinistra considera «volgari», «degradate», improntate a un bieco edonismo materialistico. Se alla sinistra non piacciono gli italiani è il titolo di un saggio che lo storico Giovanni Belardelli, sull'ultimo fascicolo del Mulino, dedica alle reazioni della cultura progressista dopo la sconfitta elettorale di marzo: a suo giudizio mettono in luce un'antica ostilità «nei confronti del consumo, vale a dire di quella dimensione dell'attività che è ormai manifestazione centrale della ricerca del benessere da parte dell'individuo» nonché una ricaduta rovinosa in quell'«antitalianismo» che «rappresenta un tratto distintivo della cultura politica di un Paese che di rado ha avuto élites intellettuali capaci di ascoltare con umiltà i bisogni dei propri concittadini». E di questo duplice vizio culturale Belardelli, con puntiglio archivistico, elenca argomentazioni e responsabili. Si va da Pietro Scoppola che all'indomani delle elezioni afferma che «ha vinto l'Italia che ha un'insopprimibile vocazione alla sudditanza anziché alla cittadinanza» a Giulio Ferroni secondo il quale il voto prò Berlusconi altro non sarebbe che il segno della «nostra piccola barbarie quotidiana» nonché dell'«infantilismo consumistico». Da Andrea Barbato che parla di un Paese «prosciugato, egoista, furente» a Giorgio Bocca che lamenta «la marea crescente del cattivo gusto e della volgarità» come contrassegno di quelli che «hanno vinto». Da Corrado Augias che sermoneggia sui «programmi tv basati sul miraggio di una felicità da supermercato» a Francesco De Gregori che scommette senza indugio sulla certezza che la «sinistra sconfitta» rappresenta «la parte migliore del Paese». «Elitismo». Anticonsumismo di maniera. Incapacità di comprendere che nelle società de¬ mocratiche di massa il vero protagonista della competizione, piaccia o no, è pur sempre la «gente comune». Tendenza a sovraccaricare la «politica» di improprie mansioni pedagogiche che ineluttabilmente la conducono verso un esito autoritario se non totalitario. Le critiche che Belardelli svolge alla sinistra sconfitta sfociano in questa: «La percezione di sé in quanto parte "migliore" del Paese contiene la tentazione a rifugiarsi in un Paese virtuale». Giancarlo Bosetti, direttore di Reset, viene citato come un esempio dello snobismo di sinistra in quanto artefice della formula «èra del karaoke» per descrivere l'Italia che ha dato i voti a Berlusconi. Ma lui non condivide le osservazioni di Belardelli: «In primo luogo bisogna ricordare che la critica dell' "élitismo" degli azionisti è un classico nella cultura del pei. Destra? Sinistra? Non saprei. Mi limito a osservare che è proprio nella sinistra, oggi accusata di essere elitaria e snob, che quell'accusa ha avuto origine». E sul giudizio di Ferdinando Adornato riportato da Belardelli secondo cui alla sinistra «manca una cultura che non demonizzi il benessere e anzi lo difenda, conciliandola con la giustizia»? «Giudizio sbagliato», replica Bosetti, «la sinistra italiana ha una tradizione fondamentalmente socialdemocratica. Una cultura che è stata chiamata addirittura "sviluppista", attenta agli indicatori del prodotto interno lordo, con l'obiettivo del Welfare State». E Ferroni, «pizzicato» da Belardelli, reagisce invece così: «Di solito chi formula questo genere di attacchi parte da una concezione istituzionale della politica. Per carità, le istituzioni hanno una loro importanza, ma la politica deve essere qualcosa di più e trovare il modo per evitare che i conflitti all'interno della società non assumano carattere distruttivo. Non è un'idea pedagogica della politica, ma la speranza che la politica assuma su di sé i principi dell'etica della responsabilità». E sull'«antitalianismo» della sinistra? «Non è affatto detto che chi critica i difetti dei propri connazionali debba perciò detestare questi ultimi. Anzi, sovente accade il contrario. E vorrei ricordare che Dante lanciava sì le sue invettive sulla "serva Italia", ma aveva un legame viscerale con questo Paese al punto da inventarne la lingua». Pierluigi Battista La difesa di Ferroni: «Criticare non vuol dire detestare» Bosetti: «La nostra è una cultura "sviluppista"» «Intellettuali incapaci di umiltà, ostili ai consumi, impauriti f^^^^^^/tf' °Ìr,r7occa Francesco De Gregori. In basso, da sinistra, Giulio Ferroni e Giancarlo Bosetti

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