In Israele la tribù dell'anti-Nobel di Fiamma Nirenstein

In Israele la tribù delFanti-Nobel In Israele la tribù delFanti-Nobel Domani la consegna del Premio, rabbia contro Yasser LA PACE ZOPPA AGERUSALEMME LTO, diritto e candido di capelli, lo sguardo azzurro e invitto, l'anti-Premio Nobel si è materializzato in Israele all'antivigilia della consegna del massimo riconoscimento internazionale per la pace a Rabin, Peres, Arafat. Si chiama Kaare Kristiansen, è norvegese, ha 74 anni e un curriculum politico di prima categoria (ministro dell'Energia dall'83 all'86, parlamentare dal 1969, leader del partito cristiano-democratico) ed è membro del comitato che ogni anno laurea con il Premio Nobel i personaggi più significativi. Ecco: Kristiansen non ha potuto sopportare che il Premio Nobel per la pace venisse conferito ad Arafat e poiché nel comitato o stai alla decisione della maggioranza o ti dimetti, se n'è andato. Ora che Israele si prepara a vedere i suoi leader e i leader dell'Olp calcare insieme la scena mondiale nella cerimonia di domani sera, ora che con l'aria di tempesta che tira, i giornali, la tv, l'opinione pubblica fibrillano non di soddisfazione, ma di interrogativi e di disagio, la presenza in Israele di Kristiansen catalizza un polo ànti-Premio Nobel, che è un po' anti processo di pace, o almeno antipalestinese e che è nato con gli ultimi attentati di Hamas e della Jihad. Kristiansen è olimpico nella sua scelta: ha visitato minutamente Israele in quest'ultima settimana incontrando moltissimi leader proprio nei giorni della preparazione della cerimonia del Nobel, e ieri ha incontrato i giornalisti insieme al padre di Nachshon Wachsman, il soldato ucciso or ora da Hamas, e Yona Baumel, il padre dèi soldato disperso di cui Arafat, proprio alla firma dell'accordo di Oslo, ha mostrato la piastrina di riconoscimento promettendo di dare notizie entro due settimane. «Ho fatto questa scelta - dice Kristiansen - solo per mantenere la mia tranquillità d'animo: se avessi accettato il Nobel per Arafat, un terrorista che ha colpito senza risparmio e a tradimento tanta popolazione civile, avrei perso il rispetto per me stesso e per il Premio Nobel. E' una regola del nostro comitato indagare il passato dei candidati. E al momento non ho davvero prove che il passato di Yasser Arafat sia stato veramente cancellato. Spero solo che il Premio Nobel che gli conferiranno domani sera lo induca a una riflessione profonda. Il fatto che abbia rotto la promessa di dare ulteriori informazioni sui soldati dispersi dimostra il suo incerto rapporto con il terrorismo. E poi, come dimenticarsi del suo sostegno a Saddam Hussein e della sua insistente guerra a Gorbaciov e alla perestrqjka? No, per carità, non sono contro il processo di pace, né contro l'accordo di Oslo; né m'importa molto se le forze anti-processo di pace mi vogliono strumentalizzare. Rifiuto ogni contatto con organizzazioni politiche israeliane. Quanto a Peres e Rabin, non intendo biasimarli perché vanno a prendere il premio insieme ad Arafat. Sono personaggi con grandi responsabilità politiche che esprimono la volontà della miriade degli elettori che li ha messi al loro posto. Se la proposta del Nobel avesse riguardato solo loro, avrei certamente accettato. Oggi il Premio è stato minato alle fondamenta. Ma tuttavia non lo definirei in bancarotta». I leader israeliani si preparano al Premio Nobel ostentando una certa foga lavorativa: l'incontro di ieri fra Peres e Arafat, e le ennesime dichiarazioni di buona volontà. Ma i commenti sui giornali e alla televisione sono tutti appuntati sull'odierno senso di incertezza e su un certo scontento popolare. La rabbia pubblica investe, un po' sorprendentemente, i 60 ospiti israeliani che, 30 a 30, accompagnano sull'aereo il primo ministro e il ministro degli Esteri. Chi paga i loro biglietti? A chi importa che la cantante pop Ophra Hasa e il cantante folk Yoram Gaon, svariati scrittori, un circolo di intellettuali, di militari, di vip, di amici di famiglia e famigliari accompagnino i vincitori del Premio?, scrivono i giornali. Chi non si ricorda che Begin, quando gli fu conferito il Nobel insieme ad Anwar Sadat, si portò dietro solo quattro collaboratori di ufficio, oltre alla moglie, a uno solo dei suoi figli, e che la sorella si pagò il biglietto da sola? Lo scrittore Sami Michael, che è stato invitato, dice: «A Israele costa molto più di tutto questo viaggio un solo raid sul Libano». Ma sono parole al vento. Israele è stanca di cerimonie ornate, invece che di festoni di fiori, di strisce di sangue. L'anchorman Dan Margaht parla di un «Oslo tour» che serve solo a sottolineare il gap fra il sentimento della gente e quello della leadership. E Dan Rosemblum, il miglior commentatore del quotidiano «Haaretz», ironizza: «Un tempo per curare la paura del terrorismo si usava la medicina: "Bombardare il Libano". Ora la medicina è diventata: "Cerimonie, cocktail, sorrisi, orchestre". La cerimonia copre l'urlo dei feriti e di chi cerca i morti fra i rottami. Mentre i patrizi sulla Volvo vanno all'appuntamento mondano, noi plebei montiamo sull'autobus di un incerto destino». Fiamma Nirenstein Kristiansen, membro dimissionario della giurìa «E' un terrorista» Rabbi Weiss a New York protesta contro il Nobel ad Arafat