«Il vero colpevole? Borrelli»

«Il vero colpevole? Borrelli» «Il vero colpevole? Borrelli» La vedova Cagliari: ha usato lui il pm ILJ'ACCUSE DI UNA DONNA ,^,s.,.,..,.,,^I.,^ILANO [Ani pulite" senza Di Pietro non sarà più come prima. Anzi potrebbe diventare peggio,, anche molto peggio di prima. No, io contro Di Pietro non ho nulla: in fondo mi dispiace che se ne sia andato via. Era il più serio, il più sincero di quel gruppo». Bruna Cagliari, vedova dell'ex presidente dell'Eni Gabriele morto suicida a San Vittore dov'era rinchiuso da quattro mesi per ordine della procura di Milano, riesce a parlare con lucidità e senza odio di un gruppo di uomini e di un fenomeno che comunque hanno sconvolto la sua vita. Non cerca i riflettori, si è chiusa nel riserbo, ma oggi che le dimissioni del pm più famoso d'Italia hanno sconvolto il quadro di Mani pulite minacciando di porre sostanzialmente fine alle inchieste, rompe il suo silenzio. E dalla casa milanese di via Senato, la stessa dove Bruna Cagliari apprese della fine di suo marito, non partono soltanto attacchi verso corso di Porta Vittoria. «Mi auguro che il pool continui a lavorare - dice - ci voleva e ancora ci vuole un'operazione di pulizia in questo Paese. Ma non voglio più vedere le storture e le barbarie che hanno condotto un uomo come Gabriele a togliersi la vita». Signora Cagliari, suo marito aveva conosciuto Di Pietro perché il giudice lo aveva indagato per Enimont. Le aveva mai scritto o parlato del magistrato già allora protagonista di tutte le indagini? «No, non me ne aveva mai parlato. Ma parlano i fatti. Per Di Pietro, Gabriele avrebbe potuto andarsene via da San Vittore molto tempo prima di essere indotto ad uccidersi. Fu l'altro pm, De Pasquale, a sconvolgerlo. L'ho detto, lo ripeto, lui sa che io lo penso: è De Pasquale il responsabile morale della morte di mio marito. Per due volte, capisce, gli aveva promesso di rimandarlo a casa e poi lo aveva tradito. Guardi, non lo considero neanche un magistrato uno così...». Scusi ma, indipendentemente dalla condotta di questo o quel pm, suo marito nelle lettere che le lasciò puntò l'indice contro il metodo della carcerazione cautelare usata come forma di tortura. Un metodo ampiamente usato da tutti, compreso Di Pietro... «Sì, è vero: un metodo ignobile, indegno di un Paese civile. Un metodo che dev'essere abbandonato. Ecco, mi auguro che Mani pulite vada avanti, ma senza farci più vedere quegli orrori». D'accordo, ma io le chiedo cosa pensa oggi lei di Di Pietro e della sua condotta: tenendo presente che anche Di Pietro "aveva tenuto molto a lungo in carcere alcuni dei suoi indagati. «Era il magistrato più in buonafede tra quelli che lavoravano lì. Perciò è stato quello più usato di tutti, e da più parti. Ma il personaggio Di Pietro rimane comunque il migliore». Ma chi è che usava Di Pietro, secondo lei? «Per esempio Borrelli. Se devo criticare qualcuno, critico Borrelli, più che Di Pietro. E' stato il procuratore capo a mettere il pm sulle bandiere, a mandarlo sempre sulle barricate, a trasformarlo in un portabandiera. Aveva capito che ora il personaggio più adatto a giocare questo ruolo, e l'ha usato senza scrupoli come simbolo. Ripeto, non ho critiche particolari da muovere a Di Pietro, la responsabilità delle storture, passava sopra di lui. Lui credeva in quel che faceva». Cosa direbbe suo marito, se fosse vivo, di Antonio Di Pietro? «Non lo so proprio. So cos'ha detto sul fenomeno complessivo di Mani pulite. Come tutte le persone sostanzialmente oneste, Gabriele aveva patito moltissimo il carcere. Del resto tenere quattro mesi in cella un innocente è come privarlo, nei fatti, del diritto alla difesa: alla fino il detenuto non riesce più neanche a ragionare. Le ripeto, le inchieste devono continuare ma senza più calpestare i diritti degli individui». Lei non sostiene la linea della soluzione politica, quindi: afferma che Mani pulite deve andare avanti. «Guardi, vedo attorno a me forcaioli e ipergarantisti, due fazioni contrapposte. Chi vuol vedere tutti dentro, chi tutti fuori. La verità sta nel mezzo: le inchieste devono continuare, ma senza tortura». Ma Di Pietro non ha fatto anche lui degli errori gravi personali, che non rientrino in quelle che lei chiama le "storture" di Mani pulite? «L'errore di Di Pietro? Sì, uno ce n'è, e grave: Di Pietro non ha capito che è stata la classe politica e non quella imprenditoriale o manageriale a macchiarsi per prima e più gravemente della colpa di corruzione. E perciò anziché cominciare e continuare con gli inquisiti politici Di Pietro e gli altri sono partiti a tappeto contro il mondo dell'economia. Questo è stato il vero errore. Ma per quanto riguarda Di Pietro, sono convinto che l'abbia commesso in piena buonafede». Sergio Luciano

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