Mani pulite all'americana Un intero Paese con la toga

Mani pulite all'i Un intero Paese con la toga Mani pulite all'i Un intero Paese con la toga DELL'ARKANSAS Li E Mani Pulite Made in Usa si stanno stringendo attorno al collo del Presidente americano. «Clinton è morto, ma ancora non lo sa», commenta la National Public Radio, che è pubblica davvero, in America, e non di Stato. «E' uno zombie, un morto che cammina», si mormora a Washington, ormai con il tono di chi vede addensarsi nel cielo non più le nubi di un temporale politico, ma i lampi di un uragano istituzionale. Dopo un anno e mezzo di inchieste, di indagini, di rivelazioni e di scandali, Mani Pulite all'americana, il «Caso Whitewater» sta diventando ora dopo ora, rivelazione dopo rivelazione, una Watergate clintoniana. Webster Hubbel, sottosegretario alla Giustizia, amico intimo dei Clinton, collega di Hillary in uno studio legale nell'Arkansas, è reo confesso e «patteggiato» di truffa: sta parlando e gli inquirenti hanno cominciato a esaminare le fatture e le spese della First Lady quando lavorava accanto a lui come avvocato. «E' una caccia alle streghe organizzata dalle destre» dicono le sinistre, ed è vero. Diciamo subito che è ancora impossibile ricostruire questo Mani Pulite Usa in detlaglio, e dunque arrivare a conclusioni sulla «colpevolezza» o l'«innocenza» dei Clinton, Bill e Hillary. Troppo c'è di oscuro, ancora, troppo sa di politica. Più importante, soprattutto per noi, in queste ore di sconcerto e amarezza nell'opinione pubblica italiana, è vedere come funzionano, come si muovono gli ingranaggi delle inchieste americane sui politici. I fatti cominciano nel 1978, quando i Clinton formano con un banchiere della loro città, a Little Rock, capitale dell'Arkansas, una società immobiliare per costruire un villaggio vacanze sul fiume Whitewater. Non c'è nulla di male, almeno non fino al 1984, quando la banca in società con i Clinton, la Madison Guarantee dell'amico James McDougal, arriva sull'orlo del fallimento. Whitewater è stato un fiasco. Nessuna casa è stata costruita o venduta. I mutui sono in sofferenza. Le autorità bancarie cominciano a indagare e dalle acquo torbide dei libri contabili della «Madison» cominciano ad affiorare scheletri. Gli investigatori scoprono che tra la banca e il governatore è corso un giro di assegni a vuoto, di prestiti non coperti, di debiti usati per ripagare debiti che puzzano lontano un miglio di finanziamenti elettorali illeciti. E, naturalmente, parlano di favori non gratuiti. Clinton, si scoprirà, aveva bloccato d'imperio la procedura di fallimento contro la banca dell'amico. Hillary, allora avvocato di spicco, partner dello Studio Rose di Little Rock, aveva accettato di difendere e rappresentare il banchiere, pur essendo la moglie della massima autorità politica dello Stato, pei una parcella, non astronomica ma neppure simbolica, di 3 milioni al mese. Ma neppure le pressioni del marito e la «consulenza» della signora Hillary possono salvare la Madison. Nel 1989 fallisce, al costo di quasi 100 miliardi di lire per i contribuenti americani che devono, per legge, rifondere, i correntisti assicurati dal governo. La Madison entra nel naufragio nazionale delle Casse di Risparmio e il caso sembra chiuso. Durante la campagna presidenziale del 1992 qualche giornale ricicla la storia, ma i Clinton rispondono alzando le spalle: ma quale scandalo? abbiamo addirittura perso soldi, 90 milioni, in quella disgraziata speculazione. Ma la macchina della giustizia americana, di quella legale e di quella reale, non funziona così. Dove i giudici si fermano, ripartono i giornali, conducendo le loro inchieste indipendenti, senza aspettare veline. Dove i giornali e i magistrati non arrivano, arriva il Parlamento con le sue commissioni d'inchiesta. E dove c'è di mezzo il danaro pubblico, i cani non si quietano finché non hanno afferrato l'osso. E nel marzo del 1992, appena due mesi dopo l'insediamento, il New York Times riesuma inaspettatamente, da «sinistra», il cadavere del Whitewater, rivelando che i Clinton hanno mentito sulla perdita, dunque sulle detrazioni fiscali, e sulla parcella della signora Hillary, che nuzialmente aveva negato di aver preso soldi dal bancarottiere. Poca cosa, diremmo noi italiani rotti a ben altro marciume, ma questa e l'America, ricordate? L'articolo del New York Times ha rivelato che i Clinton, riformatori, moralisti, liberal, avevano mentito per nascondere una storia di soldi e di finanziamenti elettorali. Il cane alza la testa. Un inquisitore indipelidente dalla magistratura e dal ministero viene subito nominato, nonostante le manovre della Casa Bianca e della signora Hillary. I giornali vanno a sfogliare bilanci e dichiarazioni delle tasse, e una rete di finanziamenti occulti, di «tu gratta la mia schiena che io gratto la tua» comincia a emergere nell'Arkansas di Clinton. . Ci scappa il morto: il 20 luglio del 1992, l'avvocato personale dei Clinton alla Casa Bianca, l'uomo che aveva in custodia il dossier Whitewater, si uccide in maniera bizzarra. Si spara alla testa in un parco della periferia di Washington, in auto. Ma il proiettile non verrà mai trovato. E, a cadavere ancor caldo, nel suo ufficio alla Casa Bianca si precipitano il legale capo della Presidenza Nussbaum, altro amico dei Clinton, accompagnato dalla segretaria della First Lady per portare via documenti prima che arrivi la polizia. Ci siamo rimasti 10 minuti, dirà l'avvocato. Ci sono rimasti due ore, stabilirà l'inchiesta. Tombola. Da qui, da questo episodio, scatta il secondo stadio di Mani Pulite. Da quel momento in poi non è più soltanto questione di bustarelle e finanziamenti. Diviene, come già fu il Watergate, una vicenda infinitamente più grave, un dramma costituzionale tessuto di possibili abusi di potere per bloccare un'indagine fastidiosa. Emergono episodi di contatti segreti e illegali fra la Presidenza, il ministero della Giustizia e il ministero del Tesoro. Si viene a sapere di tre ispettori ministeriali licenziati quando avevano cominciato aficcanasarè'nei libri della Madison Guaranty. Piovono le dimissioni, date un secondo prima che arrivino gli inquirenti. Qualcuno, carogna, fa i conti: c'erano 4 partner, nello studio Rose di Little Rock durante gli Anni 80, quattro moschettieri, come li avevano battezzati, calati su Washington nel 1992 al seguito di Bill Clinton: il primo, Foster, è morto suicida. Il secondo, Hubbel, è reo confesso di truffa. Il terzo, Kennedy (nessuna parentela), si è ritirato a vita privata, in disgrazia. E il quarto? Il quarto è Hillary Clinton. Nessuno può più richiamare i cani da guerra. ■ Il controllo del Parlamento è in mano ai Repubblicani che apriranno, dopo l'insediamento il 4 gennaio, inchieste a tappeto. E nei corridoi di Washington torna a circolare la parola che uccise Nixon: complotto per bloccare il corso della giustizia e possibile «impeachment», la messa in stato d'accusa davanti alle Camere riunite. Che cosa sapevano i Clinton? Quando lo seppero? E che cosa fecero per influenzare o bloccare le indagini? Nulla, rispondono loro. Vedremo, rispondono gli altri. I cani hanno sentito l'odore del sangue, ormai. Vittorio Zucconi Qui dove i giudici si fermano partono i giornali E dove non arrivano i giornali, arriva il Parlamento con le sue commissioni d'inchiesta Foster, l'avvocato dei Clinton morto suicida ma in circostanze sospette Era uno dei «quattro moschettieri» di Little Rock calati a Washington