L'antifascismo non sta soltanto a sinistra di Gian Enrico Rusconi
1 ANALISI L'antifascismo non sta soltanto a sinistra SE è giusto chiedere alla Destra italiana di affermare senza reticenza che l'antifascismo fu il momento storicamente essenziale per il ritorno dei valori democratici che il fascismo aveva conculcato, altrettanto giusto e speculare è il chiedere a tutti di riconoscere che l'antifascismo non è un valore a sé stante e fondante e che la promozione dell'antifascismo da momento storico contingente a ideologia fu operata dai Paesi comunisti e dal pei per legittimarsi durante tutto il dopoguerra». Questo è uno dei passaggi più rilevanti delle tesi pubblicate in vista del congresso che scioglierà l'msi e darà corpo definitivo ad Alleanza nazionale. E' un passaggio importante non solo per la sua carica polemica, ma perché soltanto con il superamento della coppia fascismoantifascismo An presume di guadagnare una identità culturale autonoma. Tutte le tesi sono percorso dall'ansia di uscire da una situazione di precarietà e contingenza, per radicarsi in una grande tradizione della destra - coerente o raffazzonata che sia. E' paradossale che la stessa novità (relativa) della presa di distanza dal fascismo sia sotto il segno del ricupero della continuità: «La destra politica non è figlia del fascismo. I valori della dèstra pre-esistono al fascismo, lo hanno attraversato e adesso sono sopravvissuti». E i valori della destra sono libertà e autorità, la cui coniugazione è la grande preoccupazione di An. Ma vediamo la plausibilità dell'invito dei «post-fascisti» ad abbandonare l'antifascismo come valore in sé. Quest'invito è basato su un equivoco: su una impercettibile sovrapposizione di antifascismo e comunismo. Come se l'antifascismo politicamente rilevante fosse stato e sia esclusivamente quello comunista, e quindi le vicende del movimento comunista debbono automaticamente incidere sull'antifascismo come tale. Questo approccio cancella non solo l'esistenza dell'antifascismo non comunista, ma soprattutto dimentica che l'antifascismo - in quanto lotta per la libertà - è innanzitutto un liberalismo militante. Per un movimento come An, che dichiara di mettere al primo posto «la tutela e la pratiI ca della libertà come valore e I bene prezioso e irrinunciabi¬ le», questo dovrebbe essere sufficiente per fare dell'antifascismo un valore in sé, anche dopo la riconquista delle libertà. Invece proprio gli estensori delle tesi, tanto sensibili alla continuità della memoria storica, sono preoccupati di estinguere la rilevanza d'attualità di questo evento. Non si tratta di negare l'uso legittimatorio che il pei ha fatto dell'antifascismo per farsi accettare nel sistema democratico: ma è un problema che riguarda l'evoluzione del pei. Non c'è nessun dubbio che la questione comunista abbia condizionato l'antifascismo nel suo insieme e abbia pregiudicato molto sue manifestazioni. Ma proprio per questo oggi la situazione si presenta in termini antitetici a quelli esposti da An: «Con la fine del socialismo reale - dice - si impone la definitiva storicizzazione anche dell'antifascismo». Io direi all'opposto: con la fine del comunismo l'antifascismo come referente ideale si emancipa definitivamente dalla ipoteca comunista, che lo ha condizionato oltre misura. Con tutte le rivisitazioni, le revisioni e le storicizzazioni che si vuole, purché gli si riconosca il carattere non contingente ma fondante della democrazia. Una democrazia carica di difetti, anche della partitocrazia, ma una democrazia che ha consentito ad An, con le sue idee, di diventare una componente del governo. Che senso ha negare «il valore in sé» all'evento storico che sta all'origine di questa democrazia? In realtà viene il dubbio che dietro la richiesta di chiudere con l'antifascismo sia in gioco qualcosa di più sostanziale. Non a caso nella grande tradizione cui An si rifa, che elenca i nomi più disparati da Michels a Sturzo, da Schmitt a Papini, Mosca, Spirito, Evola, senza dimenticare il «grande giurista Alfredo Rocco» - in questo elenco manca la schietta destra liberale. In compenso come modello di un grande progetto pacifico e libertario viene evocata la «rivoluzione conservatrice». Non so se questa espressione è una mera esercitazione verbale. Ma se gli autori delle tesi pensano al modello nazionalconservatore degli Anni 20, allora ci stanno prendendo in giro. Gian Enrico Rusconi on^J
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