«Troppe tre Tv per Berlusconi» di Raffaello Masci

«Troppe tre Tv per Berlusconi» La Corte Costituzionale boccia l'art. 15 della legge Mammì. E incombono i referendum - «Troppe tre Tv per Berlusconi» MaFininvest non cambia fino all'agosto del'96 LA SENTENZA ANNUNCIATA ROMA. Fine annunciata degli imperi dell'etere. Berlusconi perderà due delle sue tre reti televisive nazionali. La Corte Costituzionale, con una sentenza pubblicata ieri mattina, lo ha detto chiaramente bocciando l'articolo 15 della legge Mammì, del 1990. Gli effetti di questa decisione potrebbero però scattare solo dall'agosto '96. La Consulta contesta il fatto che una ripartizione dell'etere come quella stabilita dall'allora ministro Oscar Mammì non assicura il pluralismo dell'informazione, e anzi sancisce di fatto un regime di oligopolio. Per contro stabilisce, a pagina 55 della sentenza, che la distribuzione delle reti avvenga garantendo «il massimo numero possibile di voci diverse»: dunque una rete ad ogni soggetto, almeno fin tanto che le concessioni resteranno 8 per il settore privato. Se poi questo numero dovesse aumentare, allora, forse, uno stesso soggetto potrebbe accedere anche ad una seconda rete. Per il momento comunque, per problemi tecnici, questo allargamento delle frequenze non sembra possibile. L'articolo 15 della Mammì non parla invece della Rai che, pertanto, non è interessata dalla decisione della Corte e può, per ora, mantenere le sue tre reti. La sentenza emessa ieri non crea però un vuoto legislativo, perché resta in vigore il decreto 323 dell'agosto 1993 (poi legge 422) secondo il quale, in mancanza di nuove regole, le concessioni ormai affidate valgono fino all'agosto del '96. Dunque ci sarebbe ancora un anno e mezzo di tempo per varare una riforma dell'emittenza televisiva nazionale, e Rai e Fininvest potrebbero conservare per intanto quanto hanno. In questo contesto però intervengono i referendum, ben 16 quelli approvati dalla Cassazione nei giorni scorsi, e tre di questi riguardano proprio il merito della legge Mammì. Se la situazione non cambia (in pratica se non cambia la legge medesima), si dovrebbe andare alle urne tra il 15 aprile e il 15 giugno prossimi. Ma c'è un intoppo. Tre giudici costituzionali - Casavola, che è il presidente. Spagnoli e Pescatore - cessano nel loro mandato tra Natale e la metà del mese prossimo. La Consulta deve dare il suo definitivo placet alla consultazione referendaria tra il 20 gennaio e il 7 febbraio. La sentenza potrebbe essere emessa alla presenza di tre giudici «nuovi», due dei quali eletti dal Parlamento in seduta comune, cioè in una sede in cui la maggioranza ha effettivamente una superiorità numerica sull'opposizione. E' possibile (ma non è detto che accada, sia ben chiaro) che possano essere eletti giudici favorevoli alla tesi Fininvest, e allora certi referendum potrebbero anche non passare. Oppure, è un altro scenario, il Parlamento si rimbocca le maniche subito e mette ordine nell'emittenza tv, recependo le indicazioni della Consulta e i quesiti referendari. In pratica sancendo la fine del regno di Sua Emittenza. Tra Natale e Pasqua. Fedele Confalonieri Sotto, Casavola Raffaello Masci Fedele Confalonieri Sotto, Casavola

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