Come piange il coccodrillo di Lietta Tornabuoni

Come piange il coccodrillo PERSONE Come piange il coccodrillo DESSO che Di ►Pietro non c'è più il presidente del Consiglio si presenterà finalmente ai giudici di Milano, dopo tante promesse («più che' disposto, ben volentieri, che ci metto, salto sul mio elicottero o sulla mia blindata e in dieci minuti sono lì»), tanti inconvenienti («io son disponibilissimo ma il mio avvocato no, purtroppo ha da fare»), tanti rinvìi («oggi no e domani nemmeno, forse la prossima settimana, appena sarò libero da impegni ufficiali, diciamo il tredici, il quattordici, anche il diciannove»)? Manco si trattase d'un appuntamento col sarto o d'una cena tra amici. Nel frattempo, pure lui non s'è astenuto dalle lacrime di coccodrillo che, magari per formalismo o per cercar di evitare l'impopolarità, hanno accompagnato le dimissioni di Di Pietro: un coro di lodi, rimpianti, onore delle armi, riconoscimenti di merito, testimonianze d'ammirazione e ostentazioni di comprensione di una ipocrisia piuttosto impressionante, e così frettolosamente argomentata da strappare alcuni interrogativi. Lui, ricorda il presidente del Consiglio, Di Pietro addirittura lo voleva nel suo governo, come ministro della Giustizia: in omaggio alla bravura, oppure per toglierlo da Milano e dalle indagini, per acquisirlo? Parla del Paese portator«nel còrs'o degli» Ultimi due anni a dividersi talvolta con un inaccettabile grado di fanatismo intorno a figure pubbliche di amministratori della giustizia condannati a diventare bandiere o simboli»: ma quale divisione, quale fanatismo, quale condanna? Insieme con i loro avvocati, amici, parenti e devoti, le persone coinvolte nell'indagine oppure timorose di venirvi coinvolte e d'andarci di mezzo certo pensavano il peggio del pool di Milano e di Di Pietro: il Paese, no. Il Paese non era affatto diviso. Apprezzava il lavoro dei magistrati, se ne sentiva liberato e rassicurato, vi riponeva le speranze d'un cambiamento in meglio o almeno d'una limitazione della corruzione dilagata, se ne entusiasmava, provava gratitudine: è fanatismo, questo? Se lo è, non vi sarebbero stati fanatici né ^aret simboli se non ci fossero stati gran porcherie prima, e tentativi d'ostacolare le inchieste poi. Il ministro della Giustizia dice d'avere espresso a Di Pietro «sentimenti di stima e un invito caldissimo a recedere», d'essere «molto rammaricato» per le dimissioni del magistrato: non poteva eventualmente fare a meno di contribuire coi suoi' decreti e le sue ispezioni a provocarle, quelle dimissioni? Il ministro delegato ai rapporti con il Parlamento loda «il bel gesto che dev'essere rispettato», rimpiange sveltamente «la scomparsa dalla scena giudiziaria d'un grande procuratore della Repubblica, grande accusatore, grande investigatore», compiange un Di Pietro smarrito e avvilito dalla giustizia penale divenuta «un'arma impropria di lotta politica», si prepara a proporre il divieto di manifestare davanti ai Palazzi di Giustizia: ma uno striscione di consenso, un corteo di sostegno, una raccolta di cinquemilà'firme sjdlidali o anche il vecchio slogan scemo «Di Pietro facci, sognare» non saranno sempre meno avvilenti delle dichiarazioni di sfiducia, delegittimazioni, pressioni, insolenze, aggressioni verbali e polemiche provenienti dal governo, della sottrazione di procèsso proveniente da altre istanze della magistratura? Meglio l'inimicizia coerente di alcuni esponenti della maggioranza (bene, che sollievo, quante storie) piuttosto che simili esaltazioni non soltanto stonate ma anche incaute: e se, convinto da attestazioni di stima tanto calde e a tale livello, Di Pietro ci ripensasse e riprendesse a lavorare, rafforzato da un consenso anche governativo così appassionato? Lietta Tornabuoni on^j

Persone citate: Di ?pietro, Di Pietro, Manco

Luoghi citati: Milano