SKÀRMETA, UN SET CON LA NINFETTA

SKÀRMETA, UN SET CON LA NINFETTA SKÀRMETA, UN SET CON LA NINFETTA Match Ball è fatto invece di letteratura, cinema e soap operas. E' un romanzo-gioco postmoderno e citazionista. Con Match Ball ho cercato di esplorare un modo di vivere inautentico: lo sforzo di adeguare la propria esistenza a immagini patinate e miti di carta». Perché il tennis? Perché Skàrmeta da giovane lo ha giocato con entusiasmo («Adesso posso prendere in mano la racchetta per non più di venti minuti sennò mi viene male al gomito») ma anche perché «il tennis è individuale e competitivo, come l'amore e l'erotismo. E' uno sport molto battagliero che riflette la nostra esistenza odierna: la nostra identità si stabilisce in base al modo in cui combattiamo nella vita». Match Ball è un esercizio di ironia (Skàrmeta ci mette in guardia subito, autocitando II postino di Neruda); gronda cinema americano e letteratura da Milosz a Catullo; sfioretta con Lolita. «Nutro enorme rispetto per Nabokov, l'avevo sempre in mente mentre scrivevo. Solo che Humbert Humbert è un eroe tragico, mentre Pabst è una parodia del vivere postmoderno». Match Ball è ambientato a Berlino, dove Skàrmeta ha vissuto, è stato pubblicato nell'89 quando Skàrmeta aveva quasi la stessa età del protagonista: possiamo sospettare qualche scheggia d'autobiografismo? «No, no - sorride lo scrittore cileno -. Mi sono semplicemente guardato intorno e ho visto tante vite vissute senza intensità. La gente fa carriera, soldi, accudisce amori mediocri, pensa ardentemente a qualcos'altro, ma non ha mai coraggio di prendere sul serio i propri sogni. L'amore e la letteratura sono una chiave importante per accedere a livelli più autentici, ma se te ne accorgi troppo tardi il ridicolo è in agguato. Ecco cosa penso del mio caro amico dottor Pabst». Skàrmeta è ora a Saint Louis a fare il visiting professor in un'università ricca di scienziati premi Nobel. Fra qualche settimana tornerà in Cile, a Santiago. Spesso nella sua vita ha affidato sogni letterari di libertà al viaggio. Da giovane ha studiato lettere e filosofia alla Columbia University di New York. Quando Pinochet prese il potere, dopo aver rovesciato il governo di Allende, «il primo marxista eletto democraticamente», si trasferì «volontariamente» in Argentina. «Appena messo piede lì mi trovai di fronte a un golpe e a una dittatura altrettanto violenti quanto quelli che avevo fuggito. Accettai così l'invito di un amico cineasta a Berlino Ovest e lavorai molto sul cinema». Dieci tra romanzi e racconti di Skàrmeta sono finiti in celluloide, quattro dei quali con la regia di Peter Lilienthal. Si sentiva esule Skàrmeta, in quella scatola metropolitana che era la Berlino del Muro? «All'inizio naturalmente sì, ma quando si è in esilio succede una cosa strana. Sei in un Paese estero, ma è come se non lo fossi. Cerchi inconsciamente un gruppo di persone per crearti un mondo a parte. Per alcuni anni non ho vissuto in Germania, ma in quel determinato quartiere di Berlino chiamato Charlottenburg. Ho cominciato a studiare il tedesco solo dopo tre anni, quando mi resi conto che abitavo davvero lontano dal Cile. Solo dopo aver cominciato a declinare gli articoli in tedesco ho realizzato di essere in Germania, ho fatto amicizia con i tedeschi e la loro letteratura». In Cile, Skàrmeta ha deciso di tornare immediatamente dopo il referendum dell'88, quando il generale Pinochet affidò alle urne il futuro del proprio mandato presidenziale, «appena il generale decise di aprire uno spiraglio alla demo- Dopo ii de «Il SA esce, da un altri

Persone citate: Allende, Humbert Humbert, Milosz, Nabokov, Neruda, Pabst, Peter Lilienthal, Pinochet