FORTINI di Ferdinando Camon

FORTINI FORTINI I nostri debiti con un maestro E. arrivata con diV screzione, la noti✓ zia che Franco Fortini non c'era più. Sono sceso nello studio, ho guardato la fila dei cassetti sotto la libreria, ho aperto il cassetto L, lettere. Prendere una lettera di Fortini e rileggerla è come tornare a un colloquio interrotto, e concluderlo dopo la morte: «Tu dicevi questo, adesso ti rispondo». Mi fermo sulla lettera più lunga, prima ancora di rileggerla me la ricordo. Fortini scriveva su metà del foglio, la metà di destra, con grafia minuta, e in fianco, a sinistra, come in una sceneggiatura, scriveva le postille a se stesso. Sicché le lettere di Fortini, così come ci arrivavano, erano già allora come saranno domani, nelle antologie: annotate e interpretate. Per i posteri. Chi non ha ricevuto lettere da Fortini, non può capire cos'era Fortini: le lettere erano lo strumento per un contatto corpo a corpo, anima ad anima. L'unico rapporto che lui cercava. Lo cercava con i politici del Pei, con i critici marxisti, con gli scrittori suoi coetanei, con gli ex-colleghi direttori di riviste, e con gli scrittori che cominciavano a pubblicare. Questi emergevano dal nulla, si affacciavano sul mondo letterario-editoriale-giornalistico, si guardavano intorno, e la prima cosa che vedevano era la mano di Fortini, che li chiamava. Andavano e lui faceva a tutti lo stesso discorso, che era elogio e rimprovero, complimento e ammonimento. Il discorso che nella lettera che ho qui davanti faceva a me, in occasione di un libro allora appena uscito, «La vita eterna», il mio secondo romanzo. Anzitutto, lui non scriveva a lettura ultimata, ma a metà lettura: aveva fatto così col primo libro, fece così anche dopo, finché il colloquio fu possibile. Scrivendoti a metà lettura, ti portava nella sua lettura in fieri, tu seguivi non il suo giudizio formato, ma la nascita del suo giudizio. E nello stesso tempo riportava te a quando il libro non l'avevi finito, quindi innestava la sua lettura infierì sulla tua scrittura in fieri. Come dire: leggeva mentre scrivevi, e scrivevi mentre lui parlava. Diventavi una nave, risucchiata dove il faro la chiama. Quel faro avvertiva: «Nel mare dove navighi ci sono scogli pericolosi, sono lo scoglio Pasolini, lo scoglio Moravia, lo scoglio Bassani, lo scoglio Pei, per non parlare dello scoglio Calvino. Vieni verso di me. Passando vedrai lo scoglio Pampaloni: se lo tocchi muori». Gli scogli da evitare erano quelli del successo, dei premi, della buona stampa (compresa la stampa del Pei, la più buona di tutte), delle traduzioni (comprese le traduzioni in Urss, le più ingannevoli di tutte), e la critica «del gusto». Tu dovevi tener d'occhio quel faro, e andare senza piegamenti verso quella fonte di luce. Nella lettera di Fortini che ho in mano questa destinazione ha un nome che fa tremare: si chiama «la verità». Gli scrittori che esordivano come me, e che han ricevuto lettere da Fortini, possono tirarle fuori quel che io leggo nella mia, troveranno nelle loro. «Continuavo a leg gere consensi autorevoli, lo sapevo, più o meno, un gran successo di critica [in nota: "E, probabilmente, di pubblico"], cominciato a leggerlo mi son reso subito conto della necessità di un discorso complesso». «Complesso» vuol dire delicato, e a questo punto Fortini esaminava le colpe della tua opera e della tua vita. In quel periodo (la «Vita eterna» è del '72) mi domandavo se era o non era il caso di scrivere per l'«Unità». «Lei mi pone un caso di coscienza. Ma che dirle? Penso che lo abbia risolto scrivendo quel pezzo per il "Corriere". Nessuna ironia». Più tardi, in tempi in cui la posta in gioco era tremendamente più chiara (si chiudeva la guerra del Vietnam), Fortini scriverà con puntualità per il «Corriere». A mio parere, fece benissimo. Dal suo punto di vista, era una contraddizione. Si purificava di questa contraddizione cercando nemici, colpevoli di impurità ideologica, e punendoli pubblicamente. Il più vicino, il più vulnerabile, era Pasolini. Il più grosso era Moravia, ma Moravia era per le critiche di Fortini come un elefante per le frecce: protetto da una tal corazza, che le frecce cadevano a terra, senza incidere neanche un graffio. Per Pasolini la borghesia non aveva più niente da dire; per Moravia la borghesia era tutto, non c'era che la borghesia. Pasolini piangeva, letteralmente, se lo si accusava di esser diventato borghese. «Se devo esser sincero fino in fondo le dirò che non ho creduto e non credo ad una sua vocazione politico-ideologica»: non mi ero mai posto un tal problema, ma se lo era posto lui. Se lo poneva per tutti coloro che esordivano. Esaminava l'opera, e la giudicava non in base a quel che era, ma a dove portava. Più tardi, inventerà la formula di Nietzsche che sta a destra ma porta a sinistra. Esaminando la tua a o o. DURANTE l'estate del 1994 Star TrekMemories di William Shatner, edito dalla Harper Collins, è rimasto a lungo nelle zone alte della classifica dei best-sellers di Stati Uniti e Canada. Shatner, coautore del libro assieme a Chris Kreski, è l'immortale James T. Kirk, il capitano dell'astronave Enterprise diretto nella sua missione galattica «dove nessun uomo è andato prima» per tutta la serie originaria di Star Trek, trasmessa alla televisione americana dalla Nbc tra il 1966 e il 1969. Ancora durante l'estate scorsa sugli scaffali dedicati alla fantascienza delle maggiori librerie d'oltre Atlantico campeggiava la Star Trek Encyclopedia. A Reference Guide to the Future (Pocket Books della Simon & Schuster), una vera e propria biblioteca di informazioni dettagliatissime riguardanti le tre serie televisive di Star Trek. A decretare il successo viene ora anche la copertina di «Time». Dopo il ciclo «storico», infatti, sono passati sul piccolo schermo Star Trek: The Next Generation e, più recentemente, Star Trek: Deep Space Nine, in cui altri attori e altri personaggi si succedono nel ventre della Enterprise a spasso tra le galassie. Nel frattempo, a partire dal 1979, il capitano Kirk e il suo equipaggio venivano resuscitati in una sequenza di sei film concepiti per il grande schermo, il cui motivo principale, sulla stregua di Vent'anni dopo e del Visconte di Bragelonne di Alexandre Dumas, è l'invecchiamento degli eroi d'una volta - interpretati dagli stessi attori, tra cui un William Shatner sempre più grassottelle e altri colleghi sempre più rugosi e decrepiti. Il riferimento a Dumas non è casuale, perché ai tre o quattro moschettieri dello scrittore francese si sostituisce in Sfar Trek una straordinaria trinità maschile, formata dall'ardimentoso e un po' donnaiolo capitano Kirk, dall'impulsivo e un po' nevrotico dottor «Bones» (Ossa) McCoy e dal razionale e ironico Mr Spock, generato da madre terrestre e da padre nativo del pianeta Vulcano, dove le leggi della logica e del bene collettivo prevalgono da secoli sull'avidità e sull'egoismo dei singoli. Ancora oggi, sulla soglia del terzo millennio, la favola futuristica di Star Trek continua a vivere: già si annuncia un nuovo film della Paramount, in cui dovrebbero apparire assieme i personaggi e gli attori della prima serie e quelli che li hanno sostituiti in Star Trek: The Next Generation, tra cui il pelatissimo capitano Jean-Luc Picard, interpretato da Patrick Stewart. E la televisione americana è pronta a partire col quarto ciclo, in cui - in onore del femminismo vittorioso - il ruolo di capitano spaziale viene affidato a una donna, quella Geneviève Bujold, anch'essa, come Shatner, proveniente da Mon- opera, ti diceva, per esempio: «Di questa materia, letteratura non può farsi che così, d'accordo. Ma il prezzo è abbastanza grave». Ti avvertiva che per quella strada «si può arrivare a...», e nominava qualche grande contemporaneo, aggiungendo: «Non oltre». In queir «oltre» stava lui, punto di partenza dell'amore per tutti e punto di arrivo dell'odio di tutti: «Il mio compito, oggi, è di sparire. Con decenza, nella speranza che qualcuno provveda, il coraggioso, a buttar giù i luoghi comuni sul mio conto. Nella speranza? Non scherziamo. Ho delle speranze più grandi e non riguardano me. Con me, i conti sono fatti. Non senza amarezza, ne convengo. Lei invece, caro..., deve solo badare a non fare passi falsi; non dico nell'ordine del successo ma in quello della verità. Avanti, dunque». Firmava. Roberto Pioversi, che riceveva lettere anche più dure (e con durezza, per la verità, rispondeva: cito a memoria: «Lascia stare la gloria di Pasolini. Che è sua, non tua, non nostra. Cerca la tua; che sarà tua, non sua, non nostra»), mi telefonava ogni tanto: «Prendiamo l'auto e andiamo a trovarlo». Giancarlo Ferretti assicurava che era possibile, si poteva combinare. Rispondevo che Fortini non voleva la «convivenza» con coloro con cui non andava d'accordo, ma la loro scomparsa. Quell'incontro «pacificatore» non è mai avvenuto, con nessuno. Fortini lascia in molti il senso di una verifica inattuata, di un chiarimento ancora da raggiungere. Per questo scriveva lettere «a futura memoria»: perché coloro con cui aveva vissuto non dimenticassero mai che quella verifica è una questione aperta, e che ogni tanto, dopo la sua morte, bisognerà dargli una risposta. Questa è soltanto la prima. Ferdinando Camon Franco Fortini

Luoghi citati: Canada, Reference, Stati Uniti, Urss, Vietnam