Pittore e burlone tra santi e Madonne di Marco Vallora

Pietro de Marascalchi e il '500 veneto Pietro de Marascalchi e il '500 veneto Pittore e burlone tra santi e Madonne EFELTRE ENCHE' l'autunnale declinare di pastello delle colline bellunesi, care a Buzzati, ti prepari ad una conciliante distensione benevola, perché non ammetterlo? Il primo impatto con la pittura di Pietro de Marascalchi considerato così promettente allo studio del catalogo - risulta ad uno sguardo superficiale, sinceramente, uno choc: tanti chilometri per incontrare queste macilente figure d'intisichita ed impacciata pittura. Ma è un giudizio precipite e sommario: certo, questo curioso pittore cinquecentesco cui Feltre dedica una doverosa rassegna (nella bellissima sede affrescata del museo cittadino, di questo splendido borgo ricostruito secondo i principi di «città modello» dopo la distruzione nel 1501 di Massimiliano d'Asburgo) non è pittore di risultati soddisfacenti e placati: eppure è così ricco di intelligenza segreta e quasi demonica del colore, così turbato da scosse di vitalità d'influssi non risolti, che ad un secondo sguardo risulta pieno di charme. Insomma: si può esser pittori intriganti, anche senza esser scolasticamente assolti. La discontinuità del talento non cancella l'occulta qualità interiore e soprattutto l'attrattiva storica di un simile nodo culturale. Va pur detto che alcuni tra i suoi quadri più importanti, il Banchetto di Erode di Dresda, un Ritratto d'anziana oggi disperso e quello virile, a Chicago ricondotto al suo catalogo da Zeri, non sono in mostra e dunque la sua autorità ne è come diminuita: ma quadri interessanti, che delineano il suo passaggio in quella singolare temperie d'influssi, ci sono pure e dopo una meritoria campagna di restauri durata tredici anni, hanno qui modo di mettersi in luce. La luce strana, diaccia, un poco perversa dei verdi ammalati e degli argenti subdoli, di frigido mercurio, che s'infiltrano nelle membra e nei mantelli dei suoi smidollati Santi Martiri o delle sue Madonne - se ci si concede l'espressione - un poco sderenate e padanamente sfrante di lavori domestici (sono certamente passate attraverso il setaccio stilistico delle incurvate midollari Madonne dalmate dello Schiavone). Una naiveté coltissima e quasi morbosa: si sa che il de Marascalchi, carattere saturnino e bizzarro, musico eccellente e crudele tramatore di burle, fu come fulminato sulla via della paura da una convocazione dell'Inquisizione: perché non aveva trattato mai il tema del Purgatorio? Fu burla, vendetta, richiamo all'ordine? Il pittore rispose con un blocco creativo, replicando immagini stanche e devitalizzate: il contrario di quello che aveva saputo offrire precedentemente. Angeli manieristicamente impacchettati, sete viscide e bagnate come confessioni melliflue, anatomie diafane ed avvitate, piedi contriti nei calzari contadini: e quel cielo immaginario solcato di nuvolette nella pala di San Prosdocimo, che pare quasi un panno steso ad evitare gli scogli virtuosistici del diligente paesaggio. Quasi il colore si striminzisse in una battigia di diffidenza: e potresti anche pensare che il tormentato El Greco, nei suoi viaggi veneti, fosse transitato per questa bot¬ tega. Indubbiamente il Marascalchi - come doviziosamente studiato nel catalogo Canova curato da Giuliana Ericani - si aggirava per quegli anditi, suggestionato dai sommi malesseri d'un Bassano e dai primi febbricitanti colori sordi dell'avventura tintorettesca. Viveva quell'aria smossa della venezianità, quando subentrò l'effrazione fiorentina del manierismo di Salviati Porta, scandalo in laguna. Ma poi bisogna ricordare anche Palma il Vecchio ed echi del Lotto e Paris Bordon nelle architetture affumicate di Dresda, e Battista Franco retour de Rome e forse persino Pozzoserrato il fiammingo: fin troppe vitamine burrascose e dissonanti che si gettano nella sua risentita pittura e che avverti fisicamente urgere dentro le sue figure traumatizzate ed irrequiete, che gli impediscono di divenire, per sua fortuna, un pittore dibgente, «per bene», ma inesorabilmente noioso. Non è solo, il de Marascalchi, in mostra, perché si studia anche quell'altra curiosissima figura del presunto Lorenzo Luzzo (e non suo fratello, il ciabattino Pietro) che il Vasari chiamava Morto da Feltre, «il quale fu astratto nella vita com'era nel cervello e nelle novità nelle grottesche che faceva, le quali furono cagione di farlo molto stimare». «Era malinconica persona, di continuo alle anticaglie studiava (...) per il che non restò di vedere sotto terra ciò che potè in Roma di grotte antiche et infinitissime volte». Di qui, forse, il suo nome di Morto: che vivendo perennemente nella notte delle grotte, tra «edifici guasti e storiati» e «sepulture antiche», bianco come un cadavere vi ricompariva per baleni, terrorizzando i viandanti. Ma storicamente questo significa visitare la Domus Aurea di Nerone (ancora interrata) e scoprire le rovine di Pozzuoli, collaborare con Pinturicchio alle Stanze di Castel Sant'Angelo, insomma inaugurare quell'arte delle grottesche che allora non era così diffusa. Al punto che «sentendo i romori che in tale arte avevano Lionardo e Michelangelo per li loro cartoni fatti in Fiorenza», cartoni che rivoluzionano l'epoca, subito Morto si affacciò su quest'arte delle grandi figure, poiché «non gli parve poter fare il medesimo miglioramento (...) ritornò a lavorare alle sue grottesche». Magari, come vuole la leggenda, al Fondaco dei Tedeschi, insieme a Giorgione, cui rubò la donna e che ne morì di dolore. Pittore raffinato, gentile, che sa armonizzare le influenze: e qui bisognerebbe disturbare Pordenone e Sebastiano del Piombo, il Torbido e Raffaello, Andrea del Sarto e Sodoma, le architetture del Bramantino e le decorazioni del Carpaccio (incontrato a Zara, dove il Morto pare essere defunto da condottiero?). Trovandosi in zona, converrà non trascurare le ricche occasioni di ville affrescate, cortesemente dischiuse dalla visita. Come quella fortunatissima De' Mezzan in cui nel 1990 si sono trovate vistose tracce compendiarie del Morto frescatore ed in cui gli ospitalissimi proprietari, invece del caffè, ti possono offrire corpacciute Veneri Anadiomèni o cortei di Re Magi. Benemeriti che lo Stato si guarda bene dall'aiutare e che magari installando un termosifone hanno difeso valorosamente questo immenso, scottante tesoro. Marco Vallora || §1m

Luoghi citati: Castel Sant'angelo, Chicago, Dresda, El Greco, Feltre, Pozzuoli, Roma, Zeri