Come lager un vecchio pollaio

Come lager, un vecchio pollaio Come lager, un vecchio pollaio Tra iprigionieri musulmani di Bihac AL FRONTE CON I SERBI LHUCKA A televisione serba è stata la prima a poter dare un'occhiata da vicino agli sconfitti combattenti bosniaci in Tshirt, con gli occhi abbassati a fissare le scarpe da ginnastica infangate. I prigionieri sono infreddoliti, sporchi e spaventati, ma si sforzano di sorridere per le telecamere. Allineati su due file, in numero di 80 sono stati tirati fuori dai capannoni di questo isolato ex stabilimento per l'allevamento di polli in batteria, così da essere messi in mostra per venti minuti. Le galline sono state sgomberate quest'estate, e agli uomini del 5° corpo bosniaco tocca dormire fra le gabbie di metallo dove quelle facevano le uova. I prigionieri, preoccupati della propria sopravvivenza, sostengono di essere stati arruolati a forza in quel 5° coipo musulmano che in questo momento viene spazzato via da Bihac. «Ci hanno obbligati a combattere», dice un uomo che indossa un completo da sci color magenta sbiadito. Solo alcuni conservano la loro fierezza e guardano fissi oltre le lenti delle telecamere, ancora vestiti dell'uniforme del 5°. Questi soldati sono fra i primi catturati dalle forze serbe avanzanti su Bihac. Gli ottanta, di età compresa fra i 17 e i 65 anni, sono uno spettacolo offerto alla tv serba e a qualche esponente della stampa occidentale. La spedizione allo stabilimento dei polli era stata promessa da giorni. «Abbiamo un'esclusiva per lei», mi dice un ufficiale serbo puntando il dito verso gli uomini infreddoliti nella nebbia del mattino. «E' umiliante per loro, ma è umiliante anche per noi prendere parte a questo show», commenta un giornalista americano. «Naturalmente potete parlare con loro», dice un guardiano, che poi però sta a controllare ogni sillaba che esce dalle labbra tremanti dei prigionieri. «Nessuno di loro è stato picchiato, nessuno è stato ucciso», aggiunge. Non si vede prova di maltrattamenti, si nota solo, nei prigionieri, il terrore di dire la cosa sbagliata. Nei capannoni ci sono altri 200 soldati catturati. Tre chilometri più in là c'è una postazione delle Nazioni Unite abbandonata, con i sac- chetti di sabbia azzurri ancora attorno al perimetro. «Dopo gli attacchi aerei, i serbi davano così fuori da matti - dice Patrick, un ufficiale neozelandese dell'Onu - che il comando ci ha ordinato il ritiro». A 30 chilometri dallo stabilimento, i soldati serbi hanno marciato sull'hotel Toplice, che ospita il personale dell'Onu, e per un po' ne hanno chiuso il bar. «Abbiamo protestato, ma alla fine non abbiamo ottenuto nulla. Bisogna essere cauti con questa gente. Giravano per i corridoi brandendo le armi e cominciavano a mostrarsi arrabbiati», dice un ufficiale irlandese. Quando il bar è stato riaperto, un ufficiale di contatto serbo, incaricato dei rapporti con l'Onu, si è conquistato un suo posto fisso presso l'impianto stereo, offrendo ai giornalisti occidentali di passaggio benzina a 10 mila lire al litro. «Sì, sappiamo che vi rivende la nostra benzina. Ma serve a tenercelo buono. E' così che vanno le cose qui, bisogna adattarsi a un po' di dare e un po' di avere», conclude l'irlandese. Sull'altipiano attorno a Bihac, per i serbi è solo «avere». A Hucka, la collina che domina Velika Kladusa, la seconda città dell'enclave, le trincee del 5° corpo sono inzaccherate di sangue fresco. Qui, 50 o 60 soldati bosniaci hanno tenuto duro per 4 giorni, finché una serie di 24 attacchi serbi con carri armati e aerei ha spezzato le linee. L'unico segno di vita è dato da una scrofa e dai suoi porcellini che si fanno strada fra le macerie. Dietro a una casa spunta un'altra trincea bosnia¬ ca. Dentro, si vede un razzo fatto a mano, un kalashikov spiaccicato, un pacco mezzo vuoto di dolci arabi e scatole di sardine dono della Banca Islamica. «Guardi - mi dice uno - è cibo musulmano. Ma stanno per essere sterminati». Un ufficiale serbo si fa strada in un campo di terra smossa da mine e granate dove quattro dei suoi soldati giacciono in tombe allineate. «I musulmani erano dietro a quegli alberi, avevano mortai e cannoni di piccolo calibro ma, quando li abbiamo investiti, se ne sono andati molto in fretta», dice il tenente Sava. «Hei, volete che i nostri ragazzi posino per voi vicino ai carri armati?», grida al cameraman della tv serba. Qualche centinaio di metri più in là, le salve dei tank colpiscono bersagli fra gli alberi. «Stiamo giocando con loro come il gatto con il topo», mi dice un ex ingegnere ventiseienne. «Kladusa è quasi nostra. E in pochi giorni lo sarà anche Bihac. Il 5° corpo non esiste più, lo abbiamo spazzato via. Il comandante ha già cercato rifugio presso i Caschi blu». Quando torniamo al campo dell'Onu, Patrick conferma: «Il 5° corpo non ha speranze. Sappiamo che si sono piazzati accanto al battaglione dei caschi blu del Bangladesh, sperando di attirare su quest'ultimo il fuoco dell'artiglieria serba così da provocare l'intervento aereo della Nato. Ma ormai è stato annunciato che non ci saranno più raid aerei, e loro lo sanno». Maggie O'Kane Copyright «The Guardian» e per l'Italia «La Stampa» * I militari catturati esposti alla tv come trofei Un giornalista americano guarda e commenta |§ «Spettacolo umiliante per loro quanto per noi» Un ufficiale Onu «Anche l'esercito bosniaco gioca in modo sporco usandoci come scudi» Yasushi Akashi, inviato dell'Onu, e un Casco blu francese che prende di mira con il fucile la postazione da cui sono partiti i missili serbi

Persone citate: Yasushi

Luoghi citati: Bangladesh, Hucka, Italia