Ruggeri, rivoluzione rock con una Filarmonica in scena di Marinella Venegoni

Parla il musicista che ieri ha aperto a Milano la sua tournée Parla il musicista che ieri ha aperto a Milano la sua tournée Ruggeri, rivoluzione rock con una Filarmonica in scena MILANO. Metamorfosi di un concerto rock. Fresco del successo dell'intenso e malinconico album «Oggetti Smarriti», Enrico Ruggeri ha debuttato ieri sera allo Smeraldo di Milano in un pugno di concerti che diventeranno tournée da gennaio. In scena, con la sua abituale band, c'è la corista e chitarrista Andrea Mirò, vista in un lontano Sanremo, ma soprattutto una clamorosa Filarmonica tutta di donne: 14 elementi, con archi, flauto e oboe. Che succede, Ruggeri, che razza di rivoluzione è questa? «Molti credono ormai che per fare del rock bastino due o tre chitarre distorte. Invece il rock è libertà, controtendenza, sperimentazione. Suoniamo l'ultimo album ma anche tutti i pezzi che non posso non cantare, dal "Portiere di notte" a "Mare d'inverno" fino all' "Altra Madre", che mi è stato dolcemente scippato da Fiorella Mannoia. Pensi che originariamente a Milano dovevamo fare un paio di date, e abbiamo già prolungato fino al 3 dicembre». Lei quindi non soffre la crisi economica che travaglia anche la musica dal vivo. «Nella crisi c'è un aspetto positivo: è finita l'epoca del cantautore che sale sul palco per farti un piacere e poi se ne va con l'aria sprezzante. I giovani hanno meno soldi in tasca e scelgono: il pubblico perciò bisogna conquistarselo, fare concerti almeno ricchi di idee». Al Premio Tenco sono arrivati quest'anno pochissimi aspiranti cantautori. «Il cantautore che scriveva belle poesie con musica traballante è morto e sepolto, e così è finito il concerto del cantautore classico, senza appeal. I cantautori della prima generazione, i vari De Gregori Dalla Guccini, a loro tempo hanno scritto canzoni belle ma i concerti erano noiosi: facevano le loro serate austere mentre Elton John saliva sul pianoforte e David Bowie si travestiva da donna, pur componendo e cantando bellissime canzoni. Invece da noi c'era il problema del conformismo dell'anticonformismo». Forse che il cantautore non deve esprimersi, schierarsi, dire quello che pensa? «Io personalmente non ne ho bisogno. Solo l'America bacchettona e stupidotta dei '60 si agitò ai versi deflagranti di Bob Dylan. Ma nel nostro Paese, dove ci sono 50 milioni di et. della Nazionale e 50 milioni di presidenti del Consiglio, non è necessario. A scrivere una canzone contro Berlusconi oggi ci si mettono cinque minuti, è troppo facile. Un cantautore è grande quando si libera del concetto del tempo». Oggi hanno successo posse e gruppi che sono quasi gazzettieri dell'esistente. «Fra dieci anni dovranno spiegarci la storia che c'era dietro ogni canzone, e questo inficia ogni pretesa artistica». «Contessa)) di Pietrangeli è universalmente conosciuta anche dopo trent'anni. «Ma un ragazzo di oggi sa piuttosto "Vecchio Frac"». L'arte può nascere ignorando i problemi che ha intorno? Oggi non sono pochi. «Io credo di sì. Heinrich Boll ha scritto grandi libri nel contesto della crisi tedesca, ma il suo lavoro sarebbe stato ugualmente pregevole senza quel sottofondo storico. Ma è più un meccanismo inconscio: il fatto che in "Cattivi pensieri" si respiri un'angoscia solitaria è certo collegato a questo periodo, ma non a date precise. Il problema vero è che in questi anni si è costruita ima società che ci vuole euforici ma mai felici. Ci vuole la seconda casa, e donne bellissime accanto, e auto smisurate: quest'infelicità si respira in ogni solco del mio disco». E' stato chiamato al Festival di Sanremo, Ruggeri? «Ho letto che ci sarei andato, ma nessuno me l'ha chiesto e non ci andrò. Mi è bastato "Sanremo Giovani", con i suoi meccanismi spietati: facevano primi piani a quelli che venivano eliminati e invece chi fa musica andrebbe non dico coccolato ma almeno trattato da persona. Io adesso poi voglio pensare al tour, lo voglio fare bene. I teatri sono una forma onesta per sentire la musica, mi sono occupato personalmente dei prezzi che vanno dalle 20 alle 40 mila lire. Non sono ingordo: un altro, magari avrebbe riunito tutto il pubblico dei concerti milanesi che farò in un'unica serata Palatrussardi. A molti miei colleghi non piace fare concerti: ci sono artisti di successo che vanno in giro con uno che li pettina, un altro che li accarezza, un altro che gli dà da bere e continuano a dire: "Sono stanco, non ne posso più". Uno schiaffo alla miseria. Benedetta la crisi, che fa pulizia». Si sta promuovendo in tv? «Sono andato a "Stranamore", anche se è lontano dalla mia personalità. Io sull'amore preferisco un bel libro, invece lì c'è il piacere di andare a origliare alla porta del vicino, oltreché la voglia di protagonismo. Forse farò qualche kermesse domenicale: ma anche lì, alla fine, per farti ascoltare sono meglio i concerti e le radio. Vorrei avere una volta il coraggio di far promozione senza la tv». E' la solita vecchia storia, la musica in tv non è rispettata. «Noi cantanti non siamo una categoria corporativa. Il cinema si protegge, il teatro si muove, anche se poi la musica è come il Coni: mantiene tutti». Non c'è autocritica da fare, in questa vostra categorìa? «Non facciamo mai niente per noi perché siamo ricattabili, siamo pieni di miliardari guitti e andiamo comunque a fare i tappabuchi in tv: "Canta la tua canzoncina, poi c'è lo spot", ti dicono. E noi, giù la testa. Così, non facciamo fino in fondo neanche la battaglia Siae: dietro un Vasco o un Baglioni che guadagnano cifre enormi di diritti d'autore, c'è l'autore che guadagnava 8 milioni a semestre e adesso si ritrova a prenderne 2 perché tutto è bloccato: si rischia che il De Gregori di domani stia già pensando di cambiar mestiere perché non ce la fa più a vivere». Marinella Venegoni L'orchestra è fatta tutta di donne. Lui dice: Non è vero che il cantautore deve schierarsi Enrico Ruggeri: «Non sono ingordo, e non andrò al Festival di Sanremo»

Luoghi citati: America, Milano, Ruggeri, Sanremo