Mannoia: «Un anello di brillanti al commissario amico del boss» di Francesco La Licata

Roma, dal pentito accuse a un dirigente della Criminalpol Roma, dal pentito accuse a un dirigente della Criminalpol Mannoia: «Un anello di brillanti al commissario amico del boss» ROMA. La seconda giornata della «maratona giudiziaria» del collaborante Francesco Marino Mannoia, dedicata ieri al processo contro l'ex capo della mobile di Palermo Bruno Contrada, ha offerto più di un colpo di scena. Il collaboratore di giustizia ha confermato che nell'ambiente di Cosa nostra veniva dato per scontato che Contrada fosse considerato «amico». E sin qui, tutto prevedibile. Il colpo di scena è arrivato quando Mannoia ha chiamato in causa altri due funzionari di quella squadra mobile degli Anni 70, indicandoli come collusi o prezzolati. Gli investigatori tirati in ballo dal collaboratore sono: Vincenzo Speranza, all'epoca dirigente della sezione rapine e oggi capo della Criminalpol della Sicilia orientale e Pietro Purpi, attualmente in pensione, anch egli alla sezione rapine immediatamente prima di Speranza. Del vicequestore Purpi, Mannoia ha detto che era molto intimo di Stefano Bontade, tanto che il boss si adoperò per trovargli un appartamento, sistemandolo, alla fine, in un edificio costruito dal cognato, il boss Girolamo Teresi. Su Speranza, infine, il collaborante ha raccontato un episodio di cui è stato protagonista diretto. Secondo Mannoia, Speranza si adoperò per fargli riavere un orologio Rolex (regolarmente acquistato) e un pacco di gioielli (provenienti da una rapina) che gli erano stati sequestrati nel corso di una perquisizione. Ad interessarsi della faccenda era stato Stefano Bontade, perché amico del capo della sezione rapine. Mannoia ha detto che gli fu con- sigliato di mettere la ricevuta del Rolex in un cassetto, in modo che fosse ritrovata durante una seconda perquisizione, ordinata proprio per quello scopo. «L'orologio - ha concluso Mannoia - mi fu in effetti restituito». E gli furono riconsegnati anche i gioielli che non avevano ricevuta. Al commissario comprensivo sarebbe stato poi regalato un anello con brillante, a titolo di risarcimento per il «disturbo», come si dice a Palermo. Anzi, ha precisato Mannoia, al commissario era stato proposto di «servirsi liberamente» dal pacco di gioielli sequestrati, ma il poliziotto - comprensibilmente - preferì che il gioiello gli venisse comprato. Giusto per non correre rischi. Il collaborante ha ri¬ cordato che «fu l'aw. Castorina ad occuparsi della faccenda, andando ad acquistare l'anello (costo un milione e mezzo di allora) e consegnandolo al poliziotto». Ma di Speranza, Mannoia, sentì parlare anche in seguito. «Eravamo andati - ha detto - per uccidere uno che aveva fatto una rapina al distributore di mio padre. Riuscimmo a ferirlo e a vedere che con lui c'era un'altra persona. Successivamente Stefano Bontade mi disse che l'altro era un poliziotto della squadra di Speranza. La cosa gli era stata riferita dallo stesso commissario col quale Bontade era in ottimi rapporti». Enzo Speranza, di recente al centro delle cronache per aver collaborato alla cattura del boss Benedetto Santapaola, respinge le accuse di Mannoia. «Non ho mai avuto a che fare - afferma - né con Stefano Bontade, né con Mannoia. A Palermo mi sono sempre occupato di rapine e mai di mafia». Perché le accuse di Mannoia? «Sono portato a credere risponde il vicequestore - che il collaborante, sulla cui buonafede non ho motivo di nutrire sospetti, sia vittima di confusione. Né io, né i miei uomini abbiamo mai sequestrato gioielli a Mannoia. Non ricordo proprio nulla di simile. D'altra parte, non dovrebbe essere difficile trovare riscontri tra le carte degli archivi della squadra mobile di Palermo. Per quello che può servire aggiungo che mia moglie è figlia di gioielliere. Semmai, dunque, avrei dovuto optare per un regalo per me meno accessibile di un anello». L'udienza di Rebibbia ha portato alla luce anche un piccolo giallo: Mannoia ha sostenuto di essere stato interrogato, su Contrada, negli Stati Uniti già nel marzo del 1993. «Dissi di non sapere nulla ha precisato - perché ero stanco, era notte fonda e non avevo intenzione di cacciarmi in altri discorsi». Ma agli atti del processo, quel verbale dove Mannoia nega di sapere cose su Contrada, non c'è. Il presidente Ingargiola è sorpreso per questa assenza ed ha assicurato di volerne sapere di più, visto che ufficialmente risulta che Mannoia parlò di Contrada, accusandolo, circa otto mesi dopo. Francesco La Licata Nel mirino un vicequestore «Cosa Nostra gli diede un appartamento» Il pentito Francesco Marino Mannoia ha deposto ieri a un'udienza del processo Contrada

Luoghi citati: Contrada, Palermo, Roma, Stati Uniti