La rabbia del pool: «Andiamo avanti» di Susanna Marzolla
Per Borrelli «non ci sono tecnicamente legami» tra l'interrogatorio di Berlusconi e la sentenza Per Borrelli «non ci sono tecnicamente legami» tra l'interrogatorio di Berlusconi e la sentenza La rabbia del pool: «Andiamo avanti» Per ora le indagini sulla finanza restano a Milano MILANO. «Sembra il 14 luglio», commenta sconsolato uno dei collaboratori del pool. No, la Rivoluzione francese non c'entra. E' semplicemente il 14 luglio scorso, quando il governo varò il decreto «anti-manette» (più comunemente noto come «salva ladri») e il pool si dimise, in diretta tv. «Sembra il 14 luglio», ma non lo è. Un po' l'assuefazione agli attacchi (non passa giorno, ormai, che la procura di Milano non si trovi nel mirino), un po' il fatto che l'affondo, stavolta, viene dall'interno della magistratura - dalla Cassazione e nel merito processuale - e allora contro chi si può eventualmente protestare? Lo fanno, senza mezzi termini, i rappresentanti sindacali come Elena Paciotti, ma Borrelli e i suoi sostituti tacciono. Dimissioni clamorose, come a luglio? Non se ne parla; solo D'Ambrosio accenna al fatto che lui, semmai, può tranquillamente andarsene in pensione. La notizia della Cassazione irrompe alle cinque del pomeriggio in una giornata quasi sonnacchiosa. La portano in procura i cronisti, quasi in tempo reale. Incontrano per primo il procuratore aggiunto, Gerardo D'Ambrosio. Inizialmente rifiuta ogni commento, poi si lascia andare con quel ricordo: «Anche per l'inchiesta su piazza Fontana si cominciò così. Prima un pezzo e poi, per connessione, da Milano nan portato via tutto». Poi è la volta di Piercamillo Davigo. Alla mattina qualcuno gli aveva chiesto se sarebbe stato lui il pm in aula, il 5 dicembre, al processo contro Cerciello e gli altri. Lui aveva risposto che la decisione finale non era ancora stata presa e poi ecco la batosta. Non ci sarà nessun pm milanese, a quel processo... Davigo non commenta. ' - * Franccsco Greco dice semplicente che, prima di parlare, occorre leggere le motivazioni, capire esattamente perché la Cassazione ha stabilito quel che ha stabilito. Serafico, con il suo solito «Ma, vedremo...», è Gherardo Colombo. E del resto lui agli «scippi giudiziari» sembra ci sia abituato: quand'era giudice istruttore, Roma gli portò via l'inchiesta sulla P2, i famosi elenchi che lui aveva scoperto assieme al collega Giuliano Turane; e, appena arrivato in procura, via anche l'inchiesta sui fondi neri dell'Iri. Ma Borrelli e Di Pietro che fanno? Che dicono? Il procuratore è fuori, rientra alle sette. Appena il tempo di accendere le luci dell'ufficio e subito la parola d'ordine: «Riunione dal capo». Arriva a questo punto un trafelato Di Pietro, «schiodato» dal suo lavoro sulla requisitoria per Enimont. Non dura a lungo la riunione e, quando esce, Antonio Di Pietro sembra il meno turbato di tutti. Vien da paragonarlo (paragone irriverente, ma realistico) a John Belushi che dice: «Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare». In fondo alla lotta (processuale) Di Pietro non si è mai sottratto. Nella riunione, a quanto si evince dal codice aperto che si intravede sul tavolo, si è parlato delle questioni di procedura che si aprono d'ora in avanti. L'unica cosa chiara, su questo punto, è che all'articolo 45 (casi di remissione) si parla del «processo di merito»: le indagini preliminari dunque non c'entrano. In poche parole, l'inchiesta sulla corruzione nella Finanza, filone Fininvest compreso, resta a Milano. Certo l'interrogativo sul futuro resta; qualcuno lo gira al procuratore: continuate l'inchiesta pur sapendo che magari sarà tutta trasferita? Borrelli allarga le braccia. Sorriso di cortesia, ma irremovibile nel rifiutare ogni commento. Altra domanda: la decisione della Cassazione può influire su interrogatori già in programma (leggasi: Berlusconi)? «Tecnicamente non c'è alcun legame», risponde. E poi: «Dovete capire, non ho ancora visto neppure il dispositivo della sentenza». Nessun commento, ci sono anche gli ispettori in casa. Che arrivano proprio in quel momento in procura. Sono - si vede - piuttosto imbarazzati per la situazione. Uno di loro, Francesco Vigliotto, incalzato dai cronisti, se la cava con una battuta sibillina: «Forse questa cosa potrà alleggerire la pressione che sta subendo questa procura», aggiungendo che, comunque, la sentenza «non avrà alcuna influenza sulle nostre valutazioni». Gli ispettori, poi, scompaiono nell'ufficio di Borrelli. L'atmosfera è elettrica, i toni della voce si alzano. Quando escono sono ancora più imbarazzati: per i convenevoli non è giornata. Susanna Marzolla Fini: il Cavaliere non è dietro a questa storia D'Alema: curiosa concatenazione di eventi Il palazzo di giustizia di Milano. Sopra il sostituto procuratore Piercamillo Davigo Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Sotto. Antonio Di Pietro
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